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La street art a Napoli: tra sacro e profano il paradosso dell’arte di strada

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Napoli

In occasione della proiezione di Bansky does New York, primo appuntamento del 2016 con AstraDoc - Viaggio nel Cinema del Reale, torniamo a parlarvi di street art, riflettendo sul paradosso di quest'arte e sul suo stato nel capoluogo campano.

Il Viaggio nel Cinema del Reale di AstraDoc ricomincia, dopo la proiezione di Tempo Pieno NapolIslam, con la proiezione di Bansky does New York di Chris Moukarbel e, in anteprima, di Letter from an imaginary man di Matilde De Feo. Abbiamo ritenuto interessante cogliere l'occasione del documentario dedicato al writer per riflettere sul paradosso insito in questa forma d'arte e sul suo stato a Napoli.

Ogni opera d’arte è figlia del suo tempo. Vassily Kandinsky, Lo spirituale nell’arte

Il paradosso della street art

In tempi non lontanissimi, il solo fatto di vergare segni sui muri, lungi dal riconoscere all’opera un qualsiasi intrinseco valore estetico, era unicamente percepito come gesto di ribellione, da parte di chi lo praticava, e come atto vandalico dalla maggior parte delle altre persone. Oggi la street art è tra le esperienze artistiche contemporanee più interessanti, gli artisti che la creano diventano ogni giorno più famosi, si parla di muri legali, di arte urbana su commissione, un po’ dovunque fioriscono progetti che coinvolgono partnership sia pubbliche che private nella realizzazione di interventi d’arte, magari compresi nell’ambito di più ampi progetti di riqualificazione di determinate aree o spazi pubblici.

Spesso viene citato come il “paradosso della street art”, ma sarebbe forse meglio definirla una situazione di tensione dei diversi diritti e interessi sull’opera. L’arte urbana presenta un potenziale contrasto tra alcuni diritti fondamentali: da una parte il diritto d’espressione e i diritti d’autore appartenenti all’artista; dall’altro il diritto di proprietà del titolare del supporto utilizzato. Ovviamente le possibili responsabilità penali a cui vanno incontro gli artisti, che potrebbero essere accusati di danneggiamento, deturpamento e imbrattamento di cose altrui, non fanno altro che rendere ancora più audaci le loro performance, spingendoli a introdursi in posti sorvegliati, come i depositi dei treni, per realizzare dei "pezzi" clandestini nel minor tempo possibile.

Vandalismo produttivo

Espandendo l'etnocentrico movimento del graffitismo oltre i muri, la coeva street art vanta un potenziale comunicativo esteso non solo perché i messaggi e le immagini che produce sono chiari e immediatamente riconoscibili, seppure i contenuti siano molto diversi tra loro, ma soprattutto perché l'opera si colloca, almeno per un certo tempo, nel quotidiano delle persone. Dai murales provocatori di Blu, ai mosaici di Space Invaders, dai poster di JR agli stencil di Banksy, fino ai segnali stradali reinventati da Clet, l’esigenza d'espressione si traduce in una costante tensione verso la comunicazione di massa e la partecipazione del pubblico al senso dei propri interventi.

Autore di una street art ante litteram, Felice Pignataro è stato definito come “il più prolifico muralista del mondo” realizzando oltre 200 murales in giro per l’hinterland napoletano, ma anche nel resto d’Italia. «I suoi murales raccontavano le battaglie di un territorio, erano esperimenti di arte collettiva, una forma di lotta per i diritti e contro l'emarginazione delle classi più deboli» ricorda sua figlia Martina. La produzione di Felice è così varia perché il suo intento è quello di raggiungere e scuotere quante più coscienze possibili: autoadesivi e manifesti linoleografati e stampati in proprio, striscioni colorati, quadri e sculture con materiali di riciclo. Mentre l’attività del Gridas, l’associazione da lui fondata, continua ancora oggi, purtroppo degli interventi originali poco rimane nell’arredo urbano della città, almeno fino al 2013 anno in cui la stazione di Piscinola-Scampia della metropolitana viene interamente dedicata all’arte di Felice Pignataro e alle sue opere, la FELImetrò.

Se nel caso di Pignataro gli interventi artistici erano tutti autorizzati, il percorso artistico  intrapreso da Cyop&Kaf, prima come writer individuali e poi in sinergia, ha portato alla colonizzazione artistica di molte zone del centro storico, dapprima con interventi di guerrilla art un po’ sparsi, che si sono via via strutturati in un vero e proprio itinerario, in particolare dei Quartieri Spagnoli, dove è possibile ammirare le duecento opere da loro realizzate negli anni, raccolte anche nel libro QS - Quore SpinatoLa loro visione, spesso dura ma devota, ha creato un profondo legame tra contenitore e contenutoovvero tra territorio ed intervento artistico.  

Un atelier a cielo aperto

Dalle firme internazionali di Ernest Pignon-Ernest, Banksy, C215, Zilda e Leo&Pipo, a quelle più “nostrane” quali Arp, Diego Miedo, Gola, Zolta, Come, Pet, Crl e Alice Pasquini,  senza dimenticare le storiche crew KTM e Dias, da oltre trent’anni Napoli è un vero e proprio atelier diffuso di arte urbana, complice il clima di giustificata anarchia che si respira in città o forse il fascino delle stratificazioni “a vista” di epoche e stili differenti, pare che la bella Partenope conservi ancora una certa autenticità e sia per questo fonte d’ispirazione per tutti gli artisti. 

