L’arte nell’Europa dell’est? È tutta una Storia…
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ElenaAl Centro Pompidou di Parigi, la mostra “Le Promesse del passato: una storia discontinua nell’arte della vecchia Europa dell'Est" ha messo uno specchio tra il lavoro degli artisti dell'Europa dell'Est dell'epoca comunista e quello dei creatori contemporanei, loro eredi. Visite guidate e a zigzag.
Tratto dalla formula di Walter Benjamin (“Sul concetto di storia”, 1950), il titolo della mostra, che si terrà fino al 19 luglio 2010 al Centre Pompidou di Parigi, evoca il presente e la nostra capacità di costruire, senza però rinnegare il passato…né sublimarlo.
Sublimare. È quanto propone la scenografia di Monika Sosnowska. L’artista polacca di trentotto anni ci coinvolge in un immenso zigzag di cartelloni bianchi, dove si scoprono poco a poco fotografie, disegni, bozzetti e video più o meno recenti, il tutto senza alcuna logica cronologica. La scelta intrapresa da Monika Sosnowska è quella di confrontare opere di giovani artisti con i lavori dei loro predecessori, attorno ad una tematica comune, con due questioni fondamentali sullo sfondo: come superare il concetto di linearità nella storia e cosa pensare dell'opposizione Est/Ovest nell'Europa di oggi? Lo zigzag suggerisce di rispondere attraverso sette tematiche: “Al di là delle utopie moderniste”; “Fantasmi di totalità”; “Anti-arte”; “Spazio pubblico/spazio privato”; “Femminile - femminista”; “Gesti micro politici e critiche delle istituzioni"; “Utopia rivisitata”. In modo non uniforme, illustrano tuttavia i propositi di Monika Sosnowska: rivisitare il passato dell’Europa dell’Est con l’aiuto del presente. Mentre il suo percorso a zigzag rappresenta la discontinuità della storia, la sua scenografia riprende i canoni dell'architettura modernista del comunismo, un'utopia urbana di cui noi ormai conosciamo le promesse e i fallimenti. L’artista nata a Ryki si propone di riscoprire «in una vena post-minimale e concettuale» questi canoni che fanno e disfanno le città dell'Europa dell'est.
Scelte, utopie, ostacoli
Arrivati “Al di là delle utopie moderniste”, ci si trova naso faccia a faccia con un corpo, quello di Cezary Bodzianowski, dipinto con i colori dell’arcobaleno, con la testa immersa nel water (“Rainbow Bathroom”, 1995)! Poi si presenta “Dammi i colori”, creazione dell’artista albanese Anri Sala. In questo film realizzato nel 2003, l’artista Edi Rama, sindaco di Tirana (Albania), commenta (senza alcuna indulgenza verso lui stesso) il progetto che aveva immaginato anni prima per la sua città. Percorrendo una delle strade dove i colori vibranti degli immobili costeggiano marciapiedi dissestati e ricoperti di spazzatura, Edi Rama rievoca la sua vocazione di sindaco e di artista: «La questione è di capire come rendere questa città abitabile». Poi aggiunge, a malincuore, «penso che l’ambizione di fare di questa città la città della scelta è anch’essa un’utopia…». La mostra ci invita quindi, alla maniera di Edi Rama, a chiederci come invecchiano le ambizioni del passato.
Proseguendo la visita, si capisce che i temi si completano gli uni sugli altri. Nella parte “Fantasmi di totalità”, il peso della collettività sull’individuo viene messo in questione con derisione in “Kardynal”, il video del battesimo del fango di Pawet Althamer, o alle frontiere della follia, con il romeno Ion Grigorescu. Il suo film “La Boxe”, girato nella clandestinità nel 1977, è una sovrapposizione di negativi che mostrano l’artista nudo, mentre fa a pugni con se stesso . Ci illustra così la «schizofrenia della vita nella Romania comunista». Prima commovente poi scomoda, la mostra presenta sempre opere contestatarie. Nel percorso “Spazio pubblico/spazio privato”, la contestazione diventa apertamente politica. Le micro-azioni di Jiri Kovanda nello spazio pubblico sono testimonianze del clima di censura e dell’uniformazione degli individui nella Praga degli anni ‘70. Camminare con i capelli al vento nel senso contrario della folla e immortalarlo trasforma un primo ed elementare livello di libertà in manifesto politico. Il cartellone dell’esposizione è d’altronde una fotografia delle riprese del film “NP 1977” del serbo Neša Paripovic. Si vede l’artista nato a Belgrado camminare nelle strade della sua città natale, seguendo una linea che si è prefissato, senza far caso agli ostacoli che incontra.
Un’eredità da coltivare
“Pubblico/privato”, erano nozioni molto differenti se si viveva a Ovest o a Est della Cortina di ferro. Ecco un punto centrale della mostra. Infatti, qual è il vero valore dell’opposizione “Est/Ovest” oggi, vent’anni dopo la caduta del regime comunista? Il cammino della storia ha abolito queste differenze? Le opere dei giovani artisti presentate al Centro Pompidou non sono così ottimiste. Nel suo film “Wall and Tower” (2009), l’israeliana Yaël Batana riprende i codici dell’ideologia sionista. Ideale comune, fonte di speranza per ebrei maltrattati dalla Storia, questo ritorno immaginario a Varsavia ispira il terrore delle grandi masse politiche di cui noi conosciamo bene le immagini e i film ufficiali. Senza sosta, passato e presente s’incontrano in un dialogo tra figure dell’arte dell’Europa comunista degli anni ‘70 e i loro eredi. Senza coltivare la nostalgia, la mostra preferisce far capire che fare tabula rasa del passato non è possibile né auspicabile. Vivere oggi a Praga, Tirana o Budapest, significa necessariamente contemplare le orme di un passato fatto dalle promesse di un regime che si basava soprattutto sulle grandi utopie.
Mostra “Le Promesse del Passato”, fino al 19 luglio al Centro Pompidou. Piazza Georges Pompidou, 75004 - Paris. Ogni giorno dalle 11 alle 21 (martedì escluso)
Foto: Goranka Matic; Monika Chojnicka; Ewa Partum
Translated from L'art en Europe de l'est ? Toute une Histoire...