La legge è uguale per (quasi) tutti, storie di omicidi in divisa. Il caso di Nagem Hatab
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Oggi parliamo di un caso particolare di omicidi commessi da uomini in divisa. Riguarda sempre gli Stati Uniti ma il contesto è un po' particolare: siamo in Iraq, durante la guerra contro Saddam Hussein. La vittima: un iracheno e le divise in questione quelle dell'esercito americano. L'impunità è per tutte le divise, anche quelle dell'esercito, specie se U.S. Army.
Parte XIV, continua...
Il nome di Nagem Hatab è assai particolare, poiché si lega indissolubilmente a fatti che hanno catalizzato l'attenzione del mondo intero, ossia la guerra all'Iraq di Saddam Hussein iniziata nel 2003 da una coalizione internazionale con a capo le forze militari statunitensi.
I fatti
Nagem, infatti, era un cittadino iracheno di 52 anni che fu arrestato in un bazaar mentre stava cercando di vendere un fucile M16 in dotazione all'esercito americano. Il numero di serie presente sull'arma ha rivelato che essa apparteneva ad un membro dell'esercito privato a cui apparteneva la soldatessa Jessica Lynch, ferita e catturata il 23 marzo 2003 da alcune forze d'assalto irachene e poi liberata quasi dieci giorni dopo. A causa di ciò, il corpo dei Marines ritenne come plausibile un coinvolgimento attivo di Hatab nel sequestro della soldatessa, considerando anche che egli era un membro del partito Ba'ath di cui Saddam Hussein era il capo. Questo fu il motivo per cui Nagem venne arrestato e posto sotto la custodia delle autorità militari a stelle e strisce al centro di detenzione Camp Whitehorse. Vi rimase però solo pochi giorni, dal momento che dopo essere stato interrogato da un agente dell'intelligence militare, fu lasciato morire di fame.
Le torture e la morte
Nei giorni prima della sua morte Hatab era stato visto in precarie condizioni di salute, avendo molte difficoltà a reggersi in piedi sulle proprie stesse gambe: egli era caduto su una balla di filo spinato rialzandosi vistosamente stordito ed aveva perso completamente il controllo dei suoi organi intestinali, con i suoi vestiti che erano interamente coperti di escrementi. Il medico della prigione constatò anche che Nagem aveva avuto un leggero attacco di cuore, ma concluse che egli potesse anche aver finto il malore sperando di poter uscire dal carcere. Nonostante tutto questo, quindi, nessuna assistenza medica fu fornita al prigioniero, al contrario le sue razioni di cibo vennero limitate in maniera insufficiente. Ma non solo. Il Maggiore Clarke Paulus ordinò al Caporale Christian Hernandez di condurlo fuori dalla prigione in cui era detenuto per lavarlo. L'ufficiale fece spogliare Nagem, dette fuoco ai suoi vestiti e lo lasciò fuori legato ad un palo, in modo da impedire che sporcasse i vestiti degli altri prigionieri. Venne così lasciato lì nel deserto, nudo ed inerte, sotto il sole cocente ed in condizioni già allarmanti. A mezzanotte i soldati si accorsero che il suo corpo giaceva senza vita. L'autopsia condotta sul corpo di Hatab concluse che egli fosse morto a causa della frattura dello ioide, un piccolo osso situato vicino alla laringe, che ne aveva causato l'asfissia. Inoltre furono rilevati la rottura di sei costole ed un trauma contusivo al dorso delle sue gambe. Questo referto fece inevitabilmente ricadere i sospetti sul Caporale Hernandez, visto che il Maggiore Paulus gli ordinò di trascinare il corpo di Nagem per il collo. Fu aperta un'inchiesta per la morte del prigioniero iracheno che coinvolse nove marines, sia a causa della morte sia a causa delle violenze che questi avrebbero perpetrato contro Nagem, ma solo due finirono sotto corte marziale, il Sergente Pittman ed il Maggiore Clarke Paulus. Il Caporale Hernandez, infatti, potè godere della protezione del Generale James Mattis che fece cadere ogni accusa presentata nei suoi confronti.
Il processo
Quando fu aperto il processo arrivarono alcune testimonianze da parte di alcuni militari che avevano prestato servizio a Camp Whitehorse. L'allora Caporale William Roy, che fu poi retrocesso di grado, affermò che il Sergente Pittman aveva ripetutamente preso a calci sul petto Nagem Hatab. Un altro affermò che il Maggiore Paulus sembrava nutrire un particolare disprezzo nei confronti del prigioniero, tanto da non preoccuparsi minimamente delle sue condizioni di salute che erano visibilmente problematiche. “Non gli importava, semplicemente non gli importava”, ha testimoniato il Maggiore Leon Francis. “Per lui, quell'uomo stava ricevendo ciò che si meritava”, ha concluso l'ufficiale nella sua deposizione. Nel frattempo i campioni di fluidi corporei di Nagem, che erano stati conservati in contenitori di ghiaccio affinchè mantenessero intatti i loro valori, scomparvero in un misterioso “incidente”: essi dovevano essere inviati in Germania per essere analizzati, ma furono lasciati esposti al sole per diverse ore sulla pista della base aerea di Tallil finchè non esplosero.
Il verdetto
Alla fine del 2004 per entrambi arrivò il verdetto, che stabiliva una condanna per inosservanza dei doveri ed abuso e maltrattamenti sui prigionieri ma un'assoluzione totale dall'accusa di omicidio colposo. In conseguenza di ciò il Maggiore Paulus è stato allontanato dal servizio ed il Sergente Pittman è stato retrocesso di grado, vedendosi commissionati sessanta giorni di lavori forzati. Qualora entrambi fossero stati condannati per omicidio colposo, ossia qualora fosse stata riconosciuta una loro diretta responsabilità nella morte di Nagem, avrebbero dovuto affrontare il congedo con disonore ed almeno due anni di carcere. Tuttavia tutto questo non è avvenuto, com'era facile aspettarsi. In sostanza viene riconosciuta la colpa di aver maltrattato e i prigionieri di Camp Whitehorse, tra cui in particolare Nagem Hatab, tuttavia non viene sancita la loro colpa nel decesso di quest'ultimo poiché non vi era la completa certezza che la loro azione ne avesse determinato la morte. Un po' come se un piromane, dopo aver causato il disboscamento di un'intera foresta con il fuoco, non venisse condannato perchè potrebbe sempre sostenere che la colpa sia da attribuirsi al terreno secco, alla temperatura oppure alla mancanza di pioggia in quel giorno. Nessuno esiterebbe a considerare ridicola una tale difesa, eppure a quanto pare con una divisa sul petto tutto è possibile.