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La politica oltre la polemica

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Ottavio Di Bella

Turchia sì o Turchia no? Le polemiche non servono. Solo i criteri politici (di Copenhagen) contano. E gli atlanti? Rimetteteli nel cassetto, s’il vous plaît…

“Nuova questione d’Oriente” o febbre turca? Certi partiti o politici europei – in Francia il centrodestra dell’UMP con Alain Juppé , in Germania la CDU con Edmund Stoiber – hanno voluto gettare un sasso nello stagno europeo manifestando la loro opposizione all’entrata della Turchia nell’Unione. Il fenomeno si è allargato a macchia d’olio, obbligando tutti a schierarsi e relegando spesso gli altri temi elettorali su un secondo piano.

Questo dibattito ha almeno tre meriti che non cessano di interessare.

Maschera, almeno per qualche tempo, la vacuità del discorso sull’Europa dei dirigenti politici nazionali e dei loro partiti: parlando e sparlando di Turchia, si evitano argomenti più ingombranti: crescita congelata, Costituzione bloccata e futuro dell’Unione.

Offre – infine – l’opportunità di un dibattito sovrannazionale: in tutto il continente, alcuni rabbrividiscono al pensiero di vedere i turchi alle porte di Bruxelles, e lo vogliono dire. Perfetto – saremmo tentati di dire: per una volta gli europei discutono insieme su chi debba avere accesso alla nostra casa comune.

Un processo di lunga durata

Tutto ciò, permette anche di far emergere delle questioni di fondo sulla natura del progetto politico europeo e sul suo avvenire. Interrogarsi sull’adesione della Turchia, significa riflettere sulle frontiere di una Unione che potrebbe estendersi fino alle frontiere dell’Iraq. Significa pensare alle questioni geostrategiche della costruzione europea: con un piede in Asia, l’UE potrebbe mettere al sicuro l’accesso alle risorse energetiche del Mar Caspio e del Golfo Persico. Significa inventare nuove forme di cooperazione in favore della democrazia, della prosperità economica e della stabilità sul cammino dell’Europa. Significa elaborare un dialogo delle culture che in questi tempi di fanatismo crescente, possa relegare le varie ideologie ad un ruolo di secondo piano. Significa mettere in cantiere la questione della governabilità e della democratizzazione di una sintesi politica la cui la popolazione raggiungerebbe, includendo Bulgaria, Romania e Turchia, più di 550 milioni di cittadini.

A simili interrogativi, questo dossier di café babel, come coloro che se la prendono con la Turchia, non porterà risposte, troppo impegnative per i nostri propositi. Vogliamo solo rispondere alle polemiche col dibattito.

Il processo di adesione della Turchia all’Europa non è un fenomeno né recente, né vicino alla sua conclusione. La Turchia ha firmato un accordo di associazione con la Comunità europea nel 1964, una candidatura implicita, prima di una domanda di adesione formale effettuata nel 1987. Il summit di Helsinki nel dicembre del 1999, indicava la Turchia come “un paese candidato che ha vocazione a raggiungere l’UE sulla base degli stessi criteri applicati agli altri candidati”. Questi “criteri di Copenaghen”, definiti nel 1993, specificano che ogni candidato all’adesione deve soddisfare alcuni standard politici (democrazia, stato di diritto, rispetto dei diritti umani e protezione delle minoranze) e di economia (sistema basato sull’economia di mercato capace di supportare il livello di concorrenza nell’UE).

Tentennamenti europei

La valutazione del rispetto della Turchia di questi criteri sarà presentata in un rapporto della Commissione che verrà reso noto nel novembre di quest’anno. Se il parere della Commissione sarà positivo, potrebbero essere aperti dei negoziati di adesione. Procedura identica a quella svolta dai paesi appena entrati nell’UE lo scorso 1 maggio. Questi negoziati, su questo c’è uniformità di vedute, potrebbero durare alcuni anni (presumibilmente dai cinque ai dieci) prima che la Turchia possa effettivamente entrare nell’UE.

Il processo di adesione della Turchia è dotato di una vita autonoma, al di fuori dunque dalle capriole dei responsabili politici europei. Peccato, se è vero che ancora una volta, una questione importante per la costruzione europea si è fatta all’insaputa dei principali interessati: i cittadini europei. Punto di vista che condividiamo, a malincuore, con gli euroscettici. Nello stesso tempo, è anche vero che questa logica permette alla Turchia, grazie alla sua sola capacità di riformarsi per rientrare entro quei criteri oggettivi, potrà ottenere, alla fine, una risposta alla domanda che da tempo pone ad un’Europa incapace di non tentennare.

Queste riforme volte a soddisfare i criteri di Copenaghen sono a buon punto? E’ questo che dobbiamo chiarire. E’ questo quanto café babel vuol fare con questo dossier.

La Turchia non è pronta

A questi criteri, si è tentati di aggiungerne ancora un altro, più di stampo politico. L’adesione all’UE rappresenta qualcosa di più che la firma di un trattato o l’appartenenza ad un mercato unico. Perché la costruzione europea è un passo politico volontario, aderire all’UE significa manifestare per l’adesione ad un progetto politico, fondato su valori condivisi e portato avanti da una visione comune sull'avvenire.

I turchi rischiano di non esser in grado di dirci se condividono o meno questa visione. Non che siano i turchi a mostrarsi indecisi. Siamo semmai noi stessi poco sicuri del progetto politico che intendiamo offrire. Perché semmai la domanda non è se “la Turchia possa aderire all’Unione”, ma “a quale visione politica la Turchia aderirà?”.

Chi mette la Turchia al centro del dibattito elettorale ha una risposta a queste domande? No. Preferisce piuttosto equivocare su date ed argomenti.

Sbagliando, perché la Turchia non è pronta – i turchi stessi lo riconoscono – e non è in grado di aderire prima di una decina di anni. Sbagliando perché gli argomenti che utilizzano – geografici, storici, culturali e religiosi – anziché rivolgersi al futuro e a un progetto politico, dimostrano un ripiegarsi su se stessi ed una grettezza di spirito, perché rivolti solo al passato. Sbagliando perché in questa vigilia pre-elettorale, l’accento predominante che ne risulta è quello dei populisti.

Translated from Remettre la Turquie à sa place