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L'Europa? Un matrimonio di interesse

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Adriano Farano

Certo, i cèchi e gli slovacchi diranno di « sì » all’entrata nell’Unione Europea. Ma senza entusiamo. Solo per voltar le spalle, una volta per tutte, al vecchio sistema.

Marek, Irena ed i loro compagni di università avevano vent’anni nel 1989. Per loro l’Occidente era un sogno inaccessibile. A meno di pagarne un prezzo carissimo. Quello dell’emigrazione illegale, col rischio di non poter più rivedere i propri cari, il proprio paese, per anni. Jarka ha compiuto il grande passo proprio quell’anno, prima della Rivoluzione di Velluto. Direzione Chicago. Come la maggior parte di quelli della sua generazione, la ragazza aveva lo sguardo rivolto verso gli Stati Uniti.

L’Europa? Niente da fare. Ma per colpa di chi? E’ difficile chiedere ai nonni di Marek, Irena e Jarka di essere affascinati dall’Europa occidentale: il tradimento di Monaco, nel 1938 (1), aveva frustrato le loro illusioni. E’ chiaro che quello scetticismo lo hanno poi trasmesso ai loro figli. Uno scetticismo cui poi si è aggiunta un’altra verità sul terreno: la latitanza, pesantissima, dell’Europa occidentale nel sostenere i dissidenti dei regimi comunisti.

Fiorellini.

Un’assenza che si è fatta ancora più forte durante la “normalizzazione” in Cecoslovacchia, dopo la sedizione della “Primavera di Praga” nel 1968 (2), quando invece gli anglosassoni hanno risposto all’appello. Non c’è che dire. Dei legami importanti si sono allora stretti tra i dissidenti dell’Est e i protagonisti della “contro-cultura” americana. A ciò si aggiunga l’assoluta mancanza di informazioni sulla vita in Occidente, ed otterrete una generazione per la quale, nel 1989, l’America si riassume in un paradiso pacifista, libertario e prospero, nel quale Bob Dylan strimpella tra una folla di hippy in delirio, nel bel mezzo di un campo trapunto di fiorellini.

Nemmeno l’ex-Presidente Vaclav Havel sfugge a questo entusiasmo: i gruppi rock underground d’Oltreoceano hanno svolto un ruolo importante nella dissidenza cèca. I musicisti cèchi di « Plastic people of the universe » si ispirano direttamente alla musica dei Velvet Underground.

“Vecchia Europa”

Il loro processo per dissidenza fu una delle molle del movimento d’opposizione della Carta 77, guidato dallo stesso Havel. Il rock nordamericano simbolizza infatti la libertà per i cèchi e gli slovacchi: Vaclav Havel ricevette personalmente i Rolling Stones durante il loro primo concerto a Praga poco dopo il 1989, e il presidente era solito passeggiare per le strade della capitale con gli occhiali da sole ed una t-shirt dei Velvet Underground. E’ questa l’America che seduce. Non certo l’Europa. Che invece appare vecchiotta, conservatrice e mesta.

Eppure quest’America mitica comincia a perdere terreno nell’immaginario collettivo dei cèchi e degli slovacchi. La realtà ha rapidamente preso il sopravvento: la transizione dal comunismo al capitalismo ha portato con sé dolori ed ansie. La disoccupazione mette in ginocchio diverse regioni dei due paesi, tra le quali spicca la Boemia settentrionale.

Mentre i giovani di Praga possono godere di più opportunità. Anche se vi sono altri elementi che li tormentano: i fast food che fioriscono dappertutto, un mercato cinematogarfico invaso dai film commerciali d’Oltreoceano, l’ansia provocata dalla disoccupazione... Quando si tocca l’argomento con loro è il fatalismo che prevale: “è il prezzo da pagare per la libertà”, avvertono. Un prezzo a volte fin troppo caro: queste ultime settimane molti giovani cèchi si sono dati fuoco, spesso in pieno centro storico. Due di loro hanno lasciato un messaggio per cui il loro gesto sarebbe da interpretare come una “protesta” contro l’evoluzione della società, nella quale “l’essere umano ha smarrito il controllo delle cose” a tutto vantaggio “del potere e del denaro, unici valori in grado di reggere la società”. Nella Repubblica Cèca, secondo Radio Praga, 6 adulti su 100.000 si suicidano. Un dato in linea con la media europea. Ciò che è inquietante è il tasso di suicidi tra gli under 18, che ha conosciuto una crescita vertiginosa nell’ultimo decennio: da 3 a quasi 10 giovani su 100.000.

