Le cartiere della discordia sul Rio Uruguay
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La multinazionale finlandese Botnia? «Vuole esportare inquinamento» accusano gli argentini. Che annunciano nuovi blocchi stradali.
Ci sono frontiere naturali capaci di avvelenare i rapporti tra Stati. Quella del fiume Uruguay, che ritaglia il confine tra l'omonimo staterello affacciato sull'Atlantico e l'immensa Argentina ne è un esempio. Soprattutto se, a complicare le cose, ci si mettono due multinazionali europee – la finlandese Botnia e la spagnola Ence – decise ad investire per la costruzione di fabbriche di cellulosa sulla sponda uruguaiana di Fray Bentos.
La difesa dell'Uruguay: «Rispetteremo le nuove norme europee»
E così Montevideo inizia a sognare le migliaia di posti di lavoro – 2000 dalla sola Botnia – che dovrebbero materializzarsi nel caso in cui il progetto dovesse andare in porto. In Argentina, invece, i malumori crescono sin dal 2005. Data dalla quale vanno avanti a oltranza imponenti blocchi stradali organizzati, in segno di protesta, dai cittadini della città argentina di Gualeguaychú per impedire il transito di merci e veicoli verso l’Uruguay.
Estela Vence, 46 anni, uruguaiana ma residente da anni a Gualeguaychú, non ha dubbi: «Ho 5 figli e 3 nipoti, durante i blocchi stradali quasi non li vedo» ha raccontato la donna al quotidiano La Nación. «Ma opponendomi alla fabbrica di cellulosa mi sto occupando del loro futuro». Intanto l'Argentina ha portato il caso davanti alla Corte Internazionale de L'Aia. Buenos Aires si baserebbe su tutta una serie di norme volte a tutelare l'uso comune dei corsi d'acqua internazionali. Secondo gli argentini, infatti, la produzione di cellulosa avrebbe un impatto devastante sull'ecosistema a causa di agenti inquinanti difficilmente degradabili quali furani e dioissine.
Dal canto suo il Governo uruguayano assicura che, per lo sbiancamento della cellulosa, le nuove industrie utilizzeranno un processo detto “ECF” per elementary chlorine free” obbligatorio nel territorio comunitario a partire da ottobre 2007 e rispettoso dell'ambiente.
Se a rischio è il Mercosur
Ma le garanzie di Montevideo non sono bastate a far placare gli animi. Tant'è che nuovi blocchi stradali sono stati annunciati per inizio 2007. Secondo il Ministro degli Esteri uruguagio Reinaldo Gargano si tratta di «un chiaro tentativo di liquidare il Mercosur» , la zona di libero scambio latinoamericana che prende esempio proprio dalla success story dell'Unione Europea.
Intanto nei mesi passati la Ence, impresa di origine spagnola che prevedeva la costruzione di un impianto a pochi chilometri da quello finlandese, ha abbandonato il progetto originario, annunciando che l’industria verrà costruita più a sud, sul Rio della Plata, un estuario aperto verso l’Atlantico.
Ma cosa spinge le imprese europee a impiantarsi in America Latina per la produzione della cellulosa? Secondo la giornalista e biologa finlandese Janna Kanninen «in America Latina la mano d’opera è più economica, l’eucalipto è pronto per essere utilizzato in 10 anni mentre in nord Europa c’è bisogno di 60-120 anni. In aggiunta, molti paesi in via di sviluppo offrono esoneri da imposte ed un controllo statale debole». La paura è anche quella di evitare il ripetersi di tragedie in casa, come quella del 2003 quando 7500 metri cubi di agenti inquinanti fuoriuscirono dalla fabbrica de la UPM/Kymmene – azionaria della Botnia – contaminando in modo drammatico il lago Saimaa.