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L'arte migrante approda a Palermo

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Palermo

Dall'Emilia Romagna sbarca a Palermo l'Arte migrante. Tommaso Carturan, impegnato nel sociale come mediatore di arte, attraversa tradizioni e popoli trasportandoli in quella che appare come una più che consolidata manifestazione di cultura attraverso danze, musiche e teatro. Foto racconto. 

È venerdì sera e ci troviamo nel cuore dell’Albergheria, a pochi metri dal mercato di Ballarò, tra strade e cortili poco illuminati e silenziosi. Questa volta però, dalle alte finestre al di sopra di un muro in pietra, spoglio e antico, si distingue della musica. Ci avviciniamo, i suoni si fanno più forti, più decisi. Ci troviamo così nell’oratorio della Chiesa di Santa Chiara. Appena entrati siamo catapultati nella vitalità di un mondo misto, complesso. Uno spazio condiviso, privo di barriere fisiche e mentali.

I tamburi dei tre ragazzi africani guidati dal loro maestro che, con un fischietto tra le labbra, scandisce il tempo delle loro esibizioni, ci fanno subito capire che questo è un luogo d’arte. Sì, arte: danza, musica, recitazione. Spettatori di ogni genere ed età accerchiano i ragazzi al ritmo del battito delle mani e dei piedi, mentre gli animi vibrano di felicità. Stiamo assistendo ad uno spettacolo di Arte Migrante.

La comunicazione dell'identità dei popoli, ma prima di ogni cosa la possibilità di trasmettere ciò che ci appartiene a persone disposte ad ascoltare quello che siamo attraverso l’azzeramento di pregiudizi e discriminazioni razziali. È per merito del bolognese Tommaso Carturan che artisti, cittadini del mondo, hanno la possibilità di incontrarsi e comunicare senza parole, ma con la più alta manifestazione di espressione: quella creativa.

Gli organizzatori tengono a specificare che il loro è un gruppo apartitico ed aconfessionale, mosso dall’intento di invitare in queste zone di condivisione persone emarginate per creare inclusione. Così, nell’oratorio di Santa Chiara alcuni sono seduti a terra, altri sulle sedie, ma tutti sono sullo stesso piano, tutti sono uguali e condividono un unico spazio. Un ragazzo palermitano, con una chitarra sotto braccio, ripete: “Dedicarsi a se stessi è importante, ma dedicarsi agli altri è un amore più grande”, ricordandoci l’impegno dei volontari che ogni giorno si dedicano al sociale.

Appena sotto il colonnato dell’oratorio è stato organizzata invece una ‘cena sociale’ dove tutti sono invitati, tra i sapori speziati di salse africane ed i dolci al miele. Fino a quando un ragazzo centrafricano si avvicina al microfono, aperto a tutti, e con voce tremante intona le prime parole di una canzone. Basta questo perché da più parti si alzino delle voci, prima basse, sussurrate, poi sempre più coraggiose. Tutti si avvicinano ed il ritmo si fa sincopato. Ognuno balla a suo modo ed anche chi non conosce le parole della canzone prova ad imitare ciò che è rimasto impresso come un suono di allegria.

«La cosa importante negli incontri di arte migrante», dice Giovanna, uno degli organizzatori della serata, «è la capacità di mettersi in gioco». Al centro della scena, sotto gli occhi ammaliati degli spettatori, si staglia un gruppo di uomini "armati" di mandolini. Le loro note sottili, accompagnate dall’arpeggio di una chitarra classica, ci riportani immediatamente alle belle storie d’amore che si consumavano nell'Ottocento.

I bambini, entusiasmati dai battiti delle mani sorridono, si divertono e giocano a fare i protagonisti, mentre un ragazzo nordafricano intona la sua splendida canzone francese che, come le onde, fa oscillare le schiene degli spettatori. 

Nella chiesa di Don Enzo Volpe ogni due settimane continueranno a passare voci, storie e la possibilità di esprimere quello che al di fuori delle mura dell’oratorio rimane spesso nascosto. Alla festa multiculturale di Arte Migrante ognuno è invitato a partecipare. 

Testo di Valentina Stabile. Foto Marta Paccani e Giulia Capasso.