L’Albania, il nuovo El Dorado dei resistenti iraniani
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Luca FertonaniDopo aver vissuto gli attacchi sanguinari delle milizie governative in Iraq, paese che precedentemente li ospitava, un gruppo di oppositori al regime iraniano si è trasferito in Albania con l’aiuto dell’ONU che ha incaricato l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Qui hanno creato un centro, una società con valori opposti alla politica dei mollah. Tutto ciò in preparazione di un ritorno? A Achraf-3, questo il nome della nuova città, un militante ci racconta la sua battaglia.
Poco importa se il cammino è lungo e difficile, Mohammad Shafaei ha scelto di dedicare la propria vita alla libertà del proprio paese di origine. Iraniano, esperto di informatica, vive da poco più di un anno a Achraf-3, una piccola città costruita recentemente in Albania, per ospitare circa tremila membri dell’opposizione iraniana. “La città di Achraf-3 è l’ultima stazione nel nostro viaggio per abbattere la dittatura”, afferma convinto il giovane militante, con sguardo sorridente e determinato. “Qui si radunano i democratici iraniani che hanno subito i peggiori abusi sotto il regime, e hanno quindi deciso di agire concretamente per il cambiamento politico in Iran”.
Achraf-3, un miracolo nella terra di Madre Teresa
La storia di Mohammad è quella delle sofferenze e della lotta di migliaia di uomini e donne dell’Organizzazione dei Moudjahidine del popolo iraniano (OMPI). Questo movimento storico di resistenza al regime della Repubblica Islamica dell’Iran si trasferì in Iraq a partire dagli anni ‘80. I militanti ritengono che gli occidentali abbiano seguito una politica di accondiscendenza verso Teheran (la capitale dell’Iran, ndr), ed abbiano volutamente ignorato i ripetuti massacri delle milizie e delle forze speciali irachene alleate dell’Iran contro attivisti disarmati. Ma nel 2016, un paese europeo ha ascoltato le richieste di aiuto dei rifugiati dell’OMPI.
“Alla fine l’Albania, che nella sua storia ha vissuto momenti di oppressione, ha risposto all’appello degli Achrafiani” ci spiega Mohammad, che ha perso la maggior parte dei membri della sua famiglia in Iran. “Il successo dell’evacuazione a Tirana dei 3000 sopravvissuti ha provocato la collera dei mollah, i religiosi che governano l’Iran. Erano decisi ad annientarci con molteplici assalti e attacchi missilistici, accompagnati da un crudele blocco dei soccorsi medici. Il bilancio fu molto pesante per la nostra comunità, con 167 morti in totale e 1400 feriti”.
<“In Iran chi ci aiuta rischia la pena di morte”
Mohammad, resistente contro il regime iraniano.
La piccola Albania, paese d’origine di Madre Teresa, ha un popolo dal cuore grande. Per la prima volta, sia il governo che l’opposizione si sono uniti per dare rifugio all’OMPI. Gli Achrafiani sopravvissuti in Iraq hanno acquistato dei terreni sulla costa dell’Adriatico, a 45 minuti dalla capitale Tirana, per trasferirsi in questa zona. Nel 2017 non avevano né acqua, né elettricità. “Abbiamo dovuto convogliare l’acqua in un complesso di canali lungo 12 kilometri, istallando un elaborato sistema di pompaggio, purificazione ed immagazzinamento per fornire al campo un approvvigionamento costante di acqua pulita e potabile” spiega Mohammad, che ha partecipato in prima persona alla costruzione della nuova sede dell’OMPI. Questa zona prima non era altro che un vasto terreno fangoso.
Grazie alle proprie capacità e energia, i resistenti iraniani in dodici mesi hanno costruito la loro nuova città. Ci sono riusciti grazie ai fondi della comunità e ad alcuni contributi dall’Iran, malgrado i rischi che questi comportano. “Dare un aiuto finanziario all’OMPI è passibile di pena di morte in Iran. Un simpatizzante, Gholamreza Khosravi, è stato giustiziato per avere raccolto dei fondi per l’emittente televisiva Resistenza”, ci dice indignato Mohammad.
