L’Europa deve restare aperta alla Sublime Porta
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valeria vivarelliL’ascesa al potere degli islamisti moderati in Turchia non è stata capita. L’Unione Europea Europa non può chiudere la porta in faccia ad Ankara. Non adesso.
Nel gestire la questione turca, l’Unione Europea si è imbattuta in difficoltà e ritardi endemici alla debolezza della sua politica estera. Come spesso accade, l’Unione Europea incontra le maggiori difficoltà nel pronunciarsi con una sola voce e spesso, invece di optare per un’azione decisa, preferisce rintanarsi in uno sterile status quo, aspettando giorni migliori.
La candidatura della Turchia si presenta indubbiamente in un momento delicato della storia della costruzione europea: nello stesso momento in cui i Quindici tentano di dotare l’Unione di una Costituzione e di preparare l’allargamento a 25 membri. In questo contesto l’intervento di V. Giscard d’Estaing ha avuto il merito di porre le domande giuste al momento giusto. Ritenendo necessario menzionare l’eredità cristiana europea nella futura Costituzione, di fatto ha costretto l’Europa ad interrogarsi sulla sua stessa identità e dunque anche sui limiti – religiosi, culturali, geografici – che dovrà prima o poi riuscire a definire. Tuttavia Giscard d’Estaing ha commesso un grave errore nel concentrare il dibattito principalmente sull’identità religiosa e, nel caso della Turchia, non si può fare a meno di notare una mancanza di lucidità e di lungimiranza nell’analisi del regime politico di questo Paese.
La Turchia come laboratorio politico del mondo musulmano
L’arrivo al potere del partito degli islamici “moderati” dell’AKP (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) è stata, per l’Europa, l’occasione di alzare un nuovo muro. Non si può fare a meno di rilevare che questa estrema reazione di chiusura esprime chiaramente una profonda ignoranza e una vera e propria mistificazione della scena politica turca.
La vittoria dell’AKP è stata spesso considerata come segnale di regresso della laicità politica turca e come rinascita dell’ideologia islamica, tipica del mondo musulmano di oggi. Occorre però innanzitutto capire di quale tipo di laicità si tratti.
L’AKP rappresenta una parte significativa della popolazione turca e si è sottoposta allo scrutinio popolare per giungere al potere. Si tratta di uno dei rari casi in cui un partito islamico raggiunge legalmente e senza scontri le più alte cariche dello Stato.
Oggi l’Islam, nella sua componente religiosa e politica, ha drasticamente bisogno di riposizionarsi all’interno di un dibattito intellettuale scevro da ogni tipo di violenza, tipico dello stato di diritto che permette una completa libertà di espressione. Una modernizzazione dell’Islam dovrà inevitabilmente passare per una modernizzazione politica dei Paesi musulmani e, dunque, la stabilizzazione dei partiti islamici nel paesaggio politico si avrà solo quando saranno in grado di accettare pienamente le regole del gioco democratico.
Ma la realizzazione effettiva di questa trasformazione necessita di un doppio processo. Innanzitutto di un processo endogeno: l’integralismo islamico ha dimostrato la sua totale incapacità di rispondere alle sfide economiche, politiche e socio-culturali della modernità e finirà per distaccarsi dalle popolazioni dei Paesi musulmani nel momento in cui avrà difficoltà a definire un progetto politico e a riunire le popolazioni attorno ad un’autentica e convincente ideologia. Si tratta anche di un processo esogeno dal momento che l’Occidente, e in particolare l’Europa, potrebbero porsi come attori di questo processo.
La Turchia simbolizza questa fase di mutazione e si trova al cuore stesso di questa trasformazione. La maggior parte dei Paesi arabi non coglie le differenze pur significative che intercorrono tra i regimi che essi hanno instaurato e la specificità turca. Per loro, si tratta semplicemente di un regime come tanti altri, in cui il potere è in mano ai militari. In realtà si tratta di due esperienze opposte visto che, in Turchia, il potere militare ha accettato l’arrivo al potere degli islamici, un potere indubbiamente rivisto e corretto per tentare di rispondere maggiormente ai principi della democrazia e della laicità.
Il nuovo rapporto fra Islam e Democrazia
Siamo di fronte ad un’occasione storica - e forse irripetibile - che l’Europa rischierà di perdere se non percepirà al più presto la specificità dell’esperienza turca e l’orientamento politico in cui Ankara si è posta in vista della sua adesione all’Unione europea. La questione va posta. Per molti Paesi, la prospettiva d’integrazione dell’Unione Europea è una questione che influisce profondamente sulla politica interna, sia nel medio che nel lungo periodo. Si può addirittura affermare che, per parecchi aspetti, questa prospettiva appare come uno dei fattori che permettono il loro ingresso in un processo di modernizzazione economica e sociale.
