La nuova Europa ha bisogno di nuovi media
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marco valerio lo preteEsistono i media europei? Qual è il loro futuro? Inchiesta.
“La produzione odierna di giornalismo prettamente europeo resta secondaria”. Questo, secondo Alain Chanel, direttore della scuola di giornalismo all’Università Robert Schuman di Strasburgo. Ma immaginate come potrebbe essere un media veramente europeo: le sue pagine di arte e cultura potrebbero trattare dell’ultima opera parigina, o delle gallerie più trendy di Varsavia; sarebbe un po’ come Le Monde o El País ma non tratterebbe di Francia o Spagna, bensì d’Europa. Certo è una proposta che suona come una sfida, ma una sfida che dovrebbe essere raccolta.
Il giornalismo europeo esiste
Non può dirsi però che il Vecchio Continente non si dia da fare. In Francia, a Strasburgo, il network televisivo locale France 3, ha un team che si occupa esclusivamente di Europa. Le Monde ha rinfoltito i suoi uffici con sei reporters. La rete via cavo EuroNews trasmette programmi in sette lingue e, sebbene l’esperienza non sia redditizia, in certi settori batte regolarmente mostri sacri come BBC World e CNN. Quanto ad ARTE, il canale franco-tedesco per eccellenza, è anch’esso un network europeo. In programmi settimanali come “Forum degli Europei” discute di argomenti e tendenze che in Europa interessano 360 milioni di persone. “Questi due canali”, spiega Marco Schütz, web-editor del settimanale francese Courrier International [l’equivalente di Internazionale in Italia] “dimostrano quantomeno una volontà di andare oltre le considerazioni nazionali”.
Ma è la stampa economica che, precedendo i media generalisti, è stata la prima a capire come occuparsi dell’integrazione finanziaria (e culturale) dell’Europa. Oggi il Financial Times si occupa regolarmente, nelle due prime pagine, di questioni riguardanti l’Europa. “Riforme a rischio nei nuovi stati dell’Unione”, “Meno chiacchiere e più fatti sulla competitività europea” sono solo alcuni esempi di titoli recenti. Quanto allo statunitense Wall Street Journal Europe, pur con sede a Bruxelles, deve accontentarsi della seconda posizione rispetto al Financial Times. Le sue pagine sono alimentate dai contenuti del Washington Post e dalle agenzie del Dow Jones. Sono solo alcuni servizi recenti, uno sulla crisi della Parmalat ed sui rapporti sempre più tesi tra il comune di Roma e la crescente comunità cinese, hanno portato una ventata d’aria fresca in una pubblicazione complessivamente fredda ed euroscettica.
Vecchie abitudini e nuove tradizioni
Ma, al di là di questa panoramica, secondo Georges Gros, ex giornalista e attuale Segretario Generale dell’Unione Internazionale della Stampa Francofona a Parigi, “l’Europa soffre di un drammatico deficit di informazione”. Secondo Gross anche le ultime esperienze sono destinate ad un pubblico nazionale. Gli articoli si occupano prima di tutto di quale impatto l’Europa possa avere sul loro paese. Il che incoraggia un tono aggressivo che si concentra su temi ridondanti quali “battaglia per il deficit francese”, “agricoltori infuriati”e “sussidi che diminuiscono”. E’ questa molto spesso la cronaca, malgrado il formidabile sviluppo culturale e politico rappresentato dall’Unione Europea.
I media potrebbero aiutare a promuovere una coscienza europea. Per far ciò - argomenta Alain Chanel – “bisognerebbe attenersi alla vecchia regola giornalistica della prossimità”, dell’aderenza alla vita della gente. Quando il “Forum degli Europei” di ARTE dedica un intero programma alla vita dei single in Europa, fa la cronaca di una realtà condivisa, mettendo in luce sia le differenze che le somiglianze di differenti regioni e culture del Vecchio Continente. Anche questa è prossimità.
Quo vadis, Europa mediatica?
Ma, al di là di irresistibili storie e di intelligenti linee editoriali, la lingua resta il principale ostacolo per ogni tentativo di media a dimensione europea. Quale lingua – o lingue – dovrebbe usare un media europeo? L’inglese? O dovrebbe forse includere francese, spagnolo, tedesco e italiano? Potrebbe forse abbracciare e includere tutte le lingue dei 25 paesi dell’Unione Europea? “Se è di media europei che si parla, non si può prescindere dal multilinguismo” fa notare Marco Schutz. Che insiste: “è grazie al multilinguismo che network come ARTE ed Euronews hanno creato un’identità europea”. E aggiunge: “usando una sola lingua ci si autolimita ad un pubblico specifico”.
Con l’aspetto linguistico divenuto indispendabile, il media usato è la chiave di volta. La strada classica, un quotidiano, sarebbe possibile solo se fosse limitato ad una od al massimo due lingue. Una sola lingua allontanerebbe i lettori. “Internet e la televisione sono strade ovvie” secondo Chanel. Con spazi illimitati, la Rete potrebbe risolvere dare spazio a tutti: greco, spagnolo, ungherese e così via. Con le sue cinque edizioni in differenti lingue, cafè babel lo ha capito. In America riviste internet come Slate, che combina commenti scritti ed edizioni radiofoniche, offre un ventaglio di possibilità che potrebbero essere utilizzate altrettanto bene per la realtà europea.
Ma la vera sfida per i media su internet è la credibilità. Ancora oggi la Rete è alla ricerca, troppo lenta, del riconoscimento come mezzo comodo ed autorevole. Proprio come l’Europa, Internet è una novità. Quello che manca dal lato della affidabilità dovrà essere compensato seguendo le regole del giornalismo e tramite una ricerca costante di nuovi argomenti e, soprattutto, di nuove idee.
Translated from New Media For New (And Old) Europe