Gradualmente sono nate grandi sale riunioni, cliniche, negozi, cucine, panifici e complessi sportivi. Una rete di strade pedonali e viali, fioriere e fontane hanno trasformato miracolosamente il terreno in una città piccola, ma accogliente. Ormai, gli Achrafiani hanno una casa e si sono integrati nella società locale. Gli albanesi hanno anche scoperto l’arte e la cultura persiane grazie agli iraniani, che organizzano regolarmente attività culturali e politiche intorno al tema della Resistenza. “_Gli albanesi rispettano la nostra lotta. Nei miei scambi con loro, provo ad imparare anche la loro storia e la loro ricchezza culturale”, afferma Mohammad con entusiasmo.
La storia di questi due popoli non è d’altra parte così distante. Nawrūz, il capodanno iraniano, è festeggiato anche in Albania. Quest’ultima, che riunisce circa 4 milioni di anime, ha conosciuto episodi di oppressione e ingiustizia nella sua storia. Il celebre Skanderbeg, padre fondatore dell’Albania e simbolo della resistenza, ha diretto nel quindicesimo secolo l’eroica epopea contro l’occupazione ottomana. Alzando in cima al castello reale la bandiera (rossa con un'aquila a due teste), avrebbe pronunciato queste parole al suo popolo: “Non ho portato la libertà, l’ho trovata in mezzo a voi”.
Un movimento guidato dalle donne.
Dei tremila abitanti di Achraf-3, un terzo sono donne. La più giovane delle militanti ha 22 anni, la più anziana 73. Arrivati dall’Iraq in aereo, erano in tanti a soffrire delle ferite inflitte nel corso degli attacchi ripetuti da parte delle milizie islamiste pagate da Teheran. “Il blocco dei soccorsi medici al quale erano sottoposti ha peggiorato la loro situazione” ci dice triste Mohammad.
La loro volontà e convinzione ha fatto di questi resistenti una fonte di speranza per gli 80 milioni di iraniani che confidano nella fine dell’oppressione islamista. Avendo visto i loro valori difesi dagli Achrafiani, li considerano ormai un emblema di democrazia e un'occasione per fare dell’Iran un paese di libertà e giustizia. Il regime dei mollah ha accusato l’OMPI, e la sua rete di simpatizzanti in Iran, di essere all’origine delle rivolte popolari che hanno sconvolto il paese tra dicembre 2017 e gennaio 2018. In esse si sono susseguiti scioperi e proteste contro il costo della vita e il dispotismo. In seguito all’azione dell’OMPI, si sono prodotti dei focolai di resistenza all’interno del paese, con la partecipazione di movimenti sociali e con altre manifestazioni. Il movimento rifiuta qualsiasi intervento esterno e si affida alla resistenza interna per realizzare un cambio di regime, che sia a favore del popolo iraniano e da esso guidato. Come reazione, la guida suprema dei mollah, Ali Khamenei, ha accusato di “ipocrisia” gli oppositori al suo regime. I mollah accusano l’OMPI di ipocrisia in senso religioso, per sottolineare che non sono veri musulmani.
Sono ormai 40 anni che il movimento dell’OMPI afferma di essere vittima di una politica di sterminio e di una campagna di sistematica demonizzazione da parte del regime. Accusati da Teheran di essere una “setta in guerra contro dio (mohareb) e alleata degli Stati Uniti”, solo nel 1988 erano stati giustiziati più di 30.000 prigionieri politici simpatizzanti dell’OMPI. Amnesty International ha denunciato questo crimine contro l’umanità, e fatto pressione perché le autorità iraniane cessassero di distruggere decine di fosse comuni per cancellare le tracce delle proprie crudeltà. La Guida suprema ha da poco indicato Ebrahim Raïssi, al tempo al comando del potere giuridico, come uno dei principali autori del massacro del 1988.
