L’era Berlusconi: dove l’impossibile diventa realtà
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Fine giugno 2009. In Italia impazza da un paio di mesi – ormai stancamente, a dire il vero – il Papigate, ovvero lo scandalo personale e sessuale, ma in fin dei conti mai veramente politico, di un premier che, a detta della sua quasi ex moglie, Veronica Lario, «frequenta le minorenni». Inchiesta sul tracollo di un Paese.
Anche quando la barca sembrerebbe affondare – perché in realtà non affonda mai, sondaggi alla mano – Berlusconi non perde il vizio di trattare le donne, siano escort o ministre, come delle prede: «Non ho mai pagato una donna. Non ho mai capito che soddisfazione ci sia se non c'è il piacere della conquista», dichiara ai giornali per smentire la escort Patrizia D'Addario che ha, da poco, rivelato di aver passato una notte con lui proprio mentre Barack Obama veniva eletto Presidente degli Stati Uniti. Qualche giorno fa, in pieno torpore agostano, Berlusconi rilancia: «I giornali continuano a dire che odio le donne. Se c'è qualcosa che adoro sono le donne, anche ministre». Non ne dubitavamo. Ma gli exploit di Berlusconi – ormai noiosissimi déjà vu, ammettiamolo, buoni solo per una conversazione sotto l'ombrellone – forse aiutano a capire qualcosa di un Paese sempre più impazzito e stanco, dove l'impossibile è da tempo diventato realtà.
Viviamo in una “videocracy”
Il Papigate è un fenomeno che va ben al di là del folklore berlusconiano, è una rivoluzione antropologica e culturale, come hanno raccontato nei loro documentari Erik Gandini, autore di Videocracy, e il tandem Lorella Zanardo Marco Malfi Chindemi, regista de Il corpo delle donne. I corpi femminili, sui media italiani, sono dappertutto e spesso gli stessi: giovani, ammiccanti, rilucenti, esibiti, curati fino all'ossessione, adulati ma anche ridicolizzati, e chi non ci ride su, secondo l’opinione dominante, è per forza invidioso o frustrato. Per il quotidiano di centrodestra Libero, la ex moglie di Berlusconi è una «velina ingrata» perché ha accusato pubblicamente il marito, e le giovani precarie che affollano le redazioni dei giornali durante l’estate lo spunto per distrazioni pseudoletterarie. Dai media alla politica, poi, la distanza è breve. C’era una volta l’Italia di Nilde Iotti e Tina Merlin, quella di oggi è piena di categorie socioprofessionali sconosciute in altri paesi: veline, meteorine, letterine e letteronze, ovvero showgirl di varia specie, ormai assunte a vere e proprie icone pop e spesso prestate alla politica, anche con grande successo di popolarità, dopo un sapiente restyling.
Dai calendari sexy alla politica
Il caso più celebre è il Ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna, passata in un paio d'anni da un calendario senza veli di Max all'elogio di «Dio, patria e famiglia» e di «Roma culla della cristianità». Ugualmente anticonformista, almeno per i corridoi di Bruxelles, il cursus honorum della neoeuroparlamentare Barbara Matera, classe 1981, ex attrice di fiction televisive, annunciatrice RAI e prefinalista al concorso di Miss Italia. Scarno il curriculum pubblicato sul suo sito istituzionale, tristemente deserte le pagine sulla sua attività politica. Una cosa è certa, però, a 28 anni suonati Matera si sta per laureare: «Nel 2009, ultimati gli esami universitari, accetta la candidatura al Parlamento Europeo nelle liste del Popolo della Libertà per il Collegio Sud. Discuterà una tesi di laurea sulla Riforma della Scuola Media in Italia». Degna di nota anche Francesca Pascale, ex collaboratrice del programma Telecafone in onda su una TV locale – ormai di culto la sua performance nel video «Se abbassi la mutanda si alza l'auditel» –, ideatrice del comitato in rosa «Silvio ci manchi» – Silvio Berlusconi, ovviamente, ai tempi in cui era all’opposizione – e oggi consigliere provinciale a Napoli per il PDL nonché collaboratrice dell'ufficio stampa del Ministero per i Beni culturali.
«Non essere docili, ripartiamo da qui»
Insomma, sembra che ci sia davvero di che ribellarsi. In tutto questo bailamme dove sono finite le donne? E le femministe? Se lo sono chiesti in molti, a partire dalle dirette interessate. Dopo il j’accuse lanciato dalle pagine dell'Unità dalla politologa Nadia Urbinati («Bisogna ripartire da capo. Dalle cose essenziali. Lanciare un appello, per esempio. Alcune donne si preparano a farlo: lanciare appelli non è un modo vecchio di agire. È nuovo, oggi. Non essere docili, ripartiamo da qui») e gli interventi di scrittrici, attrici e docenti universitarie, ultimo dei quali quello di Chiara Volpato sul New York Times (26 agosto), il dibattito sembra almeno riaperto. È sempre lo stesso, però: autoreferenziale, fatto di appelli e controappelli, appunto, qualche conferenza e poco altro.
I gruppi femministi sono numerosi e molto attivi, in Italia, ma faticano a fare rete e, se ci riescono, non intercettano molti consensi tra le nuove generazioni. Mancano non solo luoghi di aggregazione – con qualche eccezione, come la Casa internazionale delle donne di Roma –, ma soprattutto un nuovo modo di fare politica, più strutturato e meno di testimonianza, e quindi attento alla mobilitazione e al reclutamento di nuove attiviste con strumenti vecchi e nuovi, inclusi i social networks. Parafrasando Kissinger, viene da chiedersi: «Dove devo chiamare se voglio parlare con il movimento delle donne?»