Lione-Torino: scontro ad alta velocità
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La Tav, linea ferroviaria ad alta velocità, forse collegherà anche l’Italia e la Francia: ma deve prima fare i conti con una popolazione in lotta per la propria identità locale. Anche se va contro gli interessi dell’integrazione europea.
Lo chiamano Corridoio 5: è il serpentone ferroviario che collegherà Kiev a Lisbona, forando le Alpi. In Italia è semplicemente la Tav della discordia di una valle di frontiera, la Val di Susa, attualmente teatro di manifestazioni, sit-in e finte bombe.
Storia ad alta velocità
Nel settembre 2001 la Commissione Europea, facendo il punto sulla situazione ambientale, presenta la carta bianca dei trasporti per promuovere una mobilità più sicura e pulita. Pochi mesi prima, Amato e Jospinfirmavano gli accordi per creare una ferrovia ad alta velocità tra Italia e Francia, per potenziare le relazioni socioeconomiche tra i due paesi collegando Torino a Lione. Questa linea dovrebbe fare parte del Corridoio 5, la futura ferrovia commerciale Kiev-Lisbona che unirà i principali nodi industriali e commerciali europei. E, toccando anche il porto di Marsiglia, favorirà la circolazione delle merci provenienti dagli altri continenti, Estremo Oriente in primis.
Per i politici italiani, far rientrare la Tav Torino-Lione nel progetto di Bruxelles è stata una priorità: non solo per accedere ai finanziamenti destinati alle grandi opere dell’Ue, ma soprattutto per integrare l’Italia nell’economia europea. Ma la popolazione dice No.
50x60.000 in rivolta
La Val di Susa è un lembo di terra di cinquanta kilometri che si srotola da Torino al Frejus, popolata da 60.000 persone. Che il 16 novembre scorso si sono riunite in corteo a gridare «No tav!»: ed erano addirittura in 80.000. Infatti, nel crescente tam-tam mediatico di protesta, i valsusini sono stati nel frattempo eletti a simbolo nazionale di chi lotta per difendere la propria terra dagli sfregi di globalizzazione ed edilizia sfrenata: e così tra i manifestanti c’erano anche delegazioni del Monte Bianco, del Brennero, della anti-Tav del Mugello e i liguri del Terzo Valico.
Ma perché tanto accanimento? I valsusini temono per la propria terra. Le montagne sono ricche di uranio e amianto. Ma finché non verranno compiute le analisi non si saprà se il problema è ovviabile, e nel dubbio la popolazione ostacola i carotaggi con sit-in e manifestazioni spontanee. Inoltre i lavori dureranno almeno fino al 2018, minando quindi la quiete della montagna; e una galleria infine spezzerà a metà una valle abitata da gente che, dopo anni di lotta partigiana e tra fonemi di patois, ha acquisito un’identità molto forte.
Un ostacolo per le olimpiadi?
Intanto il popolo è in rivolta. E con lui le amministrazioni di centrosinistra – che si discostano dalle posizioni dei loro partiti di riferimento –, e i sindacalisti, anch’essi presenti nonostante la Cgil-Cisl e Uil si sia dichiarata a favorevole della Tav per le possibilità economiche che offrirebbe al territorio. I valligiani manifesteranno ancora il 28 novembre, la Regione incontrerà le amministrazioni locali, e il grido «No tav!» rimbomberà anche durante lo sciopero generale del 25 novembre, tra le proteste dei sindacati sulla nuova Finanziaria. E si teme il peggio, dopo gli allarmi bomba degli scorsi giorni e la minaccia di boicottare le Olimpiadi del 2006.
Intanto l’Ue ha inviato delle lettere alla Presidente della Regione Bresso e al Ministro dei Trasporti Lunardi: niente finanziamenti e revisione del tracciato se i lavori non partiranno entro l’anno. La partecipazione dell’Italia ad un’“integrazione europea socioeconomica ad alta velocità” sembra dipendere dalla Val di Susa. Il braccio di ferro continua.