Le ONG in difesa dei diritti umani condannano inoltre il regime di Ali Khamenei per aver condannato a 38 anni di carcere e 148 frustate l’avvocatessa iraniana Nasrin Sotoudeh, vincitrice del premio Sakharov nel 2012 per le sue attività pacifiste contro le ingiustizie. Lo stesso Mohammad Safei ha pagato un caro prezzo per la causa dei diritti umani in Iran. Con sua sorella Zoreh, sono gli unici sopravvissuti di una famiglia di sei persone, decimata dalla repressione sanguinaria compiuta in Iran negli anni ‘80.
“Come può il campo di Achraf e i suoi 3400 abitanti provocare una simile isteria omicida da parte dei mollah?”
Jean Ziegler, sociologa svizzera
“I miei genitori, così come mio fratello di sedici anni Majid, sono stati giustiziati con un’altra cinquantina di simpatizzanti dell’OMPI nell’agosto del 1981. Un anno più tardi, l’altro mio fratello Javad, studente di 27 anni, è morto torturato nella prigione di Evine. Mia sorella di 24 anni Zahra e suo marito, universitari, sono stati assassinati per strada”, ricorda Mohammad. “Mio padre, Morteza, era un medico molto apprezzato a Isphan e non sopportava l’oscurantismo dei mollah. Mia madre Effat era militante dei diritti delle donne, e aveva partecipato alle manifestazioni contro l’obbligo di portare il velo nel maggio 1979”.
Guidato da donne, il movimento dell’OMPI si propone come antitesi al regime degli integralisti, che vede nella parità dei sessi una minaccia esistenziale per il paese. “La lotta per l’uguaglianza passa attraverso il cambio di regime e le donne l’hanno capito molto bene” sottolinea Mohammad, indignato dalla misoginia dei mollah. “Le iraniane si impongono oggi come una forza di cambiamento e la partecipazione significativa delle donne nelle recenti manifestazioni è stata indicata dalle autorità come la forza motrice del movimento, che esige con esasperazione la fine del regime della Guida suprema”. L’OMPI ha fatto della partecipazione ugualitaria delle donne alla direzione politica del paese la base del proprio progetto di società.
L'Iran, emarginato dall'Europa.
In Albania, Mohammad è membro del gruppo di ricerca informatica della Resistenza. La sua attività consiste nell’aiutare gli utenti in Iran a eludere la censura su Internet. “Il potere cerca di restringere l’accesso alla rete per impedire all’opposizione di organizzare o guidare manifestazioni e scioperi” ci spiega. La catena televisiva della Resistenza trasmette via Telegram, il servizio di messaggistica criptata più popolare del paese. Secondo Mohammad Shafei, “Telegram raggruppa circa 40 milioni di utenti in Iran, circa un abitante su due, in un paese in cui Facebook e Twitter sono entrambi bloccati, ma a cui si può accedere con l’aiuto di una VPN”. (Virtual Private Network, connessione che permette di creare una rete virtuale privata, ndr).
Non passa settimana senza che i media del regime non mettano in guardia contro i pericoli delle attività dell’OMPI. L’agenzia di stampa ufficiale, FARS, scriveva il 10 marzo scorso che “Il cyberspazio e soprattutto i social network costituiscono oggi il terreno principale delle operazioni degli ipocriti (Moudjahidine del popolo). Traendo profitto dalle capacità del proprio effettivo, che conta tra i duemila e i tremila membri in Albania, usano il principale mezzo a propria disposizione per influenzare la società iraniana”. L’Iran è una società giovane, urbanizzata, femminista e soprattutto aperta e connessa con il mondo grazie a Internet. Ma un ostacolo più grande frena il suo dinamismo e le sue immense potenzialità: l’influenza religiosa sulla politica.
