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La geografia dei migranti e dei turisti

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Realizzeremo i nostri sogni o naufragheremo in questo grande mare?

Ricordo il Desierto de los Monegros in Spagna, mi sembrava bellissimo per i suoi grandi spazi. Richiama la libertà dell’America Latina e la forza del Sahara.

Seduto in un bar a Casetas, a pochi kilometri da Zaragoza, dissi che volevo assolutamente andarci. Alcuni ragazzi mi chiesero perché ricercare un luogo arido e isolato.

Ma io desideravo proprio quello, il nulla.                             

Una pausa, una cesura, una passeggiata con i miei amici.

Las Bardenas Reales e il El Planerón sono luoghi incredibili. Montagne di terra arsa che sembrano piramidi. Là abbiamo giocato a calcio e ci siamo finti in Messico e in Perù, ripromettendoci che non ci saremmo persi, che saremmo rimasti amici tutta la vita.

Gli abitanti del luogo mi dissero che tanta siccità è una tragedia per l’agricoltura locale. Qua si sono combattute le battaglie più sanguinolente della Guerra Civil negli anni ’30. Belchite, completamente distrutta, rappresenta la memoria dei morti per la patria contro il franchismo.

Ci mettiamo dentro una macchina completamente distrutta e facciamo finta di viaggiare verso porti lontani. Entriamo in una chiesa senza tetto e guardiamo il cielo.

Azzurro, luminoso, immenso.

La guida dice che si possono ancora avvertire i messaggi e le voci dei fantasmi che popolano queste zone. Ci proviamo, ma è il nulla. Gli spiriti non hanno nulla da dirci o forse siamo noi che siamo impossibilitati a capire, ad ascoltare.

Ricordo il mare e le spiagge di Sanremo e Cap du Dramont. Le volate in bici, la cala del gabbiano, les falaises rouges.

Facevamo il bagno chiedendoci cosa sarebbe stato del nostro futuro.

Realizzeremo i nostri sogni o naufragheremo in questo grande mare