Se le origini della street art si legano alla metropoli e al disagio che le grandi città creano,  contrastato attraverso una nuova idea di plasticità e decoro, oggi essa si presenta come un fenomeno traversale e complesso. La trasversalità si manifesta con una fitta rete di scambi, collaborazioni e contaminazioni a livello internazionale e locale, ciò che prima si esprimeva negli spazi lasciati vuoti dal degrado urbano, è diventata una vera e propria cifra stilistica per molte espressioni artistiche ed un potente vettore per lanciare grandi messaggi di modernità, ponendosi a cavallo tra comunità sociale e mondo dell’arte.

Napoli detiene due primati in materia di street art: l’unico lavoro di Banksy presente in Italia, Madonna con la pistola, e il primo graffito ad essere stato ufficialmente benedetto dalla Chiesa, il San Gennaro di Jorit Agoch. Entrambe le opere si trovano nel centro storico, la prima in via dei Tribunali, esattamente nella piazza della Basilica dei Gerolomini, accanto alla bottega di un robivecchi: è una reinterpretazione di un'opera del barocco romano, un’allusione al controverso legame tra religiosità e mondo malavitoso o forse una sorta di protezione contro la violenza criminale.

L’opera di Agoch è nella piazzetta Crocella ai Mannesi, all’ingresso di Forcella, dove capeggia un San Gennaro dal volto operaio che celebra il rapporto tra il Santo e il suo popolo. Inaugurata lo scorso settembre con tanto di cerimonia ufficiale di benedizione, l’opera promossa e prodotta insieme da INWARD Osservatorio sulla Creatività Urbana e un pool di partner pubblici e privati, tra cui il Comune di Napoli, offre un’immagine rassicurante e politically correct dell’arte urbana.

L’arte dal Basso

Nell'ottobre di quest’anno un’altra artista napoletana ha deciso di installare le sue opere ai Quartieri Spagnoli, con il progetto “ChattingRoxy in the Box, ovvero Rosaria Bosso, porta le icone contemporanee e del passato, in forma di stancil, fuori ai “bassi” la tipica abitazione su strada dei vicoletti partenopei. Amy Winehouse, Frida Khalo, Rita Levi Montalcini, Andy Warhol ed altre figure celebri, si impongono tra i vicoli per la Vascio Art: i poster colorati ed irriverenti, diventano i nuovi vicini di casa con cui chiacchierare. «Roxy attraverso questo progetto, mette tutti su strada al livello dei bassi» mi spiega Sarah Galmuzzi, giornalista appassionata di arte e sagace opinionista «le opere di ‘Chatting’ dialogano con i luoghi e con le persone, collocando con ironia grandi personaggi nella quotidianità  di un vicolo, e stimolandone la conoscenza. Spesso si ha un’oggettiva difficoltà a comprendere il significato di alcune opere di street art, coglierne il messaggio e il legame con il territorio, ma se l’opera riesce ad emozionare, tutte le barriere e i preconcetti svaniscono».

Nel quartiere di Materdei, nel luglio 2015, gli abitanti hanno finanziato un gigantesco murales per portare la bellezza nelle strade, spesso lasciate in uno stato di abbandono. Dipinta dall’argentino Francisco BosolettiLa sirena Parthenope emerge per 15 metri sulla facciata di un condominio sulla salita San Raffaele. L’affascinante figura muliebre, avvolta da piante e dipinta con colori intensi ma discreti, è stata realizzata attraverso un vero e proprio “crowdfunding di quartiere” per acquistare le vernici e l’impalcatura necessaria per realizzarla, un’iniziativa promossa dal comitato Materdei R_esiste che raccoglie associazioni, collettivi e residenti dell’area, attivamente coinvolti in un ampio progetto di riqualificazione dal basso.

Lo stato della street art

L’istintivo desiderio di cogliere qualcosa che è aldilà della comune comprensione, la quotidiana irruzione di distopici messaggi che rileggono la realtà, pur entrando a far parte del quotidiano, la fusione emotiva con il luogo e l’ineluttabile transitorietà di opere che nascono sulle ceneri del degrado: «Non possiamo raccontare una città cercando di edulcorare la realtà» sostiene Reeno25, writer partenopeo di lungo corso «per vedere le opere di street art bisogna andare per strada e non ammirare i riflessi vuoti dell’arte stradale, addomesticata secondo precise necessità mediatiche, per la creazione di un facile consenso. L’arte deve essere semplice e forte, indurre alla riflessione e non limitarsi al solo aspetto decorativo».

«Rispetto al valore epistemico ed etico dell’arte, la street art si pone come un vettore comunicativo ad alto impatto, riuscendo a provocare quasi sempre un’immediata reazione dell’opinione pubblica» osserva Susanna Crispino, curatrice d’arte internazionale e giornalista «Al contempo offre un’appetibile ribalta per artisti che, ormai lontani i tempi della clandestinità, non disdegnano di assaporare un certo successo, anche a livello internazionale. Del resto, la spray-can art è entrata nelle gallerie d’arte già a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, così come un intervento d’arte che interpreta un angolo della città, oggi non deve necessariamente considerarsi street art».

La questione ruota tutta intorno all’autenticità del messaggio: la cultura mainstream ha da tempo metabolizzato parti del linguaggio della street art, riducendone in qualche modo la potenza comunicativa, tuttavia la semiotica della giungla metropolitana può ancora spingere l’arte verso qualcosa di più vero, a patto che non la si banalizzi.