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La morale francese e il «no» irlandese

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Default profile picture Laura Bortoluzzi

Il voto irlandese rattrista più di un sostenitore del progetto europeista, a cominciare dai francesi che si apprestano ad iniziare il loro turno di Presidenza europea. Ma dopo il «no» al referendum del 2005, possono criticare tanto? L’opinione di un francese.

«Sono più che sorpreso, sono sconvolto», commenta Jean-Pierre Jouyet, Ministro francese agli affari europei, all’annuncio del risultato del referendum irlandese. Il 53,4% degli irlandesi si è espresso per il «No», opponendosi così alla ratifica del Trattato di Lisbona, firmato nel 2007 dopo dodici anni di negoziati e tre stesure (il Trattato di Amsterdam del 1997, quello di Nizza del 2000 e il Trattato costituzionale del 2004).

All’indignazione dei promotori dell’integrazione europea, si somma la volontà di comprendere il motivo di questo voto: è colpa dell’influenza dei mass media e nello specifico del magnate Rupert Murdoch? Oppure della “lobby del no” dell’enigmatico “Mister no”, Declan Ganley (imprenditore irlandese, che ritiene la ratifica antidemocratica, ndr)? Si deve a una mancata comprensione del testo del Trattato e al disinteresse degli elettori? Possiamo interrogarci quanto vogliamo, ma dobbiamo rispettare il voto degli irlandesi: se la Francia dà libero sfogo alla propria propensione a salire in cattedra potrebbe toccare tasti dolenti.

Gli irlandesi sputano nel piatto dove hanno mangiato?

Bernard Kouchner sa che non non può permettersi di fare lo spiritoso: «Le prime vittime di un eventuale “no”, al quale non voglio credere, sarebbero proprio gli irlandesi», commentava Bernard Kouchner, Ministro degli Esteri, lo scorso 9 giugno. «Sarebbe quanto meno molto fastidioso, ad essere onesti, pensare di non poter contare sugli irlandesi, che hanno largamente beneficiato dei soldi di Bruxelles».

L’argomentazione, in fondo, è incontestabile: il tasso di disoccupazione più basso d’Europa, una crescita economica e un Pil ottimali, cosa volere di più? Eppure, e forse in virtù della loro storia, gli irlandesi non sopportano che si dica loro cosa fare. Inoltre le belle prediche francesi sono state ampiamente riprese e strumentalizzate dai detrattori del Trattato di Lisbona avendo, alla fine, l’effetto contrario.

Anche gli stessi sostenitori del «si» hanno criticato l’atteggiamento di Parigi: «Queste affermazioni sono fuori luogo, gli elettori irlandesi sono capaci di fare da soli la loro scelta», replicava indignato il leader cristiano-democratico Enda Kenny, del Fine Gael.

La Presidenza europea alle porte

Ma che fare? Spontaneamente gli irlandesi vengono percepiti come coloro che sputano nel piatto in cui mangiano. Ma ciò non toglie che, dopo l’exploit francese del 2005, quando il Trattato costituzionale è stato rifiutato, la Francia non può criticare troppo.

Silvie Foulard, presidente del Movimento europeo di Francia: «Il “no” irlandese non è meno scandaloso del “no” degli agricoltori francesi». I francesi si beffano dell’autodeterminazione irlandese? Potrebbe ritorcersi loro contro. Bernard Kouchner aveva commentato prima del risultato del referendum irlandese: «I francesi non devono fare tanto gli spiritosi».

La morale di questa storia è che la Presidenza francese dell’Unione Europea, che inizierà fra due settimane, è già messa a dura prova dal «no» irlandese. I politici francesi si dimostrano ottimisti: «L’Europa non è né in crisi, né bloccata», rassicura Jean-Pierre Jouyet, mentre Bernard Kouchner raccomanda pazienza e aspetta di vedere la reazione dei nuovi Stati membri che devono ancora ratificare il Trattato, in particolare la Repubblica Ceca, il cui Presidente si è già dichiarato contrario. Manca solo che il Presidente Sarkozy, che voleva essere il campione del Trattato semplificato, sia costretto a ridefinire la sua concezione della Presidenza europea e a ripensare la relazione fra l’Unione e le preoccupazioni dei suoi cittadini.

Translated from Une french leçon qui irrite