Lakino Film Festival Berlin: Alejandro Jodorowsky "La Danza de la Realidad" (2013)
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Highlight della seconda edizione del Festival del Cinema Latinoamericano di Berlino è "La Danza de la Realidad" di Alejandro Jodorowsky, regista di "El Topo" (1970) e "La montagna sacra" (1973). Il film nasce dalla trasposizione cinematografica della sua autobiografia, pubblicata nel 2006.
Autobiografico, ma allo stesso tempo universale. Alejandro Jodorowsky mostra la sua infanzia a Tocopilla, piccolo paesino sulla costa cilena, popolata da personaggi surreali come la regina di coppe e il teosofo o un'esilarante madre ossessionata dal canto, ai quali affida i messaggi in codice della sua poetica. Il bisogno d'amore, di immaginazione e la ricerca di sé stessi al di là delle costrizioni imposte dalla famiglia, dall'educazione e dalla società all'individuo. Tutti i temi più sentitamente indagati nel corso della vita adulta da Jodorowsky, che appare personalmente diverse volte durante il film per guidare il giovane Alejandro attraverso la trama della vita.
Il viaggio di Jodorowsky attraverso la vita
Il regista vuole presentare al pubblico il suo viaggio attraverso la vita e affidarci il messaggio di conservare gli occhi del bambino che c'è dentro di noi, puro come il diamante. Per fare questo usa tutti gli ingredienti per cui sono famosi i suoi film, i suoi fumetti e i suoi libri: dalla psicomagia, alla religione ai tarocchi. Jodorowsky usa le storie della sua infanzia per smascherare la genesi della paura, dei limiti personali e dei conflitti nati con l'educazione o ereditati dalla propria famiglia d'origine. Nello stesso tempo indica però sempre allo spettatore la via verso la catarsi e la liberazione, anche attraverso il dolore. Jodorowsky porta sullo schermo alcuni principi della psicomagia ovvero quell'arte usata dal regista stesso per portare gli individui alla guarigione delle proprie ferite psichiche.
Non solo il piccolo Alejandro affronta la crescita e il difficile rapporto con la madre fino a sperimentare la liberazione dall'oscurità, ma lo stesso percorso compie, nel frattempo, il padre che deve fare i conti con il suo ruolo nella società e con la storia della propria patria, oppressa dalla dittatura. Proprio questa duplice scelta narrativa rende il film decisamente lungo, supera le due ore, ma permette al regista un viaggio autobiografico molto intenso verso le origini non solo proprie, ma della sua intera casa paterna. Proprio questo piano narrativo unito alla catarsi finale portano il regista a poter dare uno sguardo universale alla genesi dei problemi dell'individuo, così da trascendere la storia individuale dell'autore, che offre al pubblico la sua arte come spunto di autoguarigione dalle ferite della vita. Da vedere.