La madrina della Repubblica digitale è francese e sogna un'Europa trasparente
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Axelle Lemaire non parla in politichese e sogna una società europea trasparente, dove tutti abbiano diritto ad accedere liberamente al sapere e all'amminitrazione pubblica. L'ex sottosegreria del governo Valls ci spiega il suo punto di vista sulla neutralità della rete in Europa.
Tra i tavoli del caffè Bräunerhof di Vienna, con i suoi giornali internazionali e la sua eleganza essenziale, non ci sono le formalità rituali della politica, i tailleur, ma soprattutto quella che in francesi chiamano langue de bois, il politichese. Outsider della politica, binazionale, europeista e paladina della neutralità della rete, Axelle Lemaire, fino allo scorso febbraio e per tre anni sottosegretario di stato con delega alle politiche del digitale della "Republique" dei governi socialisti, a 43 anni è entrata e uscita dall’Eliseo di Hollande in punta di piedi. Ma ha lasciato già un’eredità moderna: la “loi pour une Republique Numerique”, la legge per una Republica digitale, un atto che ha da poco compiuto un anno e che contiene tutte le disposizioni per la modernizzazione e la digitalizzazione della pubblica amministrazione. E la costruzione di una società digitale aperta, affidabile e protettrice dei diritti e i dati personali dei cittadini nello spazio virtuale.
Ma chi è questa franco-canadese che ha vissuto 12 anni a Londra e che si batte da anni per la libertà della rete? La incontriamo nella più europea e neutrale delle atmosfere, un caffè viennese, habitat naturale della circolazione delle idee. Fino a pochi minuti prima ha partecipato anche lei a due ore di scambi culturali e di opinioni nel vicino caffè Griensteidl. Siamo nella centralissima Michaelerplatz. Qui, dove nel 1848 si incontravano i rivoluzionari e poi poeti e artisti, un’ottantina di amministratori locali e attivisti di 14 paesi europei, si sono dati appuntamento per l’Innovation in Politics Awards, un premio alle migliori pratiche politiche che risolvano i problemi dei cittadini e li riavvicinino alla cosa pubblicca. Tra viennesi, schnitzel e un’atmosfera più che formale, gli innovatori della politica si sono confrontati sulle loro idee dal basso per risolvere il periodo più burrascoso nel matrimonio tra arte del governo e i cittadini.
E non poteva mancare appunto Axelle Lemaire, con la sue idee sul digitale, la cui bozza di legge, poi approvata dal Parlamento francese, è stata scritta a 42mila mani. Cioè con i commenti di 21.330 cittadini che hanno portato a una novantina di emendamenti poi discussi nell’Assemblée National.
Sognando una società aperta, trasparente e digitale
“L’idea è venuta dall’osservazione di una persona che viveva all’estero – esordisce Axelle Lemaire, che ha vissuto metà dei suoi 43 anni lontana dalla Francia, i primi 16 in Canada e altri 15 a Londra – mi considero un’outsider della politica, avevo già vissuto fuori per tantissimi anni prima di entrare in politica nel 2002 e quando sono entrata nel governo nel 2014, ero nuova a Parigi e per questo mi sono potuta posizionare con sincerità tra le attese dei cittadini e il modo in cui le istituzioni rispondono ai loro problemi”. Già, perché cos’è la legge sulla Republique Numerique se non un cambio di prospettiva culturale in un paese geloso della sua burocratizzazione di ogni aspetto della società?
“Abbiamo avuto tante battaglie politiche per questa legge, ma non con i parlamentari, bensì con gli amministratori, che in primo luogo ne rifiutavano il titolo- dice ancora Lemaire – secondo me invece avevamo bisogno di iniettare delle parole che avessero un senso per la gente comune”. Non è un caso che, secondo la sua madrina, la legge che scrive regole della digitalizzazione dell’amministrazione e della cittadinanza è ispirata dai sacri principi della Francia e “aggiorna il software della Repubblica per le nuove sfide del futuro”.
“'Libertà' – spiega Lemaire - significa apertura della rete, open data, accesso alla scienza, agli strumenti della rete, al sapere; 'Uguaglianza' è quella tra gli attori economici e per i suoi utenti, che devono vedere tutelati e protetti i propri dati e propri diritti in rete. E la 'Solidarietà' risiede nel fatto che i benefici della rete siano diffusi a tutti i livelli, per tutti, in tutte le nazioni”.
Axelle Lemaire ha cominciato ad applicare le idee della fluidità e libertà della rete anche alla politica: "Quando ero in politica pensavo all’Europa come se stessi pensando alle questioni nazionali. Era come se sdoppiassi il mio pensiero. Se pensavo alle strategie per raggiungere un obiettivo, a quale livello dovessi confrontarmi, con i membri della Commissione, con i miei connazionali o con la mia controparte. Ma mi sono accorta che la gran parte dei miei colleghi non ragiona in questo modo. È troppo facile essere critici nei confronti dei tecnocrati se poi li lasci soli", dice con franchezza l'ex sottosegretario, che non ha problemi a trovare una definizione senza giri di parole: "Per me l’Europa è andare all’estero e sentirmi a casa. Una sensazione che non mi capita in nessun altro posto al mondo".
