«Lo Stato del cinema» dichiarato in una Baia di Loch Ness
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AdrianaA pilgrimage ad evocare un pellegrinaggio. È il nome scelto dall’attrice Tilda Swinton ed il documentarista Mark Cousins, per battezzare il loro festival, omaggio delirante ed ambulante al cinema. Dal primo al 9 Agosto sono stati proiettati dei capolavori della settima arte attraverso la Scozia. Ritorno ad una settimana poetica-politica, tra sogno e realtà.
«Ti ricordi di quel film, Cinema Paradiso?» In piedi, sulla sabbia, di fronte al mare del Nord che bagna la piccola stazione balneare di Nairn, al Nord di Aberdeen. Ascolto Janet. È tardi, un falò brucia sulla sabbia. Beviamo del porto a basso costo, acquistato con lo sconto nel minimarket del posto. La bottiglia sarà presto vuota. Il nostro pellegrinaggio attraverso la Scozia, dall’est all’ovest, da Glencoe a Nairn giunge al suo sesto giorno e volgerà presto a termine. «Ti ricordi di Cinema Paradiso? Nel momento in cui nella sala del cinema, gli spettatori piansero, si alzarono ed applaudirono, elettrizzati da ciò che vedevano sullo schermo? Ho l’impressione che sia esattamente quello che abbiamo vissuto noi, qui, per una settimana».
Il Toutankhamion
Mi ricordo di Cinema Paradiso. Mi ricordo soprattutto con i piedi nella sabbia, dell’incredibile pellegrinaggio cinematografico cui ho partecipato, al fianco dell’attrice Tilda Swinton e del documentarista e critico del cinema Mark Cousins. Due cinefili abbastanza matti da immaginare una festa del cinema ambulante, costruita intorno ad un grande camion blu e ad una quarantina di spettatori permanenti, venuti dai quattro angoli del mondo. Britannici, tedeschi, canadesi, belgi o francesi. Studenti, liceali, futuri poliziotti, professori, assistenti sociali, produttori o cineasti, formavano insieme un mastodonte sulle strade, arrivando in minuscoli villaggi, che giacevano in una baia di Loch Ness, o al riparo su di un’immensa vallata, nel cuore delle Highlands. Per Janet, me e per tutti gli altri il cinema sarà sempre blu come un camion. Un “Toutankhamion”, specifica una piccola placca in metallo fissata vicino alla cabina. Ogni pomeriggio, nel parcheggio di una scuola o ai bordi di un lago, a Strontian, Fort Augustus o Dores, il Toutankhamion si dispiega. Un universo in espansione, i cui divisori si scostano lasciando progressivamente spazio ad una sala cinematografica. Uno schermo, una cabina di proiezione, 80 posti: questo “schermo macchina” è stato il nostro mondo per un settimana, lungo le strade di una Scozia rurale dai paesaggi sorprendenti, drammatici.
A ciascuno il suo After Eight
«Il cinema è tra le arti più accessibili. Può essere compreso anche dai non specialisti». È con una bandiera che dichiara «Lo Stato del cinema», brandita sull’estremità delle spalle e fissata a due scope arruffate quanto i loro capelli che, ogni giorno, al ritmo di tre proiezioni quotidiane, Swinton e Cousins hanno accolto nel grande camion blu gli spettatori del pellegrinaggio, nuovi arrivati e convertiti, del posto o turisti di passaggio. Dell’attivismo puro e duro, incorporato ad un rituale immutabile e delirante celebrato prima di ogni proiezione: una danza attorno a spettatori increduli, un inno (tutte le volte differente: da Elvis Presley a Patti Smith, passando per Marilyn Manson e la sua cover di Personal Jesus dei Depeche Mode), poi la dichiarazione d’indipendenza dello Stato del cinema. Mancano all’appello, a pretesa di esaustività, gli abbaiamenti della cagna Tippy, i cioccolatini After Eight distribuiti da Tilda Swinton prima della proiezione delle nove di sera (per le sei, dei dolci), il kilt nero di Mark Cousins, il whisky di Kenneth e le nostre ispirate coreografie con, come accessorio indispensabile, non un cappello dorato, ma dei cartelli sui quali sono scritti i nomi di Kurozawa, Cyd Charisse, Jacques Tati, Vincente Minnelli, Malcom Maclaren o Matt Hulse.
Kurozawa, Tati, Bresson
«Ti ricordi quando tutti noi abbiamo urlato come dei posseduti, guardando La Nuit de Chasseur?». Spalla contro la duna, rido pensando a Lilian Gish intenta a minacciare Robert Mitchum con un fucile Ricordo Cold Fever, e quel giapponese che attraversò l’Islanda, per rendere omaggio ai genitori deceduti in un incidente d’auto. Ricordo l’ukulélé di Matt Hulse, in Follow the master. Ricordo il magnifico Au hasard, Balthazar, di Robert Bresson e la lettera inviata dalla sua vedova, per ringraziare Tilda e Mark, di aver fatto riscoprire l’epoca di suo marito. Ricordo le gambe di James Cagney in Footlight parade e Monsieur Hulot di Jacques Tati. Ricordo gli occhi della strega in The throne of blood, di Kurozawa, e le lacrime di Tilda Swinton, quando la parola fine è comparsa sulla pellicola dello sconcertante A Canterbury tale. Ricordo tutti questi film, islandesi, britannici, indiani o giapponesi, come tante finestre sul mondo.
Apro il libro di Mark Cousins, La storia dei film, trovato nella piccola libreria di Nairn: «Il cinema è tra le arti più accessibili», scrive Mark nella sua introduzione. «Anche nelle sue forme più oscure, può essere compresa da dei non-specialisti». Sulla spiaggia, il falò si è spento lentamente. Non c’è più una goccia di porto nella bottiglia. Dovremmo noi, Janet, io e tutti gli altri, scrivere un messaggio e lanciarlo in mare? Un semplice foglio sul quale vi sarebbe riportato: «Qui i cittadini dello Stato del cinema. Ecco i nostri ricordi. Raggiungeteci per crearne di nuovi».
Mark Cousins, The story of film. Ed. Pavillion. Film is one of the most accessible art forms so even its most obscure productions can be understood by an intelligent non-specialist.
Translated from « L’Etat du cinéma » déclaré dans une baie du Loch Ness