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Lost Generation: la leggenda della diaspora polacca

Published on

Story by

Katha Kloss

Translation by:

Default profile picture Giulio Vighi

Mentre la stampa inglese solleva la questione del ritorno dei polacchi in patria, quest'ultimi stanno già facendo i conti con un possibile secondo esodo. Soltanto una minoranza si prefigge di stabilirsi permanentemente in Polonia.

«È una sorta di rituale personale: cannella e zucchero di canna», ci spiega Dorota nel Bar Heaven, che si trova su una delle arterie principali di Varsavia, la Marszałkowska. «Mescolare energicamente, e voilà, pronto!»: Dorota Czechowska è polacca. Dopo un soggiorno a Barcellona, da qualche mese la ventiduenne Dorota è ritornata a casa per proseguire gli studi in Legge a Varsavia.

Sono passati due anni da quando questa ragazza di Radom ebbe l’impulso di partire: di lavoro nella sua regione non ce n’era neanche a parlarne, e quindi decise di andarsene in Catalogna. Oltre ad andare all’università, si manteneva con lavoretti in hotel o al ristorante. Tuttavia, dopo una prima fase di entusiasmo, durata 18 mesi, Dorota venne colta da una sensazione di disadattamento: «Gli spagnoli sono incredibilmente socievoli. Tu però rimani pur sempre una polacca. Ho anche amici in Inghilterra che lavorano come camerieri o lavapiatti ma non sono contenti». Sicuramente lo sono in pochi.

Il ritorno dei polacchi: «Sciocchezze!»

Come agli amici di Dorota, lo stesso è accaduto a tanti altri ragazzi polacchi, soprattutto a quelli provenienti da regioni e cittadine minori, che dopo gli studi hanno voltato le spalle alla propria patria. Oggi, in tempo di crisi, questo trend è improvvisamente mutato. I polacchi, a causa della situazione economica, ritornano a popolare la loro terra. All’inizio del 2010 quasi la metà dei polacchi espatriati in Inghilterra aveva già fatto ritorno in patria. Questo dato veniva confermato sia dal British Migration Policy Institute sia dall’allora ministro inglese per l’Immigrazione, Phil Woolas (Laburista).

Secondo molti si tratta di una buffalaKrystyna Iglicka, polacca, esperta di migrazioni presso il Center of International Relations, afferma che la situazione è diversa da come la si vuole raccontare. «Queste cifre sono state tirate in ballo proprio all’avvicinarsi delle elezioni in Gran Bretagna. È stato facile, in tempo di crisi, rabbonire i britannici dicendo che gli “idraulici” polacchi avevano lasciato il paese». In verità soltanto 60.000 polacchi sui 2.170.000 espatriati della prima ondata, hanno effettivamente lasciato la Gran Bretagna e l’Irlanda. Inoltre, non hanno fatto tutti ritorno in Polonia: le nuove destinazioni lavorative si chiamano Olanda, Danimarca o Spagna. «Noi polacchi siamo sempre stati un popolo estremamente mobile, è insito nel nostro DNA», racconta in modo scherzoso la professoressa Iglicka.

Adam Filip è affascinato dal laghetto di ninfee di fronte all’istituto di Biologia. Sono le otto del mattino ed il sole splende in cielo. Adam è puntuale, «una cosa che ho appreso dai tedeschi». Pure questo neurobiologo di 35 anni è tornato a casa. Soprattutto «per la vicinanza». Adam aveva intrapreso il dottorato a Berlino. Dopo i corsi universitari frequentati nella capitale tedesca, il ricercatore nato a Łódź si sarebbe trasferito volentieri negli Stati Uniti, «ma è arrivata la crisi e non ho più ottenuto nessun sussidio finanziario». Il ritorno a Varsavia, per Adam, è stata la scelta più ovvia.

Casa dolce casa

«L’Unione Europea lo definisce ”fuga dei cervelli, io lo definisco “spreco di cervelli”!»

