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La rotta dell’hashish, dal Marocco alla Spagna

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Translation by:

Default profile picture Antonella Selis

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“Rif, paradiso del kif”. Una rima che è diventata lo slogan turistico di Chefchaouen, villaggio di montagna nel nord del Marocco, noto per la Medina blu e i campi di hashish. È da qua che partono tonnellate di canapa dirette verso l’Europa.

«Prima volta a Chefchaouen (Chaouen)? Benvenuto, amico mio. Vuoi del fumo?». Appena arrivati e già così richiesti. Il Rif, regione montuosa nel nord del Marocco, vive al ritmo dei tamburi, apprezzati più per battere la canapa e farne fuoriuscire la resina che per la loro musicalità. Nel 2006 il Marocco è stato primo produttore nonché esportatore di hashish, secondo un rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro i crimini e la droga. Chefchaouen è diventata “l’Amsterdam” spagnola. L’europeo è per definizione un buon consumatore. Qui la cultura dell’hashish è parte della tradizione. I fenici utilizzavano la canapa per vestirsi, prima di scoprirne gli effetti narcotici. Ancora oggi, gli abitanti del Rif la fumano sotto forma di kif, in una pipa contenente due terzi di marijuana e un terzo di tabacco nero. Secondo l’Osservatorio Geopolitico sulle droghe la domanda europea negli anni Settanta ha trasformato radicalmente la posta in gioco dell’industria produttrice, moltiplicando da trenta fino a quaranta volte i raccolti in due decenni.

Il Rif, terra di passaggio.

Contadini precari

Isolata dal Marocco a causa dei suoi rilievi montuosi e un tasso demografico elevato, il Rif resta una regione estremamente povera, priva di mezzi e aiuti allo sviluppo. All’epoca del protettorato franco-spagnolo, solo la parte sotto il controllo francese vietò la cultura dell’hashish. Alla fine degli anni Cinquanta il governo non poté opporsi ai principali combattenti avendo concesso l’indipendenza al Marocco. Se i villaggi si organizzano per realizzare piantagioni su terrazze, i rilievi accidentati non favoriscono l’agricoltura. I campi di cannabis sono visibili nel mezzo di paesaggi aridi o a foreste, che perdono terreno a grande velocità. Nel giro di venti anni, i dintorni di Katama hanno sostituito 20mila ettari di foresta con campi di cannabis. Inoltre, la tendenza alla monocoltura ha destrutturato la società. Beni Maala, tra la montagna e il mare, è un piccolo villaggio nei dintorni di Chefchaouen. La vicinanza delle coste euro-africane gioca a favore del traffico di hashish. La cannabis cresce su un fianco della montagna e viene imbarcata per l’Europa dall’altro lato. Si realizzano due tipi di piantagione: le piantine da un metro sono di qualità superiore, quelle da tre metri vengono, ad esempio, inviate ad Amsterdam. Solo gli uomini si occupano della produzione. Le donne sono relegate ai lavori domestici. Portano sulle spalle enormi carichi di legna, cucinano e mandano avanti la fattoria. Le loro vite rimangono comunque sempre precarie. Le famiglie non guadagnano quasi niente, vale a dire dall’1 al 5% del valore finale dell’hashish sul mercato, dai 10mila ai 70mila dirham (da 900 a 6300 euro) all’anno. Molti aspirano a seguire lo stesso percorso della droga, cioè oltrepassare lo stretto e vendere la propria manodopera in Europa.

Sequestri in Spagna

La mafia che si occupa del trasporto guadagna milioni, e anche miliardi. L’oro del Rif viaggia su barcacce o all’interno delgi stomaci. I trafficanti ingurgitano “caramelle” avvolte nel cellophane. Una parte viene venduta ai turisti per passare la frontiera. Nel 2004 l’80% dei sequestri europei riguarda hashish proveniente dal Marocco, di cui la metà intercettato in Spagna. Fatti che riempiono le pagine di cronaca dei giornali iberici. La droga non è l’unico leit-motiv degli ambienti mafiosi. Il Rif è anche una terra di passaggio dei clandestini. Delle funi vengono installate sui sentieri che percorrono la notte, e nelle grotte vive un mondo parallelo. Dal 2005 le operazioni di falciatura stanno sradicando i campi di cannabis: la regione del Larrache, a sud di Tangeri, ne è un esempio. Secondo l’Istituto Internazionale per il Controllo degli Stupefacenti (OICS), tra il 2004 e il 2005 il Marocco ha ridotto del 40% la superficie delle sue piantagioni. Rabat si augura di porre fine alle coltivazioni di hashish entro il 2018.

Parchi nazionali, impianti turistici: lo sviluppo alternativo è molto in voga. Si sta già provando, in partenariato con finanziamenti europei, a sostituire l’hashish con coltivazioni alternative o con il turismo verde rivolto agli appassionati del trekking. Ma come convincere gli agricoltori a passare dalla coltivazione della cannabis a quella dell’orzo, da dodici a sedici volte meno redditizia? Intorno a Chaouen, i contadini restano ottimisti. Il termine “kif” viene dall’arabo “kef”, “piacere” in italiano. «Noi siamo i primi fornitori di piacere in Europa», traduce Amine, guida di montagna. «Finché ci sarà richiesta, bisognerà continuare a produrre».

Translated from Du Maroc en Espagne, des estomacs pleins de haschich