L'Italia ha un serio problema con il diritto di aborto
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Con un documento pubblicato lunedì 11 Aprile, il Consiglio d'Europa ha confermato che le donne in Italia incontrano "sostanziali difficoltà" ad accedere ai servizi di aborto, principalmente a causa dell'enorme numero di casi di obiezione di coscienza da parte dei medici. Ma qual è la situazione, nella pratica?
Parlare del diritto di aborto in Italia è in fondo una tematica sempreverde. Una di quelle polemiche che non muoiono mai, un tema di dibattito da mettere sul tavolo in caso di mancanza di argomenti o se si avverte il fervente desiderio di assistere ad un duello rusticano tra i favorevoli ed i contrari presenti.
In realtà non ci sarebbe molto da discutere. Esiste una legge in Italia, la 194/1978, che tutela il diritto di qualsiasi donna ad abortire entro i primi 90 giorni dal concepimento, o entro i primi 5 mesi in casi particolari specificati dalla legge stessa. Legge che garantisce anche i diritti del personale sanitario: è sufficiente dichiararsi obiettori di coscienza per non dover attuare una pratica medica che andrebbe contro le proprie convinzioni etiche. Tutto chiaro, semplice e stabilito insomma. Non esattamente.
Obiettare, obiettare e obiettare
A rovinare un impianto legislativo che potrebbe altrimenti funzionare come un orologio sfortunatamente è proprio la formulazione della legge stessa. Non viene infatti posto alcun limite, pratico o numerico, all'obiezione di coscienza da parte del personale sanitario. Nessuna misura specifica affinché il diritto di aborto e quello di obiezione vengano rispettati in maniera efficiente. E questo, negli ultimi 38 anni, ha creato un numero di obiettori incredibilmente elevato. Le cifre sono impietose: secondo gli ultimi dati rilasciati nel 2015 dal Ministero della Salute (aggiornati al 2013), la percentuale media dei ginecologi obiettori lavoranti nella sanità pubblica italiana è del 70%. E sono ancora più sconcertanti al sud Italia, con punte del 93.3% e 90.2% in Molise e Basilicata.
La situazione non è però sfuggita all'occhio del Consiglio d'Europa: in un documento pubblicato in data 11 Aprile 2016 ha infatti accolto una mozione presentata dalla CGIL nel 2013, confermando sostanzialmente le difficoltà oggettive che le donne incontrano oggi in Italia per accedere ai servizi di aborto.
«Il problema principale del diritto di aborto in Italia non è l'esistenza dell'obiezione di coscienza in sé, è che ce n'è semplicemente troppa». Commenta così il dott. Emilio Arisi, ginecologo ed ex membro del consiglio direttivo della SIGO (Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia), intervistato da cafébabel. «E questo genera inevitabilmente enormi problemi organizzativi nella gestione del personale, numericamente esiguo, tra le diverse strutture». Tale criticità emerge chiaramente anche nel documento pubblicato da Strasburgo. Secondo le informazioni fornite dalla LAIGA (Libera Associazione Italiana Ginecologi per l'Attuazione della legge 194), l'elevatissima percentuale di obiettori metterebbe moltissime strutture sanitarie nelle condizioni di non poter assicurare per nulla il servizio di aborto, nonostante la presenza di un funzionante reparto di ginecologia. E nella lista fornita dalla LAIGA figurano anche ospedali dal nome importante, come il Policlinico Universitario Tor Vergata a Roma, gli Ospedali Civili di Brescia o l'Ospedale San Paolo di Bari. Sono inoltre numerose le strutture dove vi è la presenza di un solo medico non obiettore nel reparto, con la conseguente sospensione di tutte le pratiche di aborto in caso di sua assenza temporanea , o completa chiusura del servizio stesso in caso di pensionamento o morte del ginecologo non obiettore.
Il vero problema è quello che non si vede
Le conseguenze? Liste di attesa lunghissime, minor attenzione e tempo disponibile per le pratiche mediche e le informazioni del caso, ma anche vere e proprie migrazioni di donne in provincie o regioni confinanti per abortire. Donne a cui il diritto di aborto viene evidentemente negato nella struttura sanitaria ad esse più vicina. Ma c'è dell'altro: oltre alle violazioni del diritto alla salute per le donne, secondo il Consiglio d'Europa vi sono anche gli estremi per ravvisare l'esistenza di vari episodi di discriminazione sul lavoro subiti dal personale sanitario non obiettore.
«Il Ministro della Salute Lorenzin sostiene che il diritto di aborto è garantito in Italia... Si, sulla carta, forse. Ma questo accade costringendo dei medici a praticare unicamente aborti, per tutto il giorno, ogni giorno. Non una condizione di lavoro ideale, fisicamente e psicologicamente. Non è etico» sostiene Arisi. Quella che viene a crearsi è in qualche modo una profonda spaccatura, a livello professionale e personale, tra i medici obiettori e quelli abortisti. Una specie di divisione tra ginecologi "della morte", che a causa dell'obiezione di coscienza dei colleghi di reparto si vedono costretti a prendere in carico tutte le richieste di aborto ricevute dalla struttura sanitaria dove lavorano (e non riescono quindi a fare null'altro), e medici "della vita" che si occupano di tutto il resto. E non è tutto. «Sono personalmente a conoscenza di pressioni fatte a dei medici ginecologi, con lo scopo di farli divenire obiettori di coscienza promettendo in cambio un avanzamento di carriera», afferma Arisi. «Questo accade solitamente per ragioni di comodità politica, in particolari amministrazioni locali dichiaratamente contro l'aborto. Avere un primario abortista sarebbe quantomeno scomodo».
Soluzioni radicali, ma non troppo
Ma quale sarebbe la soluzione per permettere l'applicazione effettiva della legge 194 e riequilibrare l'altissimo numero di medici obiettori? Secondo Arisi, la soluzione sarebbe «Fare dei concorsi ad hoc, riservati a non obiettori. Gente che per contratto non possa dichiararsi obiettore una volta firmato. Oggi obiettare è fin troppo semplice: basta una comunicazione scritta al caporeparto, senza alcun preavviso e con effetto immediato». Tuttavia, come sottolinea lo stesso medico «Un concorso del genere non è pensabile, con la normativa attuale. Risulterebbe discriminatorio. Bisognerebbe modificare la norma che regola le assunzioni nella sanità pubblica, ma può farlo solo il governo. Si mettesse una mano al cuore e una al portafoglio...».
Al cuore, al portafoglio e ai dati, verrebbe da aggiungere. Quelli che forse il Ministero dovrebbe leggere meglio, prima di minimizzare il problema e sostenere che il diritto di aborto è garantito in Italia. Evitando così di mettere in pratica l'ennesima storia all'italiana. Anzi no: in quelle vige il motto "Non vedo, non sento e non parlo".
Qui invece parlano tutti, tutti dicono qualcosa, ma nessuno arriva ad una soluzione. Purtroppo.