Jean Ziegler, conosciuta altermondialista e sociologa svizzera, dichiarava riguardo ad Achraf, in seguito a due massacri avvenuti contro i suoi abitanti: “Come può il campo di Achraf e i suoi 3400 abitanti provocare una simile isteria omicida da parte dei mollah? La risposta è che (…) se esiste un centro, anche ridotto numericamente, demograficamente, territorialmente, un centro che diffonde i valori democratici, i valori libertari, i valori della solidarietà internazionale, ciò è intollerabile per qualsiasi tirannia, poiché questo centro mina le basi della legittimità del regime tirannico. I mollah hanno capito il pericolo rappresentato da Achraf”.
Nel 2019, l’accanimento contro il movimento da parte del regime rimane invariato. Se all’interno del paese imprigiona e tortura i simpatizzanti, non rinuncia a ricorrere al terrorismo all’estero, colpendo gli oppositori con attentati in Albania, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Danimarca e Norvegia. L’8 gennaio scorso, il Consiglio europeo ha deciso all’unanimità di inscludere nella lista europea del terrorismo una cellula del ministero di intelligence iraniano, coinvolta nell’organizzazione di progetti di attentati di grande portata contro gli stabilimenti del movimento a Tirana e a Parigi, rispettivamente a marzo e giugno 2018.
La presidentessa dell’OMPI Maryam Radjavi, così come numerose personalità internazionali che hanno contribuito alla causa del movimento, sono state bersaglio di questi attentati sventati. L’ambasciatore iraniano in Albania è stato espulso dal governo del paese, che intende proteggere i suoi rifugiati. Assadollah Assadi, un importante diplomatico iraniano all’ambasciata di Vienna, è stato arrestato dai servizi di intelligence europei ed è in attesa di essere giudicato in Belgio. Aveva consegnato un potente esplosivo agli autori del progetto di attentato a Parigi (Villepinte), vanificato prima della sua attuazione.
Nel suo intervento in occasione dell’incontro di decine di migliaia di iraniani della diaspora, Maryam Radjavi aveva elaborato il programma per un Iran libero: “Intendiamo edificare una società fondata sulla libertà, la democrazia e l’uguaglianza, una società che rifiuti la tirannia, le influenze esterne e le discriminazioni di genere, etniche e sociali. Abbiamo difeso e continuiamo a difendere l’uguaglianza degli uomini e delle donne, il diritto a scegliere liberamente come vestirsi, la separazione dello stato dalla religione, l’autonomia delle minoranze, l’uguaglianza di diritti sociali e politici di tutti gli iraniani, l’abolizione della pena di morte, la libertà di espressione e di stampa, la libertà di riunione in associazioni, consigli e sindacati.”
I resistenti, che il 21 marzo hanno festeggiato il capodanno iraniano in concomitanza con l’equinozio di primavera, sono ottimisti riguardo all’avvenire del paese, e confidano che l’anno 1398 del calendario persiano porti un cambiamento in questa civiltà millenaria. Fu proprio Ciro il Grande, fondatore del più grande impero persiano dell’antichità, a elaborare la prima dichiarazione dei diritti dell’uomo. Sul cilindro di Ciro, tesoro del secondo secolo avanti Cristo, si può leggere di temi forti quali la libertà di culto, l’abolizione della schiavitù, la libertà di scelta della professione… Oggi, dopo quarant’anni di dittatura islamica, poco resta di questa eredità umanistica.
“Con un’economia in decadenza e le libertà fondamentali inesistenti, il regime della Guida suprema Ali Khamenei ha scavato un abisso tra se stesso e il suo popolo”, afferma tristemente Mohammad. “Non sono tanto le sanzioni economiche americane la prima causa di questo disastro, quanto lo spreco di risorse del paese in costosi progetti militari con gruppi estremisti iraniani e con il regime di Assad in Siria”. I democratici iraniani non sopportano più questa situazione. “Achraf-3 rappresenta oggi un centro di resistenza e di speranza per il popolo, sfinito da anni di repressione e privazioni”, afferma Mohammad. “Stiamo facendo tutto il possibile per permettere agli iraniani di prendere in mano il proprio destino”.
Foto di copertina: (cc)Gjata Erwin/pixabay
Translated from L'Albanie : nouvel eldorado des résistants iraniens