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L'Italia delle "gaffe" che non conosce i suoi giovani 

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societàPalermo

(Opinione) Dietro alle dichiarazioni del ministro del Lavoro Poletti sui giovani italiani emigrati all'estero, "Conosco gente che è bene sia andata via, questo Paese non soffrirà a non averli tra i piedi", continuando affermando che quelli che rimangono "Non sono tutti dei pistola", c'è una classe dirigente che ha non solo sacrificato una generazione, ma che non ha gli strumenti per capirla. 

Bamboccioni, mammoni, choosy e poi gli acronimi e le categorie della sociologia moderna: Neet se non studiano, lavorano e cercano lavoro, "startuppers" se si lanciano nella grande favola dell'economia moderna dell'autoimprenditorialità dove uno su mille ce la fa. Forse. E adesso alcuni persino "da tenere volentieri fuori dai piedi". Ma insomma, chi sono e cosa vorranno questi millennials italiani? Bambini viziati, schizzinosi e sfaticati dipendenti dagli smarthphone, eterni adolscenti che non vogliono crescere, o magari più semplicemente giovani adulti che cercano solo una vita normale come i loro padri o i loro nonni?

Inutile nascondersi dietro un dito: la generazione Y, soprattutto quella italiana, non avrà lo stesso tenore di vita di quella dei Baby boomers e dei loro padri, che dopo aver vissuto le privazioni della guerra hanno visto una società dove c’era sostanzialmente solo da guadagnare. Ma tra questa ambizione comunque legittima e il 36,5 % di disoccupazione giovanile, una fuga di decine di migliaia di giovani all’estero e il lavoro "pagato" con 12,5 milioni di quei magici tagliandini chiamati voucher (passati da mezzo milione nel 2008 a 121,5 milioni nei primi dieci mesi del 2016) ci sarà pure una via di mezzo più morbida. Una via diversa, per avere non tanto la professione dei sogni, ma un impiego per vivere tranquillamente, mettere su famiglia, o semplicemente uscire dal tetto dei genitori e trovare un posto al mondo. 

A questo potremmo aggiungere che, secondo i dati Eurostat, il 67% dei giovani italiani vive con mamma e papà. Per capirci in Francia sono il 34,5%, in Germania il 43,1%, nel Regno Unito  il 34,3% e in Danimarca il 19,7%. A questo possiamo aggiungere che nel 2015 i nuovi nati in Italia sono scesi a quota 488mila, confermando i trend del paese con il più basso tasso di natalità d'Europa. Le cause sono ovvie: dalla mancanza di politiche di welfare alla difficoltà di inserirsi nel mercato del lavoro, combo che ci regala le mamme più vecchie d'Europa e quelle "mancate" che devono scegliere tra famiglia e impiego lavorativo. Poi c'è persino qualcuno che, non a torto, sostiene che in realtà sia proprio l'occupazione femminile ad alimentare la fertilità, ma solo in un forte sistema di welfare. E questo spiegherebbe perché l'Italia, terzultima in Europa per numero di donne occupate (lavora solo il 57% delle donne tra i 25 e i 54 anni) ha un tasso di natalità dell'1,3%, contro l'1,9% della Svezia, dove lavora l'83% della popolazione femminile. Da queste parti, invece, ci ricordiamo bene le discutibili politiche del ministero della Salute, che per incentivare la maternità sembravano più colpevolizzare gli uomori delle donne italiane che l'economia. 

Giovani, questi sconosciuti 

Ma ora parliamo di lavoro. Come si può fare il ministro di un Paese che sta letteralmente perdendo una generazione e dichiarare di conoscere dei «giovani che sono andati fuori dall’Italia che è meglio non avere tra i piedi», ed insistere inoltre sul fatto che «gli altri che restano non sono pistola»? Dietro la scelta di decine di migliaia di ragazzi tra i 18 e i 35 anni c’è un progetto di vita, un esilio felice o a volte forzato, lontano dalla famiglia e dal luogo in cui sono nati. Storie che per la maggior parte sono fatte di valigie non più ricucite con lo spago, ma con la difficoltà di condensare in 23 chili (quando va bene) vestiti, spazzolino da denti e ricordi da portarsi indietro in anni di nomadismo, affitti in tuguri minuscoli nelle metropoli europee da condividere con dei coetanei, amori a distanza con la speranza di ricongiungersi, portate di cibo spedite dalla nonna con un bigliettino e qualche ricordo dell’infanzia, di auguri al telefono, lacrime e sorrisi su Skype, di notti passate sui siti delle compagnie aree per tornare a Pasqua e a Natale, di paragoni impietosi ed imbarazzanti con quasi tutta l'Europa

Dall’altra parte non ci sono "pistola": ha ragione il ministro Poletti su questo, solo che ha omesso la verità. Molti di quei ragazzi, ultimi giapponesi ad arrendesi, ci andrebbero pure all'estero, ma non ce l’hanno fatta: perché non si potevano permettere l’avventura, perché non hanno avuto il coraggio di fare un passo che non è scontato, perché si sono intestarditi a cambiare le cose e sono restati o tornati, portandosi dietro magari qualche rimpianto. Perché in fondo lo sanno in molti: non c’è bisogno di essere esterofili, choosy o bamboccioni per farsi due conti in tasca e provare a regalarsi un futuro normale fuori da un paese di dinosauri, come diceva il professore di medicina a Luigi Lo Cascio in una scena cult del film di Marco Tullio GiordanaLa Meglio Gioventù.

Badate bene, è una scelta difficile, dove spesso i sogni dell’Eldorado si infrangono contro la dura realtà, perché non tutti sopravvivono nella giungla di Londra, Parigi, Berlino e altre metropoli o città di medie dimensioni, dove sei un granellino di sabbia in mezzo al mare. 

E poi ci sono i Neet. Esistono in tutto il Continente, ma in Italia sono il 27 %. Non studiano, non lavorano e non cercano un lavoro, perché sono scoraggiati da un sistema Paese che si è dimenticato di loro, e non li capisce. Altri ci hanno provato, ma hanno gettato la spugna, altri ancora avrebbero bisogno forse di una strigliata di orecchie, ma con queste condizioni servirebbe a poco. Senza dimenticare l’esercito dei precari a cui si racconta la frottola per cui il posto fisso non esiste più e la flessibilità è una manna che cade dal cielo, perchè significa libertà e opportunità. Consigli non richiesti che arrivano sempre dall’alto, dal paternalismo infido, da chi quel posto ce l’ha da quando aveva vent’anni e che se lo tiene stretto.

Diciamo le cose come stanno. Da alcuni anni i governi italiani si lasciano indietro i giovani. Anzi, non li capiscono proprio. E il governo che si incoronava come l’artefice della stagione della rottamazione e del cambiamento è più che mai lontano da una generazione che non ha capito e che lo ha massacrato al referendum costituzionale, non solo per difendere la vecchia Costituzione dei nonni, ma per esprimere il muro che divide i suoi problemi dall'agenda della politica. "L’Espresso" ha pubblicato una lettera di una giovane ricercatrice che vive in Francia. Il titolo dice tutto e vale la pena di essere ripreso. “Caro Poletti, avete fatto di noi i camerieri d’Europa”. Non fa una piega. 

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Pubblicato dalla redazione locale di cafébabel Palermo.