La solitudine del "nulla fotografico" presso la salle de bain: l'autosc-atto su Facebook
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Braccio teso, mani ferme e mani piene, arma letale impugnata con determinazione, ed insieme al tuo sorriso “auto” il tuo iphone tenterà di fare lo stesso, di “ri-scattarsi” a sua volta, di occultare mezza guancia o di assorbire mezza palpebra, perché nell’autoscatto ci sta la complessità del rettangolo “i-phonale” e del tuo sguardo in affido. Per quanto lo si possa posizionare lontano dalla mise del corpo, in modo tale da "ri-tagliarlo" dal tuo corpo, compare ancora di più senza pudore. L’obiettivo della fotocamera del proprio iphone si traduce fondamentalmente con la mano che lo culla, che lo rende impermeabile all’occhio. L’autoscatto tramite l’utilizzo del cellulare non si fonda più sul contatto, come avveniva con la macchina fotografica, in quanto la regola dell’autoscatto effettuato grazie all' iphone è la regola della solitudine che, all’improvviso, si mette di traverso. Perché l’autoscatto non è una fotografia, bensì la realizzazione progessiva dell’arto superiore nel sorreggere un viso rettangolare che rifiuta di concedersi completamente allo specchio ma che tenta in tutti i modi di raggiungere con il proprio iphone. L’occhio per la prima volta non sceglie lo specchio, non subisce l’attrazione verso la pellicola di alluminio, verso il fruscio dello specchiarsi nei propri pori, la mente incontra l’ "auto-sc-atto" nel viso dell’abbondono. Tali autoscatti fondati sulla lontananza dell’occhio rispetto all’apparecchio, sembrano offrire un invito esplicito: “Guardatemi mentre Non mi specchio, ma mentre mi auto-scarto dall’immagine del mio viso rettangolare!”
Se si osservano i vari autoscatti, si nota come lo sguardo cerchi di continuo di schivare non solo la presenza dell’ iphone, ma di schivare addirittura se stesso mentre attende che l’obiettivo raggiunga la posa desiderata. Invano tale gesto cerca una soluzione di continuità, in quanto gli angoli o addirittura parti del proprio iphone ostacolano la comunicazione dello sguardo nello spazio. E nell’autoscatto finisce per regnare il "Nulla fotografico", in quanto risulta davvero poco chiaro che cosa si debba efettivamente guardare e che cosa l’immagine debba produrre per poter essere considerata una fotografia. L’effetto finale dell’autoscatto consiste nella visualizzazione diretta di ciò che si trova Dietro l’ "autoscattante" e ciò che si trova Davanti ma anche ciò che sta in Mezzo che è l’autoscattante stesso. Che cosa c’è di diverso rispetto ad una fotografia eseguita con l’occhio incollato alla macchina fotografica? La risposta consiste nel Davanti-del-Mezzo, cioè nell’occhio che finalmente si libera dal contatto con la macchina fotografia ma che paradossalmente è ancora più lontano dalle sue origini e dalla sua presenza nell’immagine. E nell’attimo in cui lo sguardo tenta di schivare la presenza dell’ iphone, questo si improvvisa occhio esterno ed indipendente. Mentre il viso dell’autoscattante si riflette sullo schermo dell’iphone (riflesso che solo egli può vedere), gli occhi lottano per raggiungere lo specchio che gli si presenta davanti e nel quale l’autoscatto dovrebbe annidarsi, ed è tale battaglia fra lo sguardo che schiva il proprio riflesso e l’occhio improvviso ed improvvisato dell’iphone che definisce l'autoscatto a-fotografico. Appare evidente come l’obiettivo della fotocamera lillipuziana rimanga ancorata al continuo schivare del viso in continuo movimento, leggermente piegato verso destra piuttosto che verso sinistra, oppure alzato sopra il limite dell’iphone. L’autoscattante cessa di trovarsi fisicamente davanti ad uno specchio, perché l’iphone si è già "ri-preso" il corpo dal viso rettangolare scivolando lungo l’arto superiore alla ricerca del riflesso della persona che Auto non è, che Scatto non è, che Atto non è.