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Lorella Zanardo: «bisogna ripulire la televisione italiana»

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Culturasocietà

Il documentario Il corpo delle donne, in circolazione dalla primavera 2009, ha ottenuto, in pochi mesi, una straordinaria diffusione in rete, grazie alla sua critica intelligente e spietata della Tv italiana. Intervista ad una delle sue autrici, Lorella Zanardo.

Antologia di brani tratti dalla tv italiana, pubblica e privata, Il Corpo delle donne è dedicato all’immagine e al ruolo della donna: ne risulta un quadro raggelante. L’autrice di questo saggio visivo, Lorella Zanardo, imprenditrice ma ormai soprattutto consulente e docente sulle tematiche legate al femminile, ci ha raccontato con passione il suo impegno: una campagna di sensibilizzazione al tema del rispetto della differenza di genere e dei diritti espressi nel terzo articolo della Costituzione italiana. Come far sì che tutto questo prezioso lavoro non si affievolisca, rivelandosi solo una moda passeggera? Continuando la militanza quotidiana, forte del consenso raccolto in rete, ma anche attraverso un progetto educativo, Nuovi occhi per la TV, rivolto a scuole ed educatori consultabile sul suo sito ufficiale.

La situazione Italiana è unica, oppure vi sono altri paesi europei in cui l’immagine e il ruolo delle donne è in pericolo?

Tutto parte dal concetto di differenza di genere, di pari opportunità. In altri paesi del Nord Europa, come l’Inghilterra, da tempo, questo è stato assimilato come diritto costituzionale, quindi non se ne discute. In un Paese come la Francia si è creato un’associazionismo femminile molto forte che ha contrastato eventuali “cadute” nel rispetto della dignità femminile, così come anche in Spagna dove, peraltro, vi sono forti problemi di violenza sulle donne. L’Italia e la Grecia sono state invece definite dal Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) Paesi in cui il tema delle pari opportunità è «in resistenza». Cioè, si tratta di una problematica degna di essere trattata a livelli istituzionali, poiché ritenuta di scarso valore e non minacciosa per le istituzioni politiche esistenti. E lo vediamo anche da come viene affrontata in politica.

Nel corso della tua carriera d’imprenditrice hai incontrato donne come quelle presentate nel documentario, che hanno assunto atteggiamenti maschili, lontani dalle naturali caratteristiche femminili?

Questo è quello che ho visto di più! Io mi sono salvata perché ho sempre avuto un orgoglio innato, derivatomi probabilmente da mia madre, ma ho lavorato in un ambiente in cui ho visto, con dolore, moltissime donne abdicare alle qualità dell’indole femminile per poter far carriera. Le perdono, perché allora lavorare ed essere sole in un ambiente di maschi era difficile, ma adesso è diverso; è ora che noi donne ci prendiamo la responsabilità di affermare le nostre qualità, proprie all’esser donne, all’interno delle organizzazioni. Ne ha bisogno la società come ne hanno molto bisogno anche gli uomini.

La Presidentessa dell’India Pratibha Patil quando è stata nominata ha detto che le donne devono diventare responsabili dello sviluppo sostenibile della terra, e ha dato un messaggio enorme. Ecco, io mi muovo per quello. Voglio occuparmi dello sviluppo sostenibile del mondo, e dobbiamo tutte prendere coscienza che siamo chiamate a questo. Mi sento però prima costretta a occuparmi delle miserie della televisione per fare pulizia.

Qual è la strategia migliore per portare avanti una militanza concreta ed efficace?

Io credo molto alle campagne di advocacy. Ovvero, sensibilizzare i cittadini con un blog, dei siti, dei documentari, e crearsi una piattaforma di consenso abbastanza solida, per esempio in rete, per poi trattare con le aziende televisive o con le grosse agenzie pubblicitarie. Funziona, ed in America è una pratica molto diffusa. Non sono minacce, anzi; sono trattative educate ma ferme, che rientrano nell’interesse di tutti. L’acqua Rocchetta, ad esempio, ha ritirato la pubblicità nella quale la modella Cristina Chiabotto gareggia contro una ragazza “normale” per sapere a chi stava meglio un abitino succinto, perché si è resa conto che stava diventando un danno per il prodotto stesso. E non è l’unico riscontro positivo della nostra campagna di sensibilizzazione.

Come combattere lo sconforto che deriva da immagini di escort ed aspiranti attrici che, pavoneggiandosi, percorrono passerelle un tempo storiche come quella del Festival del Cinema di Venezia? Non hai la sensazione di essere davanti a una catena degenerativa impossibile da frenare?

Lo sconforto ce l’abbiamo tutti e voi giovani, secondo me, avete tutto il diritto di essere molto arrabbiate. Io ero a Venezia e, lì, quando ho visto che le uniche scene di delirio sono state per Briatore in ciabatte e la Gregoraci in mutande ho pensato al Lido, a Silvana Mangano, a Luchino Visconti…. Insomma, non ha senso raccontarsi che la situazione sia facile. Cesare Lanza, autore di quasi tutte le trasmissioni riprese nel documentario, ospitato come me in una trasmissione del giornalista Gad Lerner, mi ha detto: «Lei ha un atteggiamento da missionaria, non si rende conto che l’Italia vuole vedere questi programmi?» Che l’Italia voglia questi programmi credo sia vero; ma che l’Italia voglia questi programmi perché sono venticinque anni che gli facciamo vedere solo questo credo sia ancora più vero. Io ritengo che la TV abbia un dovere educativo. Negli anni Sessanta, quando era ritenuta una delle tre televisioni migliori al mondo, nel programma Non è mai troppo tardi, il mitico maestro Manzi insegnò la lingua italiana a una nazione frammentata che nel dopoguerra parlava in dialetto. Non dimentichiamo che oggi l’80% della gente che guarda la TV, la usa come unico mezzo d’informazione. Penso che se avessimo almeno la rete pubblica che rispetta il suo ruolo educativo, le cose cambierebbero. Ma ci vuole tempo.

Nel mondo dell’economia ci hanno inculcato questa idea dei tempi brevi, dell’avere tutto e subito. In realtà non è affatto così: bisogna avere molta pazienza. Quando porto avanti la mia militanza quotidiana sono assolutamente certa che le cose cambieranno, ma so che non sarà a breve. Dobbiamo modificare il nostro atteggiamento: è nella fatica del percorso che dobbiamo trovare un senso. Ci potrebbe essere una soddisfazione davvero forte anche per voi, generazione di trentenni, nel sentirvi fautori del cambiamento di questo Paese.