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La legge è uguale per (quasi) tutti, storie di omicidi in divisa: Abdelhakim Ajimi

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Firenze

Siamo ancora in Francia per raccontare un'altra storia avvenuta qui e che ha portato un uomo a morire per mano delle forze di polizia transalpine senza alcun motivo. Una storia senza senso, come sempre, una storia che però una volta tanto si è conclusa in maniera migliore del solito. Una storia che permette di avere una flebile fiammella di speranza e fiducia nella giustizia.

Parte V, continua...

Un altro caso che appare analogo a molti altri “incidenti” simili a quelli descritti negli altri articoli è quello che ha portato alla morte Abdelhakim Ajimi. Il 9 maggio 2008 il 22enne Hakim, come veniva chiamato, si reca ad una filiale della Crèdite Agricole di Grasse per prelevare del denaro dal proprio conto ma l'operazione gli viene negata e ne segue un alterco con il personale della banca, da cui poi se ne esce per tornare a casa. Il direttore avverte le autorità di sicurezza, che intervengono fermando il ragazzo in Boulevard Victor Hugo e chiedendo di fornire le sue generalità. Hakim si rifiuta mostrando loro riluttanza e allora gli agenti della Bac (Brigata anti-criminalità) decidono di passare alle maniere forti. Nella colluttazione un agente rimane ferito alla spalla a causa della resistenza di Ajimi, tuttavia ciò non impedisce ai suoi colleghi di ammanettarlo e di immobilizzarlo: una volta a terra in posizione supina, Walter Lebeaupin gli afferra il collo, Jean Michel Moinier gli sale sulla schiena premendo il suo ginocchio all'altezza delle costole mentre un agente della polizia municipale gli blocca le caviglie.

La morte

Volano pugni e calci sul corpo di Hakim, sempre più debole e provato dall'eccessiva violenza riservatagli dagli agenti, come dichiararono successivamente i numerosi testimoni oculari. Il volto del ragazzo era diventato viola a causa delle sue difficoltà a respirare, tuttavia i poliziotti non accennarono a placare la loro veemenza. All'arrivo dei soccorsi l'agente ferito viene trasportato in ospedale mentre i colleghi si affrettarono a comunicare agli operatori di soccorso che non era necessario occuparsi di Abdelhakim in quanto ormai la situazione era sotto controllo. “Abbiamo sentito dei peti e abbiamo pensato che si stesse prendendo gioco di noi. Mi scuso di dirlo qui, ma abbiamo riso” ha dichiarato Mireille Authier-Rey, una dei quattro agenti che lo ha accompagnato in auto verso il commissariato. In realtà quei peti erano provocati dal rilasciamento del corpo che avviene in prossimità della morte: gli agenti stavano ridendo sul corpo di Hakim proprio mentre stava esalando i suoi ultimi respiri! Il ragazzo, infatti, viene dichiarato morto poco dopo essere arrivati a destinazione, con gli agenti che hanno testimoniato di aver tentato in tutti i modi di rianimare Hakim ma senza successo. Molti testimoni, tuttavia, hanno dichiarato che il ragazzo apparisse già morto mentre veniva caricato sull'auto della polizia, visto che fu trascinato come un corpo inerte e “molle” fino alla vettura.

L'autopsia e l'inchiesta

Secondo quanto stabilito dall'autopsia, Hakim è morto per asfissia meccanica, ossia per “un meccanismo di compressione del torace, associato senza dubbio a un’ostruzione delle vie respiratorie superiori (faccia al suolo)”. Fin da subito, forse a causa dei numerosi testimoni che hanno puntato il dito contro la polizia a causa della loro condotta, il magistrato di Grasse ha aperto un'inchiesta per “omicidio colposo” nei confronti degli agenti intervenuti e la Cnds (Commissione nazionale di deontologia della sicurezza) si è pronunciata in maniera molto dura nei loro confronti, denunciando i metodi “inumani” con cui è stato trattato il giovane Abdelhakim. Essi sono stati convocati in aula davanti al giudice per il 16 dicembre e a loro difesa hanno dichiarato di aver utilizzato tecniche in conformità con la formazione ricevuta durante il periodo di addestramento. Non essendo stati formalmente incriminati subito, inoltre, gli agenti hanno continuato ad esercitare le loro funzioni durante l'inchiesta. Tuttavia una tale difesa non ha potuto reggere davanti alle testimonianze oculari ed alle prove inconfutabili di un accanimento smisurato sul corpo di Ajimi, così al processo, iniziato ben quattro anni dopo i fatti, due agenti vengono incriminati per omicidio colposo e altri cinque per omissione di soccorso.

La sentenza

La condanna arriverà nel giro di un mese, quando il tribunale di Grasse delibera la sospensione dal servizio per gli agenti sancendo inoltre una pena detentiva a 18 e 24 mesi per i due poliziotti della Bac con a carico la denuncia per omicidio colposo e di 6 mesi per l'agente della polizia municipale. Un anno dopo anche la Corte d'Appello di Aix-en-Provence conferma il verdetto. "Siamo sollevati. Almeno sappiamo che sono colpevoli, anche se sono colpevoli protetti", ha detto all'uscita dell'udienza il padre di Hakim, Boubaker Ajimi Ajimi, accompagnato dal figlio Hatem. Nonostante le dimostrazioni di solidarietà da parte di molti colleghi poliziotti nei confronti dei tre agenti, infatti, l'opinione pubblica ha giudicato la pena morbida. Una vita spezzata, tra l'altro senza particolari motivi in quanto Abdelhakim non aveva commesso alcun reato, a causa di un abuso di potere e di un'azione violenta compiuta da chi dovrebbe rappresentare lo Stato e dare il buon esempio, dovrebbe valere ben più di soli due anni di carcere.

Ma si sa, come detto in precedenza, in questi casi “tutto il mondo è Paese” e i membri delle forze dell'ordine godono spesso di un trattamento privilegiato quando commettono reati. Che sia Francia o che sia Italia, piuttosto che altri Paesi, quando c'è di mezzo la salvaguardia dell'immagine dello Stato stesso, attraverso i suoi bracci operativi, la mano pesante diventa un'utopia e si inscenano perdite di documenti clinici, malfunzionamenti di telecamere, finte rianimazioni ed occultamenti di prove. Tutto ciò che è illecito e che le stesse forze dell'ordine dovrebbero perseguire diventa improvvisamente lecito, necessario ed attuabile senza scrupolo alcuno. Senza la dignità di ammettere un errore e di lasciare che il dolore delle centinaia di famiglie trovi pace nel vedere che sia fatta almeno giustizia. 

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