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La legge è uguale per (quasi) tutti, storie di omicidi in divisa. Il caso di Oury Jalloh

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Ci spostiamo in Germania, dopo avervi raccontato casi provenienti da Italia, Francia, Spagna ed Inghilterra. Ancora le solite storie, ancora film già visti ma con attori diversi. Quasi sempre anche il finale è lo stesso, a prescindere da quale sia il Paese in cui si verificano tali misfatti.

Parte X, continua...

Cambiamo Paese e passiamo a quello che al momento rappresenta la prima potenza del contesto europeo. “Modello tedesco” e “esempio della Germania” sono parole d'ordine agitate molto spesso in questi tempi da molti personaggi di spicco, indicando proprio nello stato governato da Angela Merkel l'esempio da seguire e da cui prendere spunto per migliorare la precaria situazione in cui si trova a galleggiare il Vecchio Continente. In molti, infatti, vedono nella Germania un grande esempio di Stato moderno, all'avanguardia nel welfare, nell'economia e nei diritti: una democrazia che funziona, insomma. Per molti aspetti tutto ciò può essere vero, ma quando si entra più nello specifico si scoprono comunque aspetti che hanno ben poco di giusto. Anche qua, infatti, gli omicidi legalizzati da parte dei funzionari di Stato sembrano godere di un'impunità pressochè totale, tanto da permettere anche ad alcuni agenti di polizia di rendersi protagonisti addirittura di più di un caso “sospetto” senza per questo venire condannato. Quasi sempre le vittime sono stranieri, senzatetto o comunque individui deboli e relegati ai margini della società, evidentemente proprio perchè con questi risulta assai più facile farla franca...

Il caso di Oury Jalloh

Oury Jalloh è un cittadino originario della Sierra Leone nato nel 1968 che giunge in Germania nei primi anni del nuovo millennio, sfuggendo dalla guerra civile in corso nel suo Paese per chiedere asilo politico. Nonostante questo gli venga rifiutato, Oury continua a vivere a Dessau e si guadagna da vivere attraverso lo spaccio di droga viste le pessime condizioni economiche in cui si trova.

L'arresto ed il carcere

La sera del 6 gennaio 2005 il 35enne si trova davanti ad un locale in evidente stato di ubriachezza e chiede ripetutamente a quattro signore di poter fare una telefonata. Queste si indispettiscono e per questo chiamano la polizia che, appena arrivata sul posto, chiede al ragazzo di fornire le proprie generalità per l'identificazione. Oury si rifiuta alzando la voce e per questo gli agenti decidono di portarlo alla stazione di polizia dove scoprono che il tasso di alcool presente nel sangue di Jalloh è pari a circa il tre percento, ma anziché portarlo in ospedale viene stabilito che debba essere tenuto in cella. Così, dopo essere stato perquisito, egli viene condotto nel seminterrato e lasciato dietro le sbarre, sdraiato su un letto con le mani ed i piedi legati su entrambi i lati del materasso in modo che rimanesse immobile. “Era per evitare che potesse farsi del male”, fu detto in seguito da uno dei poliziotti. Tuttavia, contravvenendo alle norme da seguire in questi casi, il ragazzo viene lasciato solo, con un agente che ogni mezz'ora passa dalla cella a controllare la situazione. L'ufficiale di turno rimane al piano di sopra, avendo nel suo ufficio un sistema di controllo audio collegato direttamente alle celle, ma dovendo fare una telefonata decide di togliere il volume al microfono installato nella stanza di Oury dal momento che i tanti rumori lo stavano disturbavano.

La morte e la versione ufficiale

Qualche minuto dopo scatta l'allarme antincendio, segnale a cui però gli agenti non prestano attenzione in quanto nel corso degli anni molte volte avrebbe suonato senza motivo (elemento poi smentito da successive verifiche). L'allarme si disattiva in breve tempo, ma dopo un paio di minuti scatta di nuovo. Questa volta l'agente non può ignorarlo e un gruppo di vigili del fuoco sopraggiunge alla centrale, ma ormai è troppo tardi: nella cella di Oury le fiamme sono salite alte ed il suo corpo giace carbonizzato sul materasso, anch'esso bruciato, con mani e piedi ancora legati. C'è qualcosa di strano in tutta questa vicenda, anzi più di una cosa. La versione ufficiale fornita dalla polizia racconta di un Jalloh che sarebbe riuscito a sottrarre alla perquisizione un accendino, dato che non risulta tra gli oggetti sequestrati, e che con esso avrebbe dato fuoco al proprio materasso facendo nascere l'incendio che ne ha procurato la morte. Il tutto considerando che aveva entrambi gli arti legati e che il materasso era ignifugo. Sì perchè un paio di giorni dopo la morte è saltato fuori che Oury avesse un accendino, che sarebbe stato ritrovato mezzo liquefatto sul cadavere, senza però che vi fossero riscontrabili residui di stoffa dei vestiti indossati dal ragazzo. Oltretutto, il ragazzo sarebbe riuscito a nascondere l'accendino dietro la schiena, dopo aver appiccato le fiamme, sempre avendo le mani legte. La stranezza ulteriore viene dal fatto che questo accendino, però, non risulta tra gli oggetti rinvenuti sulla scena del crimine. Fin da subito la storia ha cominciato a scricchiolare, anche perchè fu rilevato che nella stanza erano presenti tracce di liquido combustibile, come suggerito dal tipo di ustioni presenti nella cella, che avevano aiutato l'incendio a svilupparsi. Tra l'altro non era nemmeno la prima volta che in quella stessa stazione di polizia, sotto la direzione dello stesso ufficiale responsabile, accadevano episodi di detenuti morti in circostanze misteriose. Nel 1997 un altro uomo era stato portato alla stazione di Dessau e venne ritrovato morto su un marciapiede poco distante il giorno seguente, mentre nel 2002 un senzatetto venne condotto in cella e fu rinvenuto senza vita l'indomani.

Per approfondire puoi guardare questo video!

Le indagini

Ne naque un'indagine in cui finirono sotto accusa i due ufficiali presenti la notte del 6 gennaio alla stazione di Dessau. Emerse pure da un'autopsia, solamente da quella indipendente pagata dai familiari ma non da quella effettuata dalla polizia, che sul corpo di Jalloh che il ragazzo aveva subito la rottura del naso e dei timpani prima di morire. Inoltre secondo la versione ufficiale Oury sarebbe morto durante l'incendio per shock termico. Eppure nelle urine del ragazzo non sono state rinvenuti ormoni che sarebbero state rilasciati in una situazione di panico (noradrenalina), quindi si presume che egli fosse incosciente nel momento in cui il suo corpo ha preso fuoco.

La sentenza

Nel 2007, però, è giunto il verdetto finale che assolve da tutte le accuse uno dei due ufficiali e condanna per omicidio colposo l'altro, Andreas S., obbligandolo a pagare un'ammenda di 10.800 euro. Non un giorno di carcere. E la motivazione è per non aver prestato attenzione al primo allarme antincendio e di aver permesso che, realmente, Oury potesse dar fuoco al materasso ignifugo con un accendino pur avendo gli arti immobilizzati. Ossia dando per vera la versione ufficiale fornita dalla polizia. Tanto per cambiare, un po' di impunità agli omicidi in divisa.