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L'agilità dell'uomo-gatto: parkour, l'arte dello spostamento

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Miriam F.

Cultura

Federico, o meglio, il "Gato", è un biologo italiano. Ma la sua vera passione è un'altra: il parkour, ovvero l'arte dello spostamento. Una disciplina che permette all'uomo di conoscere il proprio corpo ed i suoi limiti. Il "Gato" ci accompagna alla scoperta di questa affascinante arte, con un avvertimento: diffidare delle competizioni internazionali.

Federico, alias “Gato”, mi scrive dal Laos, una delle mete del suo viaggio, anzi una “tracciata” nel Sud-Est asiatico: compagni d’avventura il suo meticoloso kit di sopravvivenza e il suo fisico. Il corpo, mi spiega, «è l’unico strumento e l’unica difesa che abbiamo». Gato è all’anagrafe un biologo, e per passione un traceur (praticante del parkour), uno che con gli spazi (città, periferie, campagne e, adesso, anche giungle) ci si misura. Ha scoperto cosa fosse questa disciplina cinque anni fa, a vent’anni: l’effetto è stato quello di «un’esplosione mentale».

L'arte dello spostamento

Parkour a LondraIl parkour è per definizione “l’arte per diventare maestri dello spostamento”: si conosce il proprio corpo, i suoi limiti, per poi ampliarne le capacità, rendersi fluidi nel movimento e ritrovare la “propria anima animale”. Per cominciare il budget è minimo: un paio di scarpe da corsa (anche se i più audaci ci si cimentano a piedi nudi) e uno spazio. Il parkour nasce nelle periferie urbane, ma si possono tracciare percorsi ovunque, secondo i propri gusti e soprattutto secondo le circostanze, variabili che il traceur sfrutta per rendere sempre nuovi e diversi i suoi movimenti, possibilmente senza mai ripetere la stessa sequenza.

Più dispendioso è certamente il lavoro da compiere sul fisico: esercizi di condizionamento, metodo naturale di Hebert, sessioni di tecnica pura. Senza indulgere troppo all’edonismo da palestra: potenziare il fisico è essenziale, ma l’obiettivo è sempre spostarsi, in situazioni concrete e reali, in cui ci si ritrova per caso o che si cercano appositamente. Il parkour è lo sport ideale per chi, come Gato, si sente un esploratore nato e uno sperimentatore. Non ci sono regole predeterminate, l’improvvisazione è essenziale perché lo spazio muta e si confronta a sua volta col traceur. In ambienti urbani sapersi muovere fluidamente rende Gato più sicuro, più libero in ogni situazione.

A ognuno la propria traiettoria

Al di là dell’etica dei pionieri della disciplina, ognuno ha la sua. Gato non ha dubbi su come fare del parkour espressione di sé: «ricerco un altro modo di vivere le cose, rivendico il diritto di essere responsabile delle mie azioni, a vivere il mio ambiente in modo personale. Affermo il mio diritto a migliorarmi per quanto mi sia possibile». Quando lo pungolo sul nodo dell’esibizionismo, semplicemente mi dice che vorrebbe che chi lo guarda non si soffermasse sulle sue acrobazie, ma piuttosto trovasse spunti per interagire in modi nuovi con l’ambiente, per muoversi negli spazi che gli son concessi tracciando una propria traiettoria. Per questo non è un grande fan delle competizioni internazionali, che i fondatori del parkour non hanno mai ufficialmente riconosciuto.

I meeting di free running gli sembrano competizioni fra maschi per incoronare il dominante. Anche se, da biologo evoluzionista, accetta la competizione, non ama la spettacolarizzazione. Preferisce valutare i suoi spostamenti in base all’utilità, come gli animali: una preda che fugge dal predatore, la ricerca del percorso più breve per una migrazione. La bellezza viene dopo: prima si deve imparare a cadere, ad attutire gli urti, a far presa sulle superfici.

Ricercare vie alternative

Foto: Federico gato Mazzoleni/flickrEsistono dei corsi di parkour in giro per il mondo, o meglio “laboratori”, ma è scettico sulla loro validità. Si deve lavorare sulla propria resistenza, non solo fisica, anche mentale. Bisogna ricercare vie alternative, magari osservando come si muovono gli animali: Gato ultimamente ha provato a farsi talpa per camminare su percorsi semi-allagati a quattro zampe. L’eclettismo è un’altra risorsa imprescindibile per uno sport che non ha punteggi né piste da seguire, e tenendo presente che tutti gli esseri viventi, in tutte le epoche e condizioni, hanno bisogno di spostarsi. In Italia la scena del parkour è un po’ stagnante, forse per diffidenza, o forse per la "calcio mania" che lascia poco spazio ad altri sport.

Più viva è sicuramente nei Paesi scandinavi, dove anche Il Gato ha potuto incontrare dei traceurs provenienti da tutta Europa. Nei suoi viaggi, cerca sempre di contattare un traceurlocale, uno che conosce bene lo spazio con cui Il Gatto dovrà misurarsi: a Bangkok ha già un contatto, che gli darà una mano a studiare come muoversi. Le informazioni passano via Internet: i trucchi e i segreti si scambiano sui forum e via e-mail. Serve conoscere il tipo di superfici con cui si ha a che fare, immaginare il tipo di mosse che si faranno, ma soprattutto sentirsi pronti a far parlare il corpo con l’ambiente. Gato non ha necessariamente sette vite, ma ha la curiosità sufficiente per scegliersi da solo i percorsi da seguire, delle unghie pronte per aggrapparsi e difendersi e un metabolismo versatile che sa dosare le energie. Insomma, è equipaggiato per spostarsi al meglio in questa vita e cercare di atterrare sempre ben saldo sulle zampe.

Foto: LexnGer/flickr, JB London/flickr, gkamin/flickr, Federico gato Mazzoleni/flickr; videofetzthecat/Youtube

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