"L'Europa ha perso il treno di internet"
Ci portano il tè e dal centro della sala del caffè si sente il brusìo uniforme di un mercoledì pomeriggio viennese, mentre la nostra conversazione assume toni sempre più lontani dal politichese. “A un anno dalla legge – rivendica l'ex sottosegretario - ci sono già alcuni buoni risultati. Ad esempio gli open data hanno cambiato la cultura dell’amministrazione, che adesso ha l’obbligo di pubblicare tutti i dati in modo che siano leggibili e riutilizzabili. E' la fine della segretezza e l’inizio della trasparenza”. Un risultato a cui si aggiungono i dati di interesse generale, pubblici ma prodotti da privati che se condivisi possono avere un impatto positivo sulla società. “Prendiamo ad esempio i dati prodotti da una compagnia come Uber, se li consideriamo di interesse generale possono essere di aiuto riguardo ai temi come la mobilità e la rigenerazione urbana, il trasporto intelligente e condivise- dice Lemaire, con occhi che brillano, prima di tornare con i piedi per terra- Una legge approvata non è la fine della storia, la Francia ha forte tradizione burocratica, nel senso di una propensione a regolare ogni singolo dettaglio della società e quindi, come diciamo in francese il diavolo si nasconde nel dettaglio, (poi lo dice anche in inglese ndr), adesso la battaglia politica si trova nei decreti di applicazione, abbiamo bisogno di trasparenza, ampie consultazioni, coinvolgimento politico".
Fosse così solo la Francia… E il Vecchio Continente? “L’Europa ha perso il treno di internet – dice Lemaire, che pure nel 2013 aveva presentato un rapporto sulla strategia digitale dell’Unione – mentre i Gafas (acronimo francese che indica Google, Apple, Facebook et Amazon ndr) crescevano noi abbiamo pensato solo ad allargare i confini e al mercato comune, ma abbiamo dimenticato che le risorse chiave per i paesi innovativi sono le informazioni e adesso i data. Abbiamo perso la prima fase, non è la fine della storia”.
"Le persone devono avere uguale accesso a internet"
E i tempi sono maturi per la formula magica alla quale giriamo intorno da alcuni minuti: la neutralità della rete. Principio secondo il quale tutto il traffico su internet deve essere trattato allo stesso modo, senza tariffe, trattamenti e corsie preferenziali. “La privacy non può essere un deterrente contro l’innovazione – dice Lemaire - ma una risorsa grazie tacnologia che la difende, la 'privacy tech', o la 'security tech', per questo l’Europa si può affermare come un Continente dove i dati personali sono salvi e ai cittadini viene domandato cosa vogliono farne”. Un modello che, secondo Lemaire, è diverso da quello americano e cinese. E una competizione culturale che l’Europa può vincere.
“Quando sono arrivata al governo – dice ancora – la neutralità della rete era stata bloccata per tanti anni sotto la pressione delle compagnie di telecomunicazione. Io sono orgogliosa di aver fatto parte di un governo che ha affermato questo principio a livello europeo, cioè il fatto che le persone debbano avere un accesso uguale a internet, che questo diritto non dipenda da quanto costa il loro abbonamento. Negli Usa Obama lo ha supportato, Trump lo sta distruggendo”. Una battaglia che va di pari passo con quella contro alcune politiche aziendali di Google. Lo scorso giugno Axelle Lemaire aveva salutato senza peli sulla lingua come “storica” la decisione della Commissione Europea, dopo le indagini della Commissaria danese Margrethe Vestager, di sanzionare Big G per abuso di posizione nello shopping online, con una multa record di oltre 2 miliardi e 400 milioni di euro. “Quello che trovo furbo nel business model di Google è il fatto che usino dati personali – dice Lemaire - i servizi che utilizziamo come consumatori sono gratuiti, perché i dati personali che produciamo sono utilizzati dalle agenzie pubblicitarie legate a Google. Dovremmo trovare dei modi affinché le persone possano decidere su come Google organizza l’advertisement". Un esempio, secondo Lemaire, è Google Shopping. Anche se per l'ex sottosegretario il potere di compagnie come Google risiede nel fatto che offre una grande diversità di servizi: la ricerca, la pubblicità, lo shopping, la mappa, cloud service, intelligenza artificiale. "Quando la gente e le compagnie entrano in questo ecosistema sono inevitabilmente attratte e quindi questo si traduce in una sorta di monopolio”.
Ma per nell’era delle grandi trasformazioni tecnologiche per Axelle Lemaire, internet è anche un’opportunità di lavoro. “È vero, viviamo in un’epoca in cui l’intelligenza artificiale sta rimpiazzando alcuni lavori, come ho potuto vedere di recente in Cina – dice franco-canadese, che anche nel caffè viennese ha la valigia sempre in mano – In Francia, oltre al movimento della La French Tech, abbiamo creato la Grande Ecole du Numerique. "Un’occasione per i giovani disoccupati, o quelli senza diploma, che hanno meno probabilità di trovare un lavoro per imparare nuovi professioni come il web designer, o lo sviluppatore", dice Lemaire. "Uno dei modi per rispondere al problema della sparizione di alcuni mestieri - aggiunge - è il fatto che le persone possano avere accesso all’educazione e all’insegnamento per tutta la vita”. E per lei non è ancora il caso della Francia. “Quando arrivi a Parigi non ti chiedono come ti chiami, ma che diploma hai, a Londra, invece, quanto guadagni. Non so cosa sia meglio... (ride ndr) Tutto sta cambiando così velocemente che le persone hanno bisogno di adattarsi continuamente. Ciò significa che il sistema educativo deve essere in grado di formare regolarmente le persone di adattarsi alle nuove abilità domandate dal mercato. È questa la grande sfida del sistema educativo”.
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