Le registe europee (finalmente!) in scena
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Veronica MontiIl mondo del cinema è visto spesso come precursore della società. Ma questa immagine nasconde una verità: che in Europa anche per la settima arte la parità dei sessi è ben lungi dall'essere raggiunta. L'arrivo di una nuova generazione di registe potrebbe però cambiare la scena.
L'ultimo studio pubblicato in occasione del Festival des Arcs nel dicembre 2016 rivela che meno di un film su cinque tra il 2012 e il 2015 in Europa è stato realizzato da una donna. I cenni di un leggero miglioramento sembrerebbero però apparire con la nuova generazione. Questo stesso studio si è concentrato sulla nascita di una nuova generazione di registe europee, che hanno saputo imporsi nel paesaggio cinematografico europeo grazie al loro primo lungometraggio. Sembrerebbe che questi primi film siano stati realizzati dal 23% delle donne, contro il 15% per le terze opere e oltre. Questo scarto sarebbe il segnale che una svolta si sta affermando nel cinema europeo. « C'è una nuova generazione di ragazze che si rende conto che c'è posto anche per loro. Sta succedendo qualcosa e bisogna prestare attenzione », ha dichiarato la regista Catherine Corsini al Festival des Arcs.
La questione recentemente si è imposta nel dibattito pubblico e l'industria cinematografica ha cominciato a farsi un esame di coscienza. Nell'agosto 2015, in occasione del Festival del Film di Sarajevo, una dichiarazione dell'ugualianza tra i sessi nell'industria del cinema europeo è stata adottata dai rappresentanti dei ministeri della cultura e delle società cinematografiche. Quest'ultima invita i paesi europei a inaugurare politiche specifiche per raccogliere statistiche, inedite, sulla presenza delle donne dietro e davanti la telecamera. Il Festival di Cannes, dal canto suo, quest'anno ha messo per la prima volta due premi d'onore « Women in motion », per ricompensare il contributo significativo delle donne nel cinema. Un'iniziativa simile è stata lanciata dalla società Eurimages, diretta dal Consiglio d'Europa, con il premio « Audentia ».Il Festival des Arcs invece è stato il primo ad aver presentato una selezione paritaria dei film in gara. « Speriamo che questo segnerà una svolta e che questo festival sarà un esempio per tutti » si rallegra Geoffrey Grison, dell'associazione Le Deuxième Regard che lotta contro la discriminazione sessuale nel cinema.
Un'aria di cambiamento
Per le organizzazioni europee è giunto il momento della presa di coscienza e della riflessione. Il Consiglio d'Europa, organizzazione inter-governativa che raggruppa 47 stati membri, si è impegnato in iniziative di sensibilizzazione attraverso la sua società Eurimages. « Cerchiamo di dare visibilità alle donne nel cinema per mostrare che c'è un problema e per creare voci diverse», spiega la presidentessa Francine Ravenay. Masterclass condotte da registe o produttrici, conferenze, dibattiti, Eurimages domina il campo, senza ancora mettere in atto delle misure restrittive. Quest'anno l'organizzazione spinge le sale cinematografiche della sua rete a organizzare avvenimenti per la giornata delle donne e a proiettare, in questa occasione, un film realizzato da una donna. Le partecipanti potranno anche ottenere un bonus di 2500 euro. Dopo il 2014, l'organizzazione fa uso anche di nuovi mezzi di ricerca per analizzare in modo più preciso il posto delle donne nei progetti cinematografici che le vengono proposti. I risultati hanno rivelato che solo il 20% dei progetti presentati nel 2014 erano stati realizzati dalle donne. La presenza delle donne nei ruoli legati alla produzione, alla regia, alla sceneggiatura e nelle equipe di tecnici e artistici era uguale o superiore al 60% solo nel 4,7% dei progetti del 2014.
