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L’inesorabile tic tac demografico

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In Europa gli anziani abbondano. Ma anche nell’intraprendente Cina si cominciano a intravedere le prime rughe.

1° gennaio 2050. L’ultimo quotidiano europeo, Club 38, dedica la sua prima pagina all’imminente estinzione della razza umana, l’ultima delle specie animali viventi. Con i suoi titoli evocatori e ad effetto come “Morte annunciata di una civiltà di 9.865.124.456 anime”, “Fine della corsa per un bambino troppo viziato dalla natura”. E ancora “L’Arca di Noè assomiglia sempre di più al Titanic”, l’ultimo numero della rivista paneuropea firma l’atto di decesso dell’umanità.

Come si potrebbe immaginare una simile testata giornalistica oggi? Perché questa rovina demografica non sarebbe possibile? Dopotutto non c’era già chi negli anni Ottanta aveva predetto che saremmo divenuti più di 20 miliardi nel 2050?

Tra allarmismo e relativismo l’invecchiamento demografico oggi più che mai fa discutere, non tanto sulle cifre, ma riguardo alle sue conseguenze socio-economiche.

Vecchio Continente o continente di vecchi ?

Se la tendenza attuale rimane invariata la popolazione dell’Ue nel 2050 sarà allo stesso tempo la più vecchia e la meno numerosa dei grandi paesi o insiemi di paesi. Le ragioni sono diverse: debolezza del tasso di natalità nella maggior parte degli Stati membri, allungamento della speranza di vita, baby-boom e movimenti migratori. Da qui alla metà del Ventunesimo secolo il numero delle persone aventi tra i 15 e i 64 anni dovrebbe diminuire di 48 milioni, mentre quello di chi ha più di 65 anni aumenterà di 58 milioni. L’Europa conterà allora 18 milioni di bambini in meno di oggi.

Da qui al 2030 mancheranno al mondo del lavoro dell’Unione europea circa 20,8 milioni di persone in età lavorativa, ovvero il 6,8 della popolazione totale. Buone notizie invece per quanto riguarda l’aumento della speranza di vita: se oggi si situa sui 76,8 anni (media tra uomini e donne), dovrebbe raggiungere gli 81 anni per gli uomini e gli 86 per le donne verso il 2050.

Cronaca di un declino annunciato

Per Michel Loriaux, professore di demografia all’Ucl (Università cattolica di Louvain) non è tanto l’invecchiamento demografico a destare timori quanto la capacità di adattamento delle nostre strutture istituzionali e dei nostri sistemi di organizzazione a questa evoluzione. Loriaux non esita a criticare l’Unione Europea che si ostinerebbe a ripetere «tesi sorpassate e mai dimostrate su una presunta relazione esistente tra il tasso di crescita demografica e quello dell’economia».

Qual è dunque il segreto per un invecchiamento felice? Di certo è conservare la solidarietà tra le generazioni.

Cina, un esempio da seguire?

A livello demografico l’impero cinese sembra essere vittima della sua stessa storia.

Dalla rivoluzione del 1949 alla morte di Mao (1976) la Cina ha conosciuto tassi di natalità eccezionali, dovuti ad una politica di natalità molto forte. A partire dagli anni Ottanta si è imposta invece la legge del “figlio unico”, facendo passare nel giro di pochi anni il tasso di natalità dal 5% all’1,5%. Proiettandoci in avanti la Cina sembra seguire la stessa traiettoria dell’Europa: secondo la Banca Mondiale intorno al 2050 il numero di anziani si triplicherà, passando dai 100 milioni di oggi ai 300 milioni.

Sulla base di queste statistiche nel 1997 le autorità cinesi hanno dato il via ad una riforma del sistema pensionistico ereditato dal periodo di economia pianificata. Ma dieci anni dopo, mancando un capitalismo reale, il sistema continua a dimostrarsi difettoso. Va da sé che tra la necessità di fornire una pensione decente ad una popolazione in via di invecchiamento e l’esigenza di ricoprire una posizione competitiva a livello internazionale, la Cina è spinta verso un grande scarto economico.

L’invecchiamento: un problema di portata mondiale

La sfida demografica non ha più frontiere. E anche se le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo sono attualmente relativamente giovani un gran numero di questi Stati, secondo le previsioni, andranno incontro ad un invecchiamento senza precedenti. Secondo alcune stime il numero di persone anziane nei Paesi in via di sviluppo sarà più che quadruplicato, passando dai 374 milioni del 2000 ai 1.570 milioni del 2050. Al contrario nei Paesi sviluppati le persone anziane rappresenteranno il 33% della popolazione, contro l’attuale 19%, mentre l’età media sarà di 46 anni, contro i 37 di oggi.

Rispetto a questo fenomeno ci saranno tuttavia molte differenze tra le varie regioni del globo. L’Asia e l’America Latina registrano il tasso di invecchiamento più rapido e conteranno da qui al 2050 dal 20 al 25% di anziani. L’Africa subsahariana invece – sempre alle prese con la pandemia dell’Aids, combinata con altre difficoltà economiche e sociali – raggiungerà solo la metà di questa percentuale.

Translated from L’inexorable tic tac démographique