Lívia Járóka: donna, rom ed europarlamentare
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Manuela ManelliLa prima eurodeputata rom, Lívia Járóka, fa il bilancio della sua prima legislatura e annuncia che tornerà a candidarsi.
Nonostante si lamenti del fatto che l'attuale Presidenza semestrale ceca dell'Ue non abbia preparato un programma su questioni di minoranze e di uguaglianza di genere, pensa che per quanto riguarda ciò che è stato realizzato dall'Europarlamento la legislatura sia stata positiva. «La questione dei diritti della donna è stata politicizzata grazie al Parlamento, un tema che né il Consiglio né la Commissione si sono preoccupati di trattare», rivendica questa giovane ungherese del Partito Popolare europeo. A suo avviso, il Parlamento europeo «ha smesso di essere uno strumento al servizio della Commissione, per convertirsi in un partner che si confronta con la Commissione». La cosa più importante? Che la situazione dei rom sia presente nel programma del Parlamento: «Vorrei farle notare che la maggioranza dei cittadini si può dire che entrerà a far parte di una qualche minoranza», accenna sottolineando l'importanza di proteggerle. È stata eletta al Parlamento europeo e insiste sul fatto che la lotta contro la discriminazione non basta per difendere i rom: «Bisogna passare da un'ottica paternalista ad una più professionale».
Quale direttiva di questo mandato rimpiange di più?
«Sono tutte utili, ma rimpiango il fatto che quasi sempre arriviamo tardi e che in ogni Paese vigiliamo davvero male l'applicazione delle direttive. Ad esempio, abbiamo impiegato molto tempo per approvare la direttiva REACH intesa a difendere i consumatori da prodotti tossici, e ancora di più per applicarla. Ci manca l’efficienza».
Qual è stata la maggiore battaglia sostenuta dal suo gruppo politico, il Partito Popolare europeo (Ppe)?
«Tanto per iniziare, includermi nella sua lista! Poi, lottare a favore dei diritti dei rom e dei loro figli, una cosa che è sempre stata appannaggio dei socialisti e dei liberali. Dall'ampliamento del 2004, il Ppe ha adottato molte decisioni simboliche che sottolineano il suo cambiamento».
Crede che la politica europea sia maschilista?
«Essere donna in politica è difficile, ma lo è ancora di più portare avanti temi che riguardano la donna. È difficile convincere l'establishment che le donne devono essere presenti all'interno delle istituzioni. Quindi sì, penso che la politica europea sia un po' sessista. Anche perché quando occorre rappresentare temi che non sono molto popolari, come la povertà nel mondo o la carica di europarlamentare dell’anno (nel 2007), scelgono sempre le donne, mentre per parlare di prosperità economica sono gli uomini a rivolgersi ai votanti».
Il 30% di donne all'interno dell'Europarlamento non è ancora sufficiente?
«Se compariamo questo Parlamento ad altri nazionali non è male, però continua ad essere insufficiente. Il numero delle donne elette non coincide con la loro importanza nella società e credo che anche la quantità faccia la differenza. Bisognerà vedere se aumenteremo il nostro numero alle elezioni di giugno. All'interno del mio partito (il Fidesz, conservatore ungherese), ad esempio, il numero di donne nelle liste elettorali rimarrà uguale a quello del 2004».
Intende dire che non aumenterà?
«Credo di no. E lo stesso succederà all'interno di tutti i paesi e di tutti i partiti».
Il suo partito non metterà l'accento sull'uguaglianza di genere durante la campagna elettorale?
«Per niente. E la cosa peggiore è che i votanti non sembrano interessati a questi temi perché viviamo ancora in una società troppo paternalista».
La preoccupa la condizione dei rom in Ungheria o in Italia?
«Dalla caduta del comunismo, la condizione dei rom nei Paesi dell'Est non ha smesso di peggiorare. Nell'Europa occidentale, il caso italiano è solo la punta dell'iceberg. Mi preoccupa in special modo il crescente sentimento anti-rom in questa epoca di crisi economica. Inoltre, non vedo i soldi da nessuna parte. Bruxelles approva i magnifici programmi di integrazione presentati da ogni stato membro, però non si preoccupa di verificarne il compimento».
Cosa ostacola la comunicazione tra i rom e i gagé (maggioranza non rom)?
«Pregiudizi e assenza di spazi comuni...»
In che senso?
«Non esistono spazi comuni di lavoro. Durante il regime comunista, ogni cittadino rom si presentava tutte le mattine al lavoro, insieme ai gagé. Allora avvenivano anche molti matrimoni misti (io stessa sono figlia di un matrimonio misto), mentre oggi non ce ne sono quasi più perché i rom non hanno lavoro. Il 90% dei rom dell'Ungheria sono disoccupati o lavorano nel mercato nero. Dall'altra parte, i media non agiscono con responsabilità alimentando i pregiudizi sui rom ed ingigantendo i loro difetti. Nemmeno gli esperti di cultura romanì sanno di ciò che parlano, poiché disgraziatamente non esistono dati ufficiali sui rom».
Quale priorità segnala per migliorare la comunicazione?
«Stessi centri di lavoro e stesse scuole per rom e per gagé».
Prima publicazione 20 aprile 2009.
Translated from Lívia Járóka: mujer, gitana y europarlamentaria