Lampedusa: mare di tragedia, isola di solidarietà
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Gabriele MaroneseDi fronte all’arrivo di migliaia di migranti africani, gli abitanti dell'isola di Lampedusa si sono organizzati creando un sistema di “benessere sociale” per assistere i nuovi arrivati. Né la lentezza delle istituzioni europee, né la disperazione possono fermare gli intrepidi isolani, che fanno valere la “legge del mare”.
Lampedusa, Italia, 2011. “Le strade sembrano essere fatte di esseri umani e non di cemento. Un ragazzino di 10 anni bussa alla mia porta. Gli offro latte caldo e biscotti. Quando se ne va, mi chiedo che fine farà. Soffro al pensiero che il mio aiuto sia stato solo temporaneo”. Sono queste le parole di Antonella Raffaele, abitante della tanto vessata isola. La donna descrive con voce ferma la situazione che ha interessato Lampedusa a partire dal 2011, quando, solo nei primi 3 mesi dell’anno, più di 18mila migranti, provenienti dal nord Africa, sono sbarcati sulle sue coste dopo la Primavera Araba.
Per anni, la piccola isola situata nel mar Mediterraneo – più vicina all’Africa che all’Italia – è stata la meta prescelta di ondate di migranti africani che fuggono dalla povertà, dalla guerra o dalle persecuzioni. Viaggiano su imbarcazioni di legno, molto spesso sovraffollate e non adeguatamente equipaggiate, destinate ad affondare in mare aperto. Con appena 5.000 abitanti, l’isola è diventata una delle principali e più fragili "porte di accesso" all’Europa. Queste ondate non si sono mai fermate a partire dal 2011. Eppure, è solo dopo l'ottobre 2013, quando 360 migranti sono annegati a poco meno di un chilometro da Lampedusa, che la questione dell’immigrazione si è imposta nel dibattito europeo.
Dare senso alla parola "solidarietà"
Tuttavia, per più di 10 anni, l’isola siciliana è stata testimone di un’estrema e inedita espressione di solidarietà. Gli abitanti del luogo hanno improvvisato un sistema di ‘benessere sociale’ per assistere un numero sempre maggiore di migranti. Una volta che i migranti lasciano l’unico centro di immigrazione esistente nell’isola - è progettato per ospitare all’incirca 300 persone per un massimo di 2 giorni - quest'ultimi vengono lasciati al loro destino per le strade di Lampedusa. Sporchi, spaventati, con nostalgia di casa, soli e confusi, lontani dal loro paese. È a questo punto che comincia la vera e propria solidarietà degli isolani.
“Hai bisogno di un cappotto? Un paio di scarpe?”, chiede Grazia Raffaele dalla sua finestra. Vedere passare ondate di migranti davanti alla sua abitazione è diventata una routine quotidiana. “Quando l’isola deve confrontarsi con grandi emergenze, la solidarietà umana si diffonde tra la popolazione”.
E senza altre risorse oltre a quelle private, mettono a disposizione dei nuovi arrivati cibo, vestiario e un appoggio che, nella maggior parte dei casi, si trasforma in amicizia. “Farciamo 600 panini al giorno. Scaldaiamo il latte o l’acqua per fare il tè”, spiega Grazia. “È bello. Uniamo le forze per una buona causa, ma poi ci sentiamo incapaci di essere d’aiuto perché non sappiamo cosa accadrà in futuro”. Antonella Raffaele sottolinea che “di recente, le donne hanno cominciato a cucire scialli di lana perché non rimaneva più nulla negli armadi. Abbiamo condiviso tutto quello che avevamo!”. Poi esclama: “In una scala da uno a dieci, diamo cento!”. Questo aiuto umanitario non passa inosservato da parte delle organizzazioni sociali. Tommaso Della Longa, portavoce della Croce Rossa Italiana, riconosce che “la popolazione ha un ruolo chiave nel dare senso alla parola ‘solidarietà’. L’aiuto degli abitanti fa sempre la differenza: è qualcosa di cui dobbiamo essere orgogliosi”.
Secondo Grazia, quando una famiglia apre le porte di casa, i migranti hanno a disposizione il bagno per farsi una doccia o il divano per sedersi. “Suonano alla porta intimoriti, ma poco dopo cominciano a sentirsi come a casa”. Quando qualcuno chiede agli abitanti di Lampedusa se sono stanchi di questa situazione, la loro risposta è unanime: “Non siamo stanchi, ma ci sentiamo feriti”. “Ogni volta che gli abitanti si sono lamentati per la criticità delle circostanze, non è mai stato con i migranti, ma con il governo. Si sentono abbandonati”, conferma Della Longa.
L'Europa e la legge del mare
Dopo un labirinto di processi burocratici, il governo italiano si è incaricato di affrontare il tema dell’immigrazione, di ideare delle strategie e di creare dei progetti pluriennali – cofinanziati dall’Unione europea – come Praesidium: un’iniziativa per migliorare le condizioni di accoglienza nell’isola. Questi progetti sono l’unico strumento che Lampedusa ha a disposizione per far fronte ai flussi migratori. Tuttavia, prima che qualunque organizzazione riesca ad attuarli, e molto prima che gli aiuti economici raggiungano l’isola, la gente di Lampedusa sarà lì, pronta a offrire il proprio aiuto, rispettando l’antica “legge del mare”, ovvero quella dell'accoglienza.
Una domanda sorge pero in modo spontaneo: se la gente comune di Lampedusa può – con scarsi mezzi – dimostrare questo rispetto senza precedenti per la vita e i diritti dell’uomo, perché l’Ue non reagisce in modo efficace? Forse, l'emblematica espressione di solidarietà dei lampedusani dovrebbe servire da lezione alle istituzioni europee e ai governi nazionali, e convincere entrambi a guardare più da vicino i confini europei e rivedere le loro posizioni riguardo l’immigrazione.
“I nostri figli giocano a calcio con quelli dei migranti. Noi ci fermiamo nei bar e offriamo loro un cappuccino, anche se non chiedono mai niente. Basta guardarli negli occhi per capire che apprezzeranno il gesto”, conclude Antonella prima di chiudere la porta.
Translated from Lampedusa: mar de tragedia, isla de solidaridad