La Polonia sta tentando di ridurre l‘effetto "fuga dei cervelli”, riportando a casa giovani speranze che avevano deciso di lasciare il paese qualche anno fa. Dopo il 2004, furono soprattutto i giovani qualificati a lasciare la Polonia per trovare un’occupazione meno specializzata nel paese prescelto. «L’Unione Europea lo definisce ”fuga dei cervelli, - ci dice la prof.ssa Iglicka, - io lo definisco “spreco di cervelli”!». L’Ue ha già stanziato alcuni finanziamenti, per agevolare i giovani ricercatori, che in passato avevano abbandonato il paese, ad avviare una carriera in Polonia. Un esempio è il programma Homing Plus della Fondazione di Ricerca Polacca (FNP), come ci spiega la responsabile Marta Łazarowicz. Le borse di studio, per contro – solo 15 ogni anno – sono troppo poche. Come una goccia nell‘oceano.

A seguito della recessione, subito dopo le elezioni parlamentarti del 2007, il governo polacco ha creato un portale in rete, powroty.gov.pl, ricco di informazioni per persone che volessero rientrare in patria, e di risposte alle tante domande degli espatriati polacchi. Il numero dei visitatori del sito è sempre stato di circa 10.000 clic settimanali, rimanendo tale anche in tempo di crisi, come conferma il capo redattore Maciej Szczepański: «È sorprendente il fatto che riceviamo lo stesso numero di domande dall’Irlanda e dal Regno Unito, sebbene nel Regno Unito il numero di emigrati polacchi sia tre, quattro volte superiore rispetto all’Irlanda. L’impressione è che effettivamente i polacchi stiano abbandonando la terra irlandese; non è detto, tuttavia, che decidano di tornare in Polonia».

In fin dei conti rimani pur sempre un polacco

«Voglio che il mio paese abbia un significato, un posto dove gli abitanti vivano bene e possano guadagnare»

Nella capitale polacca tira tutta un’altra aria. Qui, una giovane élite è impegnata a mettere in piedi dei progetti a casa propria. Anche in questo caso si tratta di persone reduci da esperienze all’estero, tornate con un diploma universitario e che parlano un inglese quasi perfetto, spesso con un/a compagno/a che ha deciso di seguirli fino a Varsavia. Jan Naszewski ha studiato inizialmente a Edimburgo, per poi entrare nel campo del reclutamento specializzato a Londra. Tra le altre cose è riuscito a risollevare il festival New Europe Film Festival, dedicato alla scena cinematografica dell’Europa dell’Est, dove però non veniva ricompensato. Sia per il mercato del lavoro saturo di Londra, che per ragioni personali, è tornato in patria. «Lo sai no, alla fine dei conti rimani pur sempre un polacco». In tutti questi anni Jan ha mantenuto una sua rete di contatti in Polonia, fattore che riteneva importante. Oggi è a capo della propria azienda di distribuzione cinematografica, New Europe Film Sales.

Agnieszka, dopo aver portato a termine gli studi, ha trovato un’occupazione a Varsavia nel dicembre 2009. Tutto è accaduto inaspettatamente, mentre cercava invano un lavoro a Parigi! «Voglio che il mio paese abbia un significato, un posto dove gli abitanti vivano bene e possano guadagnare. Intendo dare il mio contributo, anche se questo andrà oltre le mie possibilità», ci dice oggi Agnieszka.

Varsavia è lontana anni luce dal resto del paese. Qui si parla di un 3,5% di disoccupazione, ossia una percentuale otto volte più bassa che nelle regioni più povere. Mentre Agnieszka da un passaggio ai genitori in periferia e le nuove leve si preparano a plasmare il proprio paese tramite le elezioni presidenziali, si prospetta una seconda ondata di giovani polacchi in esodo. Questo quello che crede la professoressa Iglicka. Se il suo team di collaboratori ci azzeccasse, nel 2011 vedremo alcune migliaia di polacchi lasciare il proprio paese. La Germania aprirà di fatto il mercato del lavoro ai lavoratori specializzati dell’Europa dell‘Est ed il processo di “spreco dei cervelli” entrerà nella sua seconda fase. «In Polonia la definiamo la Lost Generation».

Foto: Ezequiel Scagnetti; jaime.silva/flickr

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Translated from Lost Generation? Vom Mythos des heimkehrenden Polen