Il grande vicino dell’Est...

Questo brusco passaggio ad un altro sistema, unito allo sbarco estemporaneo della cultura made in USA nel paese – così, senza transizione alcuna – non fa che scombussolare, dopo lo stupore degli inizi. Ma questa situazione ha anche convinto qualcuno, per reazione, delle radici culturali comuni che esistono con i loro vicini dell’Europa occidentale.

Ma questa tendenza è fragile e la paura del grande vicino dell’Est, l’ex-URSS, resta forte. Una paura che può spiegare, in parte, la smania di entrare nella NATO e, più recentemente, le dichiarazioni di Vaclav Havel a favore degli Stati Uniti nel conflitto iracheno. E’ da quella parte che vogliono stare. Sembra proprio che l’Europa non sia in grado di portargli una garanzia di credibilità.

Entrare nell’Unione Europea significa allora, prima di tutto, sperare di conseguire un livello di vita decente, un’economia regolata, quando invece la situazione cèca rimane sempre alquanto caotica. Gli affitti rappresentano spesso l’equivalente di uno stipendio. Lo scarto tra la retribuzione di un funzionario pubblico e gli impiegati delle imprese straniere lasciano di stucco.

L’arrivo delle marche occidentali e l’esplosione del turismo hanno fatto impennare i prezzi, soddisfacendo i pochi ed obbligando i molti a trasferirsi nella periferia della capitale o a vivere con i genitori ben oltre i trent’anni.

Ma oggi, malgrado queste difficoltà, Marek vive sempre a Praga: la Rivoluzione di Velluto gli ha evitato un doloroso esilio per realizzare il suo sogno: diventare fotografo e regista. Ormai è libero di realizzare i film che vuole, guadagna pochi soldi ma è felice: l’Occidente che sognava è venuto a lui, senza muoversi. Irena vive sempre a New York. All’inizio il grande valore attribuito laggiù al denaro l’ha scioccata. E non ha perso nulla del suo senso critico. Riconosce, ad esempio, degli elementi positivi, da un punto di vista sociale, nel vecchio regime. Ma non ha rimpianti: “questo sentimento, in Occidente, di poter scegliere di fare quel che si vuole, è estremamente prezioso”, sottolinea. Jarka è tornata per qualche mese a Praga. Ma non vi si sentiva più a proprio agio. “La mia patria è Chicago adesso, laggiù c’è un’energia che mi trascina, dice. Praga e Parigi sono delle città del passato”.

Per i giovani cèchi aderire all’Unione Europea è quindi innanzitutto una scelta economica ed una scelta di società “per difetto”: è la garanzia di voltare le spalle al comunismo. E’ ormai una scelta di ragione, lontana dalle illusioni che li animavano prima dell’89. Ma questo orientamento diverrà forse, col tempo, e man mano che i legami che li uniscono agli altri paesi del Continente si stringeranno, una scelta di cuore.

(1) Hitler, Chamberlain, Daladier e Mussolini si sono riuniti a Monaco nel settembre 1938. Gli accordi che sono risultati da questa conferenza hanno imposto alla Cecoslovacchia di cedere ad Hitler un terzo del suo territorio, abitato da tre milioni e mezzo di abiatanti, dei quali più della metà erano tedeschi (...). L’annessione delle regioni ha cominciato alle sei del mattino del 1° ottobre. Le truppe della Wehrmacht hanno occupato progressivamente le regioni del Nord-Ovest della Boemia e del Nord della Moravia. Quello stesso giorno il Presidente cecoslovacco Edvard Benes è stato invitato a presentare le sue dimissioni. Il 22 ottobre è andato in esilio a Londra. La tragedia è continuata. Una riunione ministeriale italo-tedesca a Vienna ha imposto di cedere il sud della Slovacchia e la Russia subcarpatica. La Cecoslovacchia ha perso più di un terzo del suo terrotorio, abitato da 4.800.000 di abitanti. (fonte : Radio Praga, http://www.radio.cz )

(2) Pavel Tigrid, « Le Printemps de Prague », le Seuil 1969

Translated from L’Europe ? Un mariage de raison