Participate Translate Blank profile picture
Image for La paura per il "gender" corre sul filo del telefono

La paura per il "gender" corre sul filo del telefono

Published on

societàMind the Gap

(Opinione) La Regione Lombardia ha annunciato l'istituzione di un "telefono anti-gender"  per l'inizio del nuovo anno scolastico. Il prezzo della "lodevole" iniziativa? 30.000 euro per contrastare qualcosa che, tecnicamente, nemmeno esiste.

L'arte del sorprendersi non rientra più nelle corde dei commentatori politici italiani ormai da tempo, soprattutto a parlare di certe correnti politiche. Questa volta tuttavia dovranno probabilmente fare un'eccezione. La regione Lombardia, governata dall’ex leader leghista Roberto Maroni, lo scorso 31 maggio ha approvato una delibera con cui si introduce un nuovo servizio presso le scuole lombarde. Ribattezzato dagli stessi entusiasti promotori "telefono anti-gender" (ma anche sportello, o call center), questo servizio dovrebbe offrire a genitori e studenti un supporto per arginare la presunta diffusione della "teoria del gender" negli istituti scolastici. Ad aggiudicarsi il bando di assegnazione della gestione di questa attività di monitoraggio presso le scuole è stata pochi giorni fa l’Age, (Associazione genitori italiani), un ente che si propone di fare, secondo principi etici e cristiani, della famiglia un soggetto politico. La ragione che ha spinto l’introduzione di questo genere di servizio è l’ambigua applicazione che, secondo i sostenitori del provvedimento, si nasconderebbe dietro un comma della cosiddetta "legge della Buona Scuola". In questione ci sarebbero le linee guida dettate dal Ministero dell'Istruzione in tema di percorsi educativi di lotta alla "discriminazione per orientamento di genere", che secondo la Regione Lombardia e l'Age potrebbero facilmente diventare un modo per far entrare dalla finestra delle scuole la temutissima "teoria gender", che con difficoltà si è riusciti a tenere fuori dalla porta.

Essere o non essere, è questo il problema

Ma di cosa parliamo quando ci riferiamo alla "teoria gender"? Ecco, il problema sorge proprio qui: essa non esiste. O quantomeno non nel senso per cui una teoria è definita come tale. Non esiste infatti un quadro di definizioni, di tesi, di principi o di un insieme di leggi che descriva o spieghi la "realtà del gender", sia essa in termini naturali o sociali. Nel concreto la presunta "teoria gender" è infatti un qualcosa di più simile ad un'ideologia creata dai suoi stessi detrattori, i quali ne sostengono una presunta esistenza con il fine di "sovvertire" l’ordine naturale delle cose, e per cose intendiamo il concetto classico di famiglia e le differenze biologiche tra uomo e donna. Un piano ordito da una non meglio specificata lobby lgbt, in altre parole. Un errore (o orrore, a voi la scelta del termine più adatto) tanto intellettuale quanto interpretativo di una serie di studi scientifici che in realtà parlano di ben altro. Quello che nei fatti esiste sono i gender studies (studi di genere), che da ormai 60 anni si occupano di analizzare come le identità femminili e maschili all'interno del contesto sociale siano state costruite nel tempo dalla cultura stessa delle società. In parole povere, si studia come nell’immaginario collettivo il concetto di emotività, cucina e cura dei figli sia legato sin dalla notte dei tempi alla figura femminile , mentre l'uomo sia quello rude, dedito alla caccia e al mantenimento della famiglia. Gli studi di genere hanno individuato due sfere della soggettività: quella del sesso (dato fisico e biologico incontrovertibile) e quella del genere (come ci si percepisce, ma inteso anche come ruolo che viene attribuito all'individuo dalla società). La distinzione tra sesso anatomico e ruolo di genere ha successivamente aperto tutta una serie di riflessioni sulla possibilità che i due possano anche non coincidere. Ed appare come una ovvia conseguenza il fatto che le numerose ricerche in questo campo abbiano portato ad una rivalutazione degli strumenti educativi volti alla lotta di fenomeni quali sessismo, omofobia e pregiudizi, come gli stereotipi di genere. Non sembra certo una battaglia alle differenze biologiche tra uomo e donna, nè tantomeno un complotto contro la famiglia classica.

È negli anni '90 che si ritrovano i primi testi in cui si fa riferimento a questa fantomatica "teoria gender". Ma è solo negli ultimi tre anni, soprattutto in Francia e Italia, che i movimenti ProVita in difesa della famiglia e i conservatori in generale ne hanno fatto il proprio cavallo di battaglia, ampliando il discorso anche all’aspetto educativo che in questi paesi è stato sviluppato. Ed ecco come progetti di educazione alla diversità, pensati per arginare alcuni fenomeni dilaganti come sessismo e omofobia, vengono trasformati in subdoli tentativi di indottrinamento di giovani menti da parte di misteriosi quanto inesistenti sostenitori di una misteriosa quanto inesistente "teoria".

Le vie del Signore sono infinite

Sull’argomento c’è quindi molta confusione, che non ha risparmiato nemmeno le alte gerarchie ecclesiastiche: lo stesso papa Francesco circa un anno fa parlò di "teoria del gender" in una sua udienza generale in Piazza San Pietro. Confusione che diventa facilmente strumentalizzazione politica su un tema delicato come quello della riforma del sistema scolastico, che ha portato ad iniziative come quella della Regione Lombardia (una grande polemica analoga sull’educazione alla diversità nelle scuole ebbe come scenario un asilo di Trieste nel 2013). Sul tema si è espressa anche l’AIP (Associazione Italiana Psicologi), che ha ribadito il fatto che non esiste una "teoria gender" e che l’educazione scolastica giochi un ruolo fondamentale nella lotta a tutte le forme di discriminazione per sesso o orientamento sessuale. Ed è proprio in quest’ottica che va letto il comma incriminato, che non ha fatto altro che recepire nel sistema legislativo italiano le indicazioni offerte da rapporti dell’Unesco e dell’Unicef.

E così, nello stesso giorno della firma del decreto attuativo sulle unioni civili da parte del governo, la Regione Lombardia annuncia lo stanziamento di 30.000 euro per lo sportello anti gender. Con buona pace di chi ha provato a spiegare loro che stanno combattendo qualcosa che non esiste. Il servizio sarà operativo in fase sperimentale per 12 mesi. Attendiamo quindi con ansia i risultati di questo duro lavoro. Così come si attende ormai da anni un discorso serio fondato su un dialogo tra le parti, in cui non sia necessario ricorrere a slogan e complotti per cristallizzare una situazione che non accontenta nessuno. E soprattutto che non strumentalizzi iniziative che mirano a porre rimedio a fenomeni negativi e dilaganti che la cronaca, nazionale e internazionale, si ritrova quotidianamente a raccontare. Sessismo, omofobia, razzismo non sono altro che sinonimi di paura del diverso. La terribile sensazione è che dietro gli appelli alla difesa della famiglia tradizionale si nasconda invece una sorta di tacita accettazione dello status quo. Ma questa è una sensazione, non una teoria.