Grazie all’impulso dell’Europa, la Turchia si è dovuta porre delle domande fondamentali quanto alla natura del suo stesso regime. Il suo carattere laico proviene da Ataturk, ma è per l’Europa che la Turchia ha abrogato la pena di morte. Nel momento in cui analizziamo questa decisone in prospettiva, ad esempio sulla base dei dibattiti etici e morali suscitati in Francia da questa stessa abolizione, ci si rende conto del suo significato profondo per l’intera società. E, sempre dietro impulso dell’Europa, la Turchia dovrà essere in grado di mantenere nel tempo quella che può essere considerata come un’esperienza unica nel mondo musulmano: quella di vedere l’Islam secolarizzarsi e fondersi alla democrazia, instaurando così un rapporto radicalmente nuovo.
Tutti i paradossi nascono dunque dalla difficoltà di questi Paesi di accettare il metodo democratico. Lo scudo difensivo levatosi un po’ ovunque dopo la vittoria dell’AKP si traduce di fatto in una schizofrenia rivelatrice: l’Occidente non si accontenta di una maggiore diffusione della democrazia nel mondo, ma desidera anche che essa si plasmi a sua immagine e somiglianza. E’ proprio qui che l’Islam cade in una profonda crisi. Innanzitutto, perché si trova nell’incapacità di situarsi in termini spazio-temporali nel processo di modernizzazione. E questo produce una frustrazione generalizzata, un’angoscia diffusa, perché ha la percezione che questa modernità le scappi fra le dita o che non riuscirà mai ad appropriarsene. Il ritardo accumulato nel modo scientifico e tecnologico è emblematico di questa situazione, dato che il mondo musulmano, seppur capace di far ottimo uso della tecnologia, è dal VII secolo che non produce nulla di particolarmente innovativo. Per cui l’Occidente, sebbene non sia all’origine della crisi d’identità di cui soffre oggi l’Islam, comunque vi partecipa essendo indubbiamente il solo a poter escludere o includere gli altri nella "sua" modernità.
L’Europa, vettore di modernizzazione nel bacino del mediterraneo
La Turchia, a modo suo, ha scelto di volgersi verso la modernizzazione. Tuttavia l’assenza di risposte chiare alle domande turche comporta un’inquietudine profonda delle opinioni pubbliche europea e turca. Da un lato, è in gioco la definizione dell’identità europea e ci si interroga sul come definirla? Dall’altro ci si dimentica troppo spesso che la Turchia, a partire dalla fine della Prima Guerra Mondiale, ha avviato un palese processo di avvicinamento al mondo occidentale: dapprima grazie alla volontà riformatrice di Mustafa Kémal che, appoggiandosi al modello occidentale, ha permesso al suo Paese l’ingresso nella modernità; poi, tramite una costante collocazione pro-occidentale durante la guerra fredda, quando la Turchia giocava un ruolo preponderante nel contenimento dell’URSS (ingresso nella NATO del 1952, nel Consiglio d’Europa, nell’OCSE…).
Ma se la Turchia si vedesse negare l’ingresso nell’Unione Europea, il pericolo maggiore sarebbe quello di un’Europa non in grado di proporre alcun alternativa a un tale rifiuto. E’ vero che l’idea di un ingresso a breve della Turchia in Europa sarebbe sia utopica che suicida per varie ragioni. La candidatura della Turchia è oggetto di un lavoro capillare e complesso. Si tratta di avviare un processo di negoziazione che tenga conto di tutte le specificità turche. Ma il pericolo ci sarebbe soprattutto se l’UE cedesse a imperativi pragmatici e a decisioni affrettate. Innanzitutto l’Europa è bloccata nel suo progetto politico ( come è evidente dai numerosi ostacoli incontrati nell’elaborazione di una Costituzione europea e le difficoltà poste dall’allargamento da 15 a 25 membri).
Inoltre la Turchia deve, a mio avviso, far parte di una visione globale di modernizzazione e omogeneizzazione del bacino del mediterraneo. L’Europa non ha come compito quello di far resuscitare il Mediterraneo; ma di certo ha interesse, in un’ottica più pragmatica, a che i suoi affari risiedano e prolifichino in una regione che sia stabile politicamente, economicamente e socialmente. In effetti, i Paesi arabi accusano una carenza considerevole di risorse economiche, una debolezza - se non una totale assenza- del settore privato, una pesante struttura amministrativa e un settore pubblico pressoché arcaico. Di fronte a tali sfide, una visione globale della modernizzazione del bacino mediterraneo – in cui la Turchia potrebbe giocare un ruolo preponderante – favorirebbe l’emergere di un potente polo economico, integrerebbe e riconcilierebbe l’Europa con la sua vocazione universalista in materia di diritti umani. Il rischio grande rimane quello di un’Europa rinchiusa in frontiere invalicabili e di una “identità” che la renda entità asfittica, con la sola conseguenza di lasciare alle sue porte una periferia sottosviluppata, povera e priva di speranze.
Translated from L’Europe doit rester ouverte à la Sublime porte