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Le scale impossibili di Ferdinando Sanfelice: una Napoli barocca ancora inesplorata 

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Napoli

Sulle tracce dello sfuggente architetto Ferdinando Sanfelice, la ricerca condotta da cinque studenti della Facoltà di Architettura Luigi Vanvitelli di Aversa (Seconda Università degli Studi di Napoli) svela il mistero di alcune scale nascoste. 

“ Vedo solo fron­tie­re, segni; non vedo lo spa­zio vero e pro­prio. Il vento che sof­fia sul mio viso pun­gen­do­mi la pelle, non è spa­zio. Quan­do tengo un og­get­to tra le mani, non sento l’og­get­to spa­zia­le in sé. Lo spa­zio resta im­pe­ne­tra­bi­le, un mi­ra­co­lo. ”

(M.C. Escher,  da Esplo­ran­do l’in­fi­ni­to)

IL­LU­SIO­NI­STA IN EPOCA BA­ROC­CA

Esplo­ra­to­re del­l’in­fi­ni­to, po­stu­la­to­re di mondi pa­ral­le­li e idea­to­re di co­stru­zio­ni im­pos­si­bi­li, Mau­ri­ts Cor­ne­lis Escher scar­di­na­va le cer­tez­ze spa­zia­li del XX se­co­lo fa­cen­do ri­flet­te­re sul­l’in­ter­se­zio­ne tra ma­te­ma­ti­ca, geo­me­tria, fi­si­ca, lo­gi­ca e arte. Le sue in­ci­sio­ni e li­to­gra­fie sfrut­ta­va­no il gioco delle pro­spet­ti­ve e delle il­lu­sio­ni ot­ti­che per di­so­rien­ta­re e sor­pren­de­re lo spet­ta­to­re. Fa­mo­se tra tutte re­sta­no cer­ta­men­te le sue “scale im­pos­si­bi­li”, un ciclo in­fi­ni­to di sa­li­te e di­sce­se, nel quale i pa­vi­men­ti di­ven­ta­no sof­fit­ti e gli spazi si mol­ti­pli­ca­no.

Per colui che, per­cor­ren­do il Rione Sa­ni­tà a Na­po­li, viene at­ti­ra­to dalla bel­lez­za ab­ban­do­na­ta di Pa­laz­zo San­fe­li­ce la sen­sa­zio­ne non è molto dif­fe­ren­te. Se l’o­lan­de­se Escher mi­ra­va a sor­pren­de­re il pub­bli­co del ‘900 at­tra­ver­so un mondo so­la­men­te im­ma­gi­na­to, si può dire che l’ar­chi­tet­to na­po­le­ta­no Fer­di­nan­do San­fe­li­ce vi prov­ve­de­va già nel ‘700 ba­roc­co, ti­ran­do le strut­tu­re al li­mi­te, tanto da me­ri­tar­si lo scet­ti­co so­pran­no­me di “Fer­di­nà lie­va­t’a’sott’” (“Fer­di­nan­do le­va­ti da sotto”).

De­no­mi­na­to­re co­mu­ne sono le scale: cifra sti­li­sti­ca ca­rat­te­riz­zan­te non solo del­l’ar­te san­fe­li­cia­na, ma anche di gran parte del ‘700 na­po­le­ta­no. L'in­tro­du­zio­ne della scala aper­ta esem­pli­fi­ca in­fat­ti il pas­sag­gio dalla ri­gi­da strut­tu­ra abi­ta­ti­va sei­cen­tesca alla di­rom­pen­za dello stile ba­roc­co. An­zi­ché es­se­re na­sco­ste al­l’in­ter­no del pa­laz­zo, le scale si in­ne­sta­no su di un cor­ti­le cen­tra­le per poi es­se­re pro­iet­ta­te verso l’in­gres­so, di­ve­nen­do espe­dien­ti sce­no­gra­fi­ci che in­vi­ta­no i vi­si­ta­to­ri ad en­tra­re. Nel caso di San­fe­li­ce si parla di vere e pro­prie quin­te tea­tra­li, come di­mo­stra­no i ce­le­bri esem­pi di Pa­laz­zo San­fe­li­ce (Rione Sa­ni­tà) e di Pa­laz­zo dello Spagnolo (Via Ver­gi­ni): un vir­tuo­so re­ti­co­lo di archi, rampe, volte e gio­chi spa­zia­li che si af­fac­cia ideal­men­te sul cor­ti­le, luogo della so­cia­li­tà e tea­tro della vita.

FINO AL­L’UL­TI­MO GRA­DI­NO

Sono an­co­ra una volta le scale a fare da stel­la po­la­re alla ri­cer­ca che vede coin­vol­ti cin­que ra­gaz­zi della Fa­col­tà di Ar­chi­tet­tu­ra Luigi Van­vi­tel­li di Aver­sa. Par­ten­do dagli studi con­dot­ti da Al­fon­so Gam­bar­del­la, mas­si­mo esper­to in ar­chi­tet­tu­ra san­fe­li­cia­na, e coor­di­na­ti dalla pro­fes­so­res­sa Or­nel­la Zer­len­ga, gli stu­den­ti Va­le­ria Mar­zo­cchel­la, Sal­va­to­re Vol­pi­cel­li, Vin­cen­zo Ci­ril­lo, Giu­sep­pe Ce­lien­to e Raf­fae­le Fe­de­ri­co sono tut­to­ra im­pe­gna­ti a ri­co­strui­re gli ul­ti­mi anni di at­ti­vi­tà di San­fe­li­ce a Na­po­li, un arco di tempo ri­ma­sto sco­per­to dalla bio­gra­fia uf­fi­cia­le del­l’ar­chi­tet­to ad opera dello sto­ri­co del­l’ar­te Ber­nar­do De Do­mi­ni­ci.

