L'Erasmus ai tempi della pandemia COVID-19
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Nicoletta SecondinoL'Erasmus permette agli studenti europei di programmare un semestre all’estero per immergersi in una nuova cultura, imparare una nuova lingua e conoscere altri studenti. Ma cosa accade quando si incontra sulla strada una pandemia?
Trasferirsi in una capitale di 4 milioni di abitanti; avere come migliore amico l’App Google Translate; passare del tempo con altri studenti stranieri e girare in lungo e largo il Paese di arrivo: tutto appare in linea con il tipico racconto dell'esperienza di scambio studentesco per eccellenza: l'Erasmus.
E così è stato, almeno inizialmente, anche per Ardian Ameti, uno studente di informatica. A febbraio di quest'anno è partito da Lubiana, in Slovenia, per un semestre a Kiev, in Ucraina. Ma dopo un mese e mezzo, ecco lo scenario inatteso: l’odore di disinfettante nei corridoi dello studentato; i controlli della polizia; le ambulanze che sfrecciano lungo le strade; le voci secondo cui ai medici viene chiesto di far finta che il nuovo virus proveniente dalla Cina sia soltanto una banale influenza.
Il 12 marzo, Ardian va a una partita di calcio, ma il giorno seguente il governo ucraino cancella tutte le manifestazioni pubbliche. Poco dopo, Ardian decide di lasciare il paese, così come fanno gli unici altri due studenti Erasmus che aveva conosciuto all’Università di Kiev. Ardian prende un volo che, passando da Varsavia, lo riporta a Lubiana. «Ho scritto all’Università che partivo perché non mi sentivo al sicuro», spiega. Ardian ha continuato a seguire le lezioni dell’Università ospitante da casa, terminando la sua esperienza di scambio a maggio.
Continuare l’avventura, oppure no?
Ci sono stati altri studenti che, invece, hanno deciso di rimanere nella destinazione Erasmus. «Sapevo che non sarei rimasta sola, quindi ho deciso di continuare l’avventura», racconta Marysia Lewinska, una studentessa di filologia russa a Breslavia che ha conosciuto il suo ragazzo durante il suo semestre di scambio a Skopje, in Macedonia. In quel periodo, Marysia ha anche pensato che fosse più sicuro rimanere nel paese dei balcani visto che in Macedonia c’erano meno casi confermati di Covid-19 rispetto alla Polonia.
La sua compagna di studi, Anna Gomza, invece, semplicemente non sapeva dove altro andare. Quando si è trasferita a Zagabria per lo scambio culturale, aveva già lasciato definitivamente il suo appartamento a Breslavia. Stava pensando di andare via dalla Croazia dopo il terremoto che ha colpito la capitale alla fine di marzo. «Abbiamo avuto davvero paura», dice. I suoi coinquilini internazionali hanno lasciato la città. Eppure, lei e il ragazzo sono rimasti.
«Mi sono sentita molto sola quando le lezioni sono iniziate durante il lockdown; ho cominciato a scivolare nell’ansia, nella depressione»
Martina Kvapilova è una studentessa originaria della Repubblica Ceca che è rimasta a Kaunas, in Lituania, dove stava seguendo un corso in Scienze sociali. In effetti, all’inizio della pandemia, anche qualora avesse voluto, non sarebbe potuta ripartire per la Repubblica Ceca. A marzo, dopo un breve viaggio fuori dal paese, era rientrata in Lituania il giorno stesso in cui il governo ha deciso di chiudere i confini. Conseguenza? Quattordici giorni di quarantena. Successivamente, quando ha potuto lasciare il suo appartamento, ha deciso comunque di rimanere a Kaunas perché temeva problemi con i documenti di viaggio. «Non ho preso il pullman per il rimpatrio perché pensavo che non c’era differenza se avessi frequentato le lezioni qui oppure da casa», racconta. «È stata la decisione sbagliata», aggiunge con il senno di poi, dopo un lungo viaggio - per lo più insonne - che l’ha portata da Kaunas a Vienna, dove ora attende un pullman che la riporti indietro al suo paesino di origine in Repubblica Ceca.
«Mi sono sentita molto sola quando le lezioni sono iniziate durante il lockdown; ho iniziato a scivolare nell’ansia, nella depressione. L’Università ha fornito aiuti, webinar, ma non c’era niente di nuovo per me, conoscevo già tutto dal mio primo anno di psicologia». Il fatto di aver lasciato lo studentato per andare in un appartamento non ha aiutato. Con il lockdown, i compagni di stanza lituani erano tornati a casa. E Martina è rimasta sola. «Direi che le persone nei dormitori potevano giocare, parlarsi come prima della pandemia», spiega. «Ma chi non viveva negli studentati - come è capitato a me - non poteva entrare in contatto con gli altri studenti».
Erasmus da casa
In generale, per Anna, Ardian, Martina e Marysia, le lezioni sono riprese abbastanza rapidamente in modalità telematica anche se i professori si sono adattati lentamente all’ambiente di insegnamento digitale. Alcuni professori hanno iniziato con l’assegnare esercizi che dovevano essere svolti durante le ore di lezione. Ardian doveva postare il segno "+" nella chat su Telegram per confermare la propria presenza nel corso. La maggior parte dei professori, tuttavia, si è abituata a insegnare tramite Zoom. Le limitazioni imposte dalla distanza hanno persino generato creatività inaspettata. Ardian non può che ridacchiare quando descrive come una professoressa abbia permesso agli studenti di gironzolare nel suo appartamento prima che si recasse in cucina a preparare un soufflé come parte della lezione.
«Credo che le lezioni on line siano meno efficaci»
Il nuovo ambiente di apprendimento è risultato una sfida non solo per i professori, ma anche per gli studenti. «I professori hanno iniziato a darci più esercitazioni di quanto non facessero prima», nota Martina. Molto probabilmente perché online gli studenti non erano tanto attivi quanto dal vivo. È diventato tutto più stancante. «Credo che le lezioni digitali siano meno efficaci», dice Marysia, «perché è più difficile concentrarsi».
Per Ardian, era diventato anche più impegnativo capire cosa esattamente i professori si aspettassero per gli esami. Anna, invece, ha capito che studiare da casa era più comodo che frequentare i corsi all'università. «Generalmente, si hanno lezioni distribuite su tutta la giornata, non si sa mai dove andare fra una lezione e l'altra. Quando si è a casa, è più facile fare altre cose».
Esplorare stando a casa
Essere confinati in un appartamento potrebbe rappresentare una limitazione per gli scambi tra studenti, ma in realtà non impedisce di rimanere in contatto con le persone. Gli studenti che Martina ha conosciuto prima del lockdown le hanno insegnato non solo la cultura del posto, ma anche cosa voglia dire vivere nei loro paesi d'origine.
Grazie agli amici e al suo ragazzo, Marysia ha anche conosciuto meglio i Balcani. Tutto questo nonostante le possibilità limitate di viaggiare nella penisola. In particolare, ha scoperto soprattutto gli aspetti culturali e storici del luogo. Inoltre, ha anche potuto migliorare il suo russo in quanto era la lingua che usava per comunicare con i professori.
Oggigiorno, Ardian è in contatto con gli altri studenti ucraini della sua classe, principalmente attraverso la chat comune su Telegram. Malgrado abbia lasciato il paese di corsa, dice di aver imparato molto dallo scambio e forse vuole partire di nuovo per andare in Ucraina - almeno per recuperare gli effetti personali che lo stanno ancora aspettando nel suo studentato a Kiev.
Immagine di copertina: Veronica Snoj
Translated from An Erasmus exchange under quarantine