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La storia della Camorra: dagli spagnoli a Gomorra

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Cultura

Con la mediatizzazione del “caso Roberto Saviano” l’Europa e il mondo si sono ritrovati a parlare di Camorra. Spesso confuso con la Mafia o la n’Drangheta il fenomeno rimanda alla (fallimentare) storia dell’unità d’Italia e ha origini spagnole. Intervista con lo storico e giornalista Gigi Di Fiore.

«Il libro di Saviano è ottimo ma se l’emozione resta fine a se stessa e non spinge a conoscere a cercare qualche dato anche di tipo storico, l’effetto sulle coscienze è e sarà effimero». Lo dice Gigi Di Fiore, inviato del quotidiano Il Mattino, storico della Camorra, autore de La Camorra e le sue storie (Utet 2005) e di Controstoria dell'unità d'Italia, fatti e misfatti del Risorgimento (Rizzoli, 2007). Cafebabel.com l’ha rintracciato per spiegare le origini storiche del fenomeno camorristico alla luce della storia dell’Unità d’Italia. Un argomento che fa ancora polemica, soprattutto alla luce della delibera del Comune di Gaeta che chiede ai Savoia il risarcimento per l’assedio della città – ultima roccaforte del Regno delle due Sicilie – nel 1861.

Se dovesse spiegare a un giovane europeo le origini della camorra da dove comincerebbe?

«Partirei dall’origine spagnola. Nella novella Rinconete y cortadillo, Cervantes descriveva un’associazione di malfattori di Siviglia che aveva regole simili a quelle della Camorra dell’Ottocento. L’urbanizzazione di Napoli e la miseria del suo centro storico fece sì che fin dal Cinquecento qui si concentrassero dei delinquenti che prosperavano con furti e ruberie. Dall’Ottocento in poi si fa iniziare la “Camorra storica” che prese coscienza della sua potenza e che era capace di “fare uscire l’oro dai pidocchi”, vale a dire di trarre profitto illecito dalle attività che venivano commissionate alla povera gente: piccoli artigiani, lavandaie... Negli anni Quaranta dell’Ottocento c’era già un’organizzazine strutturata, con regole di accesso e una struttura piramidale e centralizzata».

Ma le cose cambiano quando nel 1861 il Regno delle Due Sicilie scompare e nasce il Regno d’Italia ad opera del Piemonte dei Savoia...

«Sì, il periodo d’oro della Camorra è negli anni Sessanta dell’Ottocento con "l’abbraccio" della nuova Italia unita alla Camorra. Successe che il Ministro dell’Interno dello Stato sabaudo, Liborio Romano, incaricò il famoso Salvatore De Crescenzo, capo della Camorra, di mantenere l’ordine pubblico in città in cambio di un’amnistia generale e di un’assunzione dei suoi uomini nella polizia. Liborio giustificò così questa scelta nelle sue memorie: “In tempi eccezionali ci vogliono misure eccezionali”. Da lì poi una serie di degenerazioni che si sono tramandate nel tempo, nonostante la “repressione” iniziata nel 1863. Ma con scarsi risultati».

La diffusione di fenomeni di rifiuto dell’autorità del nuovo Stato creò anche il brigantaggio, fenomeno ben diverso...

«... perché più rurale rispetto alla Camorra che era fenomeno urbano. Il brigantaggio fu alimentato anche dalla legge sulla leva obbligatoria (cinque anni, ndr) del novembre 1860, a cui la gente cercava di sottrarsi».

Ma l’Unità comportò anche qualche incomprensione linguistica...

«Le autorità italiane avevano bisogno degli interpreti per interrogare i briganti e gli ufficiali piemontesi parlavano il francese. Nell’1880 ci furono i primi dizionari italiano-napoletano. Per la diplomazia e per i rapporti tra stati preunitari italiani la lingua ufficiale era il francese».

(Foto: Wikipedia)

Se ci fosse stata una dichiarazione di guerra del Piemonte al Regno delle Due Sicilie sarebbe stata in francese, allora...

«Probabilmente sì. Fatto sta che non ci fu. Del resto l’esercito sabaudo sconfinò il 10 ottobre nel territorio del Regno delle Due Sicilie, quando il plebiscito avvenne il 21 ottobre».

Ma sui libri di storia non si insegna che l’Unità venne fatta col beneplacito degli italiani?

«Chi fece l’Italia furono il 2% degli italiani dell’epoca. Nelle prime elezioni del Parlamento italiano del resto erano coinvolte 400mila persone sui 21 milioni di abitanti. L’Unità fu calata dall’alto. E questo fa sì che nel Sud lo stato viene visto come estraneo. I volontari della Seconda Guerra d’Indipendenza, i Cacciatori delle Alpi, vantavano, nel 1859, solo lo 0,2% di arruolati provenienti dal Regno delle Due Sicilie».

Quale l’evento storico che illustra meglio le malefatte dell’Unità?

«Di sicuro l’eccidio di Pontelandolfo del 14 agosto 1861: un paese raso al suolo durante una rappresaglia fatta dall’esercito “italiano” per l’uccisione di 41 soldati nella zona, contro quelli che dovevano essere italiani. Non c’era nessuna guerra in corso».

E come spiegare il declino economico del Regno delle Due Sicilie? È difficile, oggi, immaginare che fu lì che fu costruita la prima linea ferroviaria in Italia, realizzati i primi scavi archeologici al mondo...

«Il primo bilancio dello Stato italiano nel 1861 aveva già un disavanzo di 500 milioni di lire dell’epoca. Nel Regno Due Sicilie esistevano cinque imposte, in Piemonte si arrivava a 20 tasse. Il Banco di Napoli assicurava la convertibilità di ogni moneta in oro grazie ad ingenti riserve auree, diversamente dalle banche piemontesi. L’economia delle Due Sicilie poteva reggere grazie a un sistema protezionistico, ma non era pronta al mercato concorrenziale. I cantieri navali di Pietrarsa chiusero, le acciaierie del Sud ebbero la peggio su quelle del Nord, gli stabilimenti del ferro in Calabria dovettero chiudere i battenti. Questo avvenne anche perché le imprese settentrionali erano favorite politicamente».

Il “fallimento” dell’Unità serve a spiegare il fenomeno camorristico?

«Per spiegare sì, non per giustificare. Altrimenti si sviluppa l’alibi dell’immobilismo».

Esistono dei fenomeni comparabili alla camorra in altri paesi europei?

«Sono stati fatti paralleli con la città di Marsiglia. Si è parlato molto del clan dei marsigliesi negli anni Ottanta venuti a Napoli per tentare, invano, di impadronirsi del contrabbando di sigarette. Dove ci sono porti e mare nasce la possibilità per le organizzazioni criminali di sfruttare illegalmente traffici. In altre zone d’Europa non ci sono le condizioni. La cosa interessante? Anche se le origini vanno ricercate in Spagna, nella penisola iberica non ci sono organizzazioni comparabili».

Forse perché l’unità della Spagna è stata fatta diversamente...

«Sì, forse, sì. In Italia, quello che poteva essere un fenomeno solo criminale è stato fatto diventare un fenomeno sociale che oggi gode di ampie simpatie in alcuni strati della popolazione. Per alcuni sociologi napoletani la Camorra è un ammortizzatore sociale. Qui le rivolte delle banlieues parigine non potrebbero avere luogo perché la criminalità organizzata riesce a tenere a freno la violenza sociale, l’insoddisfazione, l’ansia diffusa. Anche grazie ai traffici massicci di droga».