Come spie­ga la pro­fes­so­res­sa Zer­len­ga, “Gli ar­chi­tet­ti del ‘700 ve­ni­va­no tal­vol­ta in­ca­ri­ca­ti di ri­ma­neg­gia­re e ab­bel­li­re la strut­tu­ra di al­cu­ni pa­laz­zi sei­cen­te­schi”. È pro­ba­bi­le che que­sto sia stato anche il caso di San­fe­li­ce, le cui trac­ce sem­bra­no es­se­re dis­se­mi­na­te in al­cu­ni pa­laz­zi no­bi­lia­ri del cen­tro sto­ri­co sco­no­sciu­ti ai più. Tut­ta­via, la man­can­za della firma del­l’ar­chi­tet­to, non­ché la ca­ren­za di do­cu­men­ta­zio­ne sul­l’ul­ti­ma fase di at­ti­vi­tà, ren­do­no la pos­si­bi­li­tà di at­tri­bu­zio­ne pro­ble­ma­ti­ca, crean­do un vuoto non in­dif­fe­ren­te nella sto­ria del­l’ar­te na­po­le­ta­na del pe­rio­do in que­stio­ne.

È a que­sto punto che le scale en­tra­no di nuovo in scena. Sal­va­to­re, uno degli stu­den­ti, il­lu­stra la me­to­do­lo­gia che ha fatto da sche­le­tro della ri­cer­ca: “Par­ten­do dalla con­fi­gu­ra­zio­ne geo­me­tri­co-strut­tu­ra­le e dallo stu­dio sce­no­gra­fi­co delle scale, ab­bia­mo ef­fet­tua­to una com­pa­ra­zio­ne tra le sca­li­na­te più note di San­fe­li­ce e quel­le di at­tri­bu­zio­ne sco­no­sciu­ta, og­get­to della no­stra ana­li­si. Il no­stro me­ri­to è quel­lo di aver sa­pu­to in­di­vi­dua­re que­ste ana­lo­gie e di aver pro­dot­to una ta­vo­la in cui que­sta com­pa­ra­zio­ne ap­pa­re per la prima volta nella sto­ria.”

Le ipo­te­si avan­za­te tro­va­no quin­di ri­scon­tro nella real­tà, con­tri­buen­do ad una map­pa­tu­ra più pro­fon­da della Na­po­li ba­roc­ca. Il per­cor­so de­li­nea­to devia da stra­de già bat­tu­te, per an­da­re a bus­sa­re ai por­to­ni chiu­si dis­se­mi­na­ti nel­l’in­te­ro cen­tro cit­ta­di­no: da Via Sal­va­tor Rosa a Via Nilo, da Via Duomo al Rione Sa­ni­tà, per ri­sa­li­re fino a Ca­po­di­mon­te. Unico filo con­dut­to­re al­l’in­ter­no di que­sto la­bi­rin­to: le scale, quel­le di Fer­di­nan­do San­fe­li­ce, che si ri­pe­to­no, ri­pren­den­do­si e ri­man­dan­do­si vi­cen­de­vol­men­te come delle co­stan­ti al­l’in­ter­no di una rima poe­ti­ca o di un fra­seg­gio mu­si­ca­le. Quel­le scale che pos­so­no es­se­re ca­pi­te solo se per­cor­se, ge­nia­li e pro­fa­ne an­co­ra al gior­no d’og­gi.

Non è tut­ta­via un ruolo fa­ci­le quel­lo del­l’ar­chi­tet­to sul campo: ar­go­men­ta­re si­gni­fi­ca in que­sto caso ab­ban­do­na­re la scri­va­nia e i libri per  “spor­car­si le mani”, scen­den­do in stra­da, var­can­do l’in­gres­so delle abi­ta­zio­ni e in­te­ra­gen­do con chi vi abita per pren­de­re mi­su­re reali e rac­co­glie­re in­for­ma­zio­ni pre­zio­se. Come ri­ve­la la pro­fes­so­res­sa Zer­len­ga, in­fat­ti, “nella mag­gior parte dei casi si trat­ta di pa­laz­zi re­si­den­zia­li chiu­si al pub­bli­co, che si tro­va­no an­co­ra sotto stu­dio sto­rio­gra­fi­co”.

La ri­cer­ca con­dot­ta da Va­le­ria, Sal­va­to­re, Vin­cen­zo, Giu­sep­pe e Raf­fae­le verrà pub­bli­ca­ta al­l’in­ter­no dello stu­dio del pro­fes­so­re Gam­bar­del­la. Ciò per­met­te­rà di riem­pi­re uno spa­zio ri­ma­sto a lungo va­can­te al­l’in­ter­no della sto­ria del­l’ar­te na­po­le­ta­na e della bio­gra­fia di Fer­di­nan­do San­fe­li­ce. E chis­sà se un gior­no, apren­do que­sti pa­laz­zi al pub­bli­co, potrà ca­pi­ta­re a chiun­que di per­der­si nel mi­ste­rio­so fa­sci­no di una di que­ste scale im­pos­si­bi­li.