Leggere la Città: New York Stories di Paolo Cognetti
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Alla libreria Gogol&Company, lo scrittore milanese Paolo Cognetti ha presentato il suo ultimo libro, New York Stories: un compendio di racconti dei più grandi scrittori del Novecento americano, in un viaggio sentimentale per le strade della Città splendente.
"È un mito, la città, le stanze e le finestre, le strade che sputano vapore; per ognuno, per tutti, un mito diverso". Inizia così il racconto di Truman Capote, tra i ventidue scrittori presenti in New York Stories (Einaudi), l’ultimo libro di Paolo Cognetti, presentato nella libreria Gogol&Company di via Savona, a Milano. E continua: "Questa isola che galleggia su acqua di fiume come un iceberg di brillanti, chiamatela New York, chiamatela come vi pare".
Capelli rossi, barba incolta e il suo inconfondibile stile casual 90's. Lo si riesce a immaginare Paolo, mentre ripercorre la Fifth Avenue o attraversa Washington Square nel cuore del Greenwich Village. Perso tra i suoi pensieri e la voglia (o il bisogno) di stare solo. Non da una mappa, Cognetti si lascia guidare dalla prosa di Henry Miller nel 14esimo distretto di Brooklyn o in Humboldt Avenue nel Bronx da Mario Soldati.
Lo scrittore dei racconti, Paolo Cognetti, questa volta ha dato spazio ad alcune tra le più grandi penne della letteratura mondiale in cui prendono vita movimento e cambiamento, amore e disamore, perdizione e solitudine. Un libro terribilmente attuale nelle emozioni di chi annaspa, vince o perde nella Città splendente che cambia pelle a ritmi frenetici, impossibile starle dietro. Una città, in altre parole, che porta a fare i conti con sé stessi. Da Milano, la città d’origine di Cognetti, a New York, si rintracciano le differenze di due grandi metropoli che esigono un duro allenamento all’essere costantemente sul pezzo. "NY non aspetta nessuno", racconta Cognetti durante la presentazione, "se vai via una settimana, al tuo ritorno sembra che tutto sia cambiato".
Racconto dopo racconto, si viaggia nel cuore pulsante della grande mela, attraverso le firme di Francis Scott Fitzgerald, Dorothy Parker, Bernard Malamud - potendone scegliere uno, Paolo avrebbe voluto scrivere proprio Il barile magico -, Truman Capote, Oriana Fallaci, Don Delillo, solo per citarne alcuni. E Cognetti tesse la trama, unisce le epoche in cui i nomi già citati fanno vivere e respirare l’aria frizzante, il fervore di una delle città più amate del mondo. I racconti potrebbero essere definiti noir, dato il loro tono disincantato e talvolta cinico delle storie dei protagonisti, quasi mai a lieto fine.
Dagli anni ruggenti del primo dopoguerra, della red scare, agli anni della grande migrazione di primo quarto di secolo, con le porte aperte agli emigrati europei e il loro biglietto di sola andata, i palazzoni dai mattoni rossi, il jazz. Poi gli anni ’60, il benessere, il moving out, la beat generation. Segue l’età ribelle con i suoi movimenti politici e della controcultura, gli hippy e il folk. Infine, la luminosa decadenza di NY, l’eroina, la crisi, il degrado sociale.
“Da grande lettore di letteratura americana mi sono sempre nutrito delle storie e delle biografie di gente che ha portato la letteratura d’oltreoceano in Italia” racconta lo scrittore milanese su cosa lo abbia indotto a scrivere New York Stories “sentivo il bisogno di restituire la fatica degli altri: quello che avevo goduto da lettore.” E in effetti, c’è una storia parallela alla letteratura americana che è la storia della letteratura americana in Italia. Si pensi alla Pivano arrestata dopo avere tradotto Addio alle armi, a Pavese che traduceva Moby Dick o a Bianciardi che nella sua stanzetta di pensione a Brera traduceva furiosamente Henry Miller - o Enrico Molinari, come amava chiamarlo.
La trama di Cognetti è un perfetto collage di voci, immagini e frastuoni intessuti sulla pelle di New York. Quest’ultima, raccontata da chi si è scoperto incredibilmente solo, nei momenti in cui la memoria e il ricordo fuggono via. Come la felicità, racchiusa solo all’interno di istantanee, momenti flebili e intensi insieme. Perdersi per poi ritrovarsi o perdersi e basta a NY. Tutto, forse, per inseguire il proprio sogno. “NY ti fa diventare pazzo, si riesce a provare una sensazione di solitudine spiazzante” conclude Cognetti “in questo libro c’è gente che finisce male, che viene fregata dalla città. Poi ci sono persone che riescono a scappare in tempo e salvarsi”.