Il programma « Europe Creative » presentato dalla Commissione europea, e in modo particolare la sua sezione « Media », rappresenta l'altro grande canale di finanziamenti per i film europei. Tra le sue priorità non ci sono ancora delle misure specifiche per la promozione dell'ugualianza donna-uomo nel cinema. « Il programma attuale è valido dal 2014 al 2020 », spiega Niombo Lomba, responsabile del programma « Media » per Europe Creative. « Le nostre decisioni sono state prese diversi anni fa e non possiamo cambiarle adesso» . Il problema consiste nella scelta degli esperti chiamati a selezionare i film da premiare. Il manifesto deve essere paritario, ma questo criterio risponde alla necessità di rispettare la Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, che condanna ogni genere di discriminazione. Sono state quindi aperte delle discussioni con l'industria cinematografica in vista della preparazione del prossimo programma, che si svolgerà dal 2021 in poi.
Grande baratro nelle cifre
Se guardiamo nei dettagli, i paesi europei hanno dei tassi molto sproporzionati per quanto riguarda la presenza delle donne nell'ambito cinematografico.
In Svezia, il cambiamento è portato avanti soprattutto dall'approccio molto militante del Swedish Film Institute. Da diversi anni questo centro organizza, tra le altre cose, dei corsi di formazione destinati alle giovani registe e ha un sito Internet che pubblicizza i loro film. Si impegna inoltre nell'analisi di ogni sua iniziativa, in modo da produrre regolarmente delle relazioni basate su dati reali, quantificabili. La sua politica di selezione dei film si basa però unicamente su dei criteri di qualità, senza prendere in considerazione il genere.
Questa discrepanza tra i paesi è percepita dalle stesse registe. Figura di spicco della nuova generazione, l'austriaca Jessica Hausner loda per esempio il sistema lussemburghese, che le ha permesso di finanziare i suoi lungometraggi. « E' un sistema basato sui punti. Se puoi provare che hai girato per trenta giorni in Lussemburgo ti danno dei soldi. Se i tecnici sono del posto, prendi ancora più soldi. Non giudicano assolutamente in base al genere. E' un sistema molto meccanico, però mi piace», spiega. Anche la Francia sembrerebbe un'eccezione. « Il nostro paese ha un sistema protettitivo nei confronti del cinema che è unico al mondo. Ovviamente, quando un paese appoggia un'arte a tal punto, anche le minoranze possono farsi sentire», commenta la cineasta francese Émilie Deleuze.
Déjà-vu
Anche se i cambiamenti cominciano a essere percepibili, le registe sono comunque prudenti. Tanto che per alcune di loro i discorsi di questi ultimi anni hanno un sapore di déjà-vu. « Anche nel 1997 si parlava di una nuova moda di donne registe», ricorda la cineasta francese Catherine Corsini. « C'erano tante donne quanti uomini nel mondo dei cortometraggi, dell'animazione eccetera. Ma poi le ragazze sono sparite. Ho avuto una fortuna incredibile a esserci ancora oggi, come rappresentante della mia generazione. E adesso siamo ancora qui a parlarne. » Jessica Hausner ha fatto le stesse considerazioni sul suo paese d'origine. « Quando ho iniziato a girare c'erano tre o quattro donne con me. Nei giornali si parlava del "la nuova moda delle donne in Austria". Non è successo niente del genere. Sono l'unica ad aver continuato» La preoccupazione di vedere questa mobilizzazione svanire, come è successo in precedenza, è sentita anche dalle associazioni. « Il nostro ruolo in quanto reti è di ricordare appunto la presenza di questa disugualianza. C'è tutto un lavoro di sostegno da fare come associazioni, festival eccetera», sottolinea Alessia Sonaglioni, dell’organizzazione European Women’s audiovisual network (EWA).
