La via (pan) europea al blues
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Mike Sponza, bluesman italiano, fondatore di un progetto centroeuropeo prima e paneuropeo poi, racconta come il blues non sia solo un genere americano e contribuisca all’integrazione. Intervista.
Mike Sponza, triestino, da quindici anni collabora con artisti da tutta Europa e a questo scopo ha fondato il progetto Kakanic Blues. Il termine “kakanic” lo ha preso in prestito dallo scrittore austriaco Robert Musil e sta ad indicare un concetto che definisce tutto ciò che è collegato con l’Europa centrale. Tre album all’attivo (il quarto è previsto per il 2009): nel precedente, uscito a gennaio 2008, Kakanic Blues 2.0 ha collaborato con Carl Verheyen (California), Vincent Williams (Usa), Ian Siegal (Inghilterra), Bosko Petrovic (Croazia), Dieter Themel (Austria), Matyas Pribojski (Ungheria), Primoz Grasic (Slovenia), Vladan Stanosevic (Serbia), Sandor Toth (Ungheria),Janez Boncina "Benc"(Slovenia), Vincent WIlliams, USA, Mario Mavrin (Croazia), Michele Bonivento, Moreno Buttinar, Paolo e Stefano Muscovi (Italia).
Com’è nata l̕idea di creare un gruppo di blues centroeuropeo?
«Vivendo a Trieste, una città italiana ma geograficamente vicina ai Balcani e all’Austria, sono abituato a lavorare e fare concerti in Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia…. In questo modo è stato naturale, quando nel 2004 nuovi Stati sono entrati nell’Ue, elaborare un progetto che radunasse artisti centroeuropei. Le nuove possibilità di incontro di musicisti blues si sono dimostrate feconde, anche perché il blues, a differenza di quello che si pensa, è come un filo rosso che lega gli Stati europei, al pari della musica classica e del jazz».
Quali sono le difficoltà, i problemi logistici che nascono quando si mettono insieme tanti musicisti di diverse nazionalità?
«Il problema dell’organizzazione esiste, soprattutto per realizzare un cd pan europeo. Abbiamo elaborato una tecnica innovativa, che potremmo definire di “song crossing”: a partire da una prima stesura del lavoro fatta a Trieste dal mio trio, vengono fatte successive registrazioni nelle altre città. Quando non era possibile spostarsi mandavamo il materiale via Internet :così un chitarrista di Copenaghen manda, ad esempio,una canzone a uno di Budapest, ritenendolo più adatto di altri per affinità di stile a reinterpretarla, poi questo la passa a uno spagnolo e cosi via».
È possibile affermare che sta nascendo un nuovo genere musicale europeo?
«Sì, proprio così. Il blues ha molti stili: chi più sul rock, chi sul rithm and blues, chi più sugli anni Cinquanta. Certo l’origine del blues va ricercata negli Stati Uniti, ma ora possiamo andare oltre i modelli inglese e americano. Il fatto di appartenere a un’area geografica e culturale “altra” va trasposto nella musica blues, non cancellato: dobbiamo seguire l’esempio dei musicisti croati o ungheresi, che hanno sviluppato un approccio personale al blues. Hanno cominciato a farlo perché non potevano ascoltare il blues, un genere musicale che non attraversava la Cortina di ferro, e il risultato è stata una musica autentica, senza cliché importati. Gli unici nell’Europa occidentale a aver fatto qualcosa di simile sono stati i francesi, che per cultura hanno la tendenza a filtrare i prodotti culturali stranieri. La scena blues francese è credibile».