La Vecchia Europa? Deve agire, non protestare
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Ottavio Di BellaTra delocalizzazioni e dumping sociale, la concorrenza dei nuovi membri è dura. Ma, anziché accusare, la Vecchia Europa farebbe meglio a riformare i propri sistemi fiscali.
Attraverso il ronzio sulla stampa di parole come “outsourcing” e “dumping sociale”, in alcuni paesi si sta sviluppando una fastidiosa fronda anti-orientale. Qual è tuttavia la realtà? Se l’allargamento appare un fatto positivo per le economie della precedente Ue a 15, perché sta montando lo scontento nella vecchia Europa?
Un processo indolore
In teoria, si dovrebbe essere ben contenti per gli Stati membri dell’Ovest. La liberalizzazione commerciale che ha fatto seguito all’Allargamento a est, ha risollevato la crescita nei paesi europei centro-orientali con costi trascurabili per i vecchi stati membri. I timori riguardanti i bassi costi dei prodotti provenienti dai paesi orientali nei mercati occidentali si son dimostrati infondati, poiché le importazioni dai nuovi membri non ammontano a più dell’1% del Pil Ue, mentre la maggiore competizione ha fatto abbassare i prezzi, con buona pace dei consumatori europei. Inoltre, gli investimenti occidentali in questi paesi, in particolare nei settori in cui più si richiedono risorse umane, come nel tessile e nell’industria dell’automobile, hanno permesso alle società Ue di restare competitive a livello globale e di continuare ad espandersi nei propri mercati domestici.
Inoltre, la tanto pronosticata mareggiata di emigranti orientali non si è materializzata. Secondo un recente studio eseguito dall’Università di Liverpool, sono approssimativamente 300.000 i cittadini provenienti dai nuovi stati membri che hanno oggi ufficialmente un lavoro nei vecchi paesi Ue, fornendo cioè solo lo 0.2% della forza lavoro. Persino in Austria, che ha la percentuale più alta di lavoratori che vengono dai paesi dell’est, essi rappresentano solamente l’1.2% della forza lavoro, mentre in Germania la cifra ammonta allo 0.4%. L'impatto economico complessivo del processo di allargamento per i vecchi stati membri è stato infatti in buona parte positivo. In effetti, secondo le stime della Commissione Europea, grazie alla firma degli Accordi europei tra l’Ue e i paesi dell’Europa centro-orientale nella metà degli anni Novanta, il Pil Ue è cresciuto di un ulteriore 0.5%. Ma se il processo ha dato benefici di natura economica alla vecchia Europa, com’è possibile spiegare l’ostilità crescente verso l’Est da parte di paesi come Francia e Germania?
Aggiustamenti in corsa
I profitti economici messi in luce da quanti difendono l’allargamento sono veritieri, ma convincono poco gli scettici circa la visibilità di simili guadagni nella vita di tutti i giorni. Mentre i benefici sono a lungo termine ed intangibili, gli effetti dirompenti iniziali dell’allargamento sono immediati e difficili da ignorare. Di conseguenza, molte problematiche politicamente esplosive sono venute a galla nel momento in cui il Mercato Comune si è allargato a 10 nuovi paesi.
La delocalizzazione di società o industrie in paesi orientali che offrono condizioni di lavoro più competitive, è divenuto un punto fisso nelle relazioni est-ovest. L’introduzione dell’“imposta ad aliquota fissa” in campo societario (un’unica percentuale fissa per le imposte sui redditi) in molti nuovi stati membri sembra aver costituito un fattore decisivo per attirare parecchie aziende ad investire ad Est. Questo sistema di ‘tassazione a taglia unica’ è stato duramente attaccato ad esempio dal Cancelliere tedesco Gerhard Schroeder, che si è lamentato del fatto che la Germania “in qualità di maggiore contribuente netto [al bilancio dell’Ue], finanzi una sleale competizione fiscale contro se stessa”. Tuttavia l’imposta ad aliquota fissa non ha di per sé niente di sleale. In effetti, sembra costituire un’alternativa innovativa ai bizantinismi fiscali favoriti da alcuni dei più grandi stati membri.
Il buon senso degli affari dei governi orientali costringe la vecchia Europa all’esame di coscienza. Ma la reazione impulsiva di proteggere i propri dorati modelli sociali ha spinto Francia e Germania a chiedere nel 2005 di fissare una soglia minima per il livello di imposizione fiscale. Ma se i Trattati lasciano spazio agli interventi della Commissione in materia di pratiche anti-competitive, non le danno tuttavia il diritto d’intromettersi nella composizione dei sistemi di tassazione dei singoli stati membri, campo che resta nelle redini dei singoli governi.
Una spinta nella giusta direzione
La verità è che l’allargamento ha sottolineato il bisogno per paesi come Francia e Germania di riformare i propri sistemi fiscali e alleggerire i propri modelli di Welfare per mantenere competitive le rispettive economie. La vecchia Europa non dovrebbe tentare di nuotare contro la mareggiata che viene dalle delocalizzazioni, ma semmai reagire ai nuovi cambiamenti ambientali che han fatto seguito all’allargamento. Piuttosto che proteggere industrie che stanno emigrando ad est, gli stati membri occidentali dovrebbero sviluppare il capitale umano nelle proprie industrie, permettendo così una stabile crescita economica nel futuro. Gli immigranti orientali dovrebbero essere accolti a braccia aperte anche in quei paesi come la Germania che –fiaccati da una popolazione che invecchia e una forza lavoro che si contrae– dipenderanno sempre di più dalla presenza di questi lavoratori per i contributi al sistema pensionistico.
Nel momento in cui la Commissione sta per inserirsi nel surriscaldato dibattito sulle importazioni di tessili dall’Asia, è duro ignorare il fatto che la competizione globale non fa che intensificarsi. Se l’Ue vuole restare attraente per gli investitori, e se intende sfiorare almeno gli obiettivi fissati a Lisbona e Göteborg –dove s’impegnò a diventare “l’economia basata sulla conoscenza, più dinamica e competitiva al mondo entro il 2010”, deve agire rapidamente per riformare i propri sistemi di Welfare e dare un taglio alla burocrazia. Forse le pressioni aggiuntive derivanti dal processo dell’allargamento, rappresenteranno il catalizzatore necessario per metter mano a queste riforme.
Translated from Old Europe must act, not protest