Ma restano ancora numerose barriere. Una di queste emerge quando si confrontano i budget per i film realizzati da donne e quelli per gli uomini. « Quando si parla di cineaste donne, ce ne sono ovviamente, ma con un budget limitato. Dai 4-5 milioni in poi, non ce n'è più nessuna», testimonia Émilie Deleuze. Secondo le cifre di Eurimages, nel 2015 il budget delle registe europee era inferiore del 40% rispetto a quello degli uomini, in media. Per spiegare questo dato, le registe parlano di una possibile auto-censura. Rachel Lang, che ha presentato il suo primo lungometraggio al Festival des Arcs, conferma: « In questo la donna è nemica di se stessa. Bisogna fare in modo che dica: “sì, io posso fare un film con 6 milioni di euro” ». Un ostacolo senza dubbio legato ai numerosi pregiudizi che devono affrontare le registe donne. Agnès Kocsis, cineasta ungherese, spiega: « Ci ho messo molti anni a realizzare che potevo essere riconosciuta e presa sul serio, che dovevo dimostrare di valere tre volte più di un uomo. »
It's a man's, man's, man's world
Le donne sono vittime anche di disugualianze salariali. Nel 2015, le registe guadagnavano in media il 23% in meno dei loro colleghi maschi, secondo le cifre di Eurimages. Anche nei posti di direzione si verifica la stessa cosa: le donne sono meno rappresentate. « Loro sono giudicate in base alla loro esperienza e gli uomini in base al loro potenziale», nota Anne Serner, dello Swedish film Institute. Per superare questo sistema, Jessica Hausner ha deciso di creare la sua società di produzione nel 1999: « Ero una donna circondata da soli uomini. Allora, questo voleva dire non poter produrre. E non è cambiato dopo gli anni 60: in alto ci sono gli uomini e in basso, come loro assistenti, le donne». Ma secondo lei il genere non cambia affatto la professionalità del regista. Ad eccezione della maternità. « E' difficile prendersi cura del proprio figlio e continuare a lavorare. Sono poche le donne che coniugano una vita familiare ad una vita professionale». E' quello che ha dovuto affrontare Agnès Kocsis: « Un regista famoso, padre di sei figli, si è stupito del fatto che io riuscissi a fare film avendo un solo figlio. Ma perché la mia situazione dovrebbe essere più problematica della sua? »
Alessia Sonaglioni, direttrice della rete EWA, conclude : « Se il suo primo e secondo film vanno mediamente, una regista non verrà più sostenuta. Per gli uomini il problema non si pone, anche se i loro film non hanno successo al box-office». Houda Benyamina lo dice con franchezza : « Il giorno in cui anche noi avremo diritto alla mediocrità, ci sarà parità ».
Le « soft quotas »
Per colmare le disugualianze di genere, certi cineasti difendono l'istituzione delle quote. E' il caso di Houda Benyamina, Camera d'oro al Festival di Cannes 2016: « Se avessimo tempo non avremmo bisogno di porre delle quote, ma stiamo sacrificando un'altra generazione. Bisogna avere parità in tutte le commissioni, e fare in modo che il Festival di Cannes sia presieduto da una donna. Abbiamo un dovere, quello di parlare e mostrare i problemi della nostra cultura». Altri si oppongono a questo sistema restrittivo, per paura di privilegiare il genere del produttore a discapito della qualità del film. Tra i due estremi, a volte si adotta il principio delle "soft quota": a pari talento, si privilegia il film della donna. Un metodo applicato nel 2016 per le selezioni del Festival des Arcs.
Ma se il dibattito è cominciato, le azioni concrete si fanno ancora attendere. « La difficoltà maggiore consiste nel non promuovere un discorso troppo restrittivo che irriti le persone», nota Geoffrey Grison dell'associazione Deuxième Regard. La consigliera del programma Egalité de genre al Consiglio d'Europa, Cécile Gréboval, aggiunge: « Per un organismo inter-governativo, una decisione richiede l'adesione di tutti gli stati membri. Ma non tutti sono pronti». Per accelerare il processo, un regolamento è in corso di stesura e dovrebbe essere concluso nel 2018: « Non si tratta di una convenzione, questo regolamento incarna uno strumento efficace sul quale si potrà davvero fare affidamento». Il testo, fondato sulla dichiarazione del Festival di Sarajevo, ha per ambizione quella di affiancare le associazioni e le organizzazioni nazionali sulla tematica della disugualianza donne-uomini. IL Festival des Arcs e la fondazione Sisley realizzeranno, nel 2017, un osservatorio incaricato di raggruppare, confrontare e consigliare i centri nazionali del cinema in tutti i paesi europei. I prossimi anni saranno sicuramente decisivi.
Translated from Les réalisatrices européennes s'emparent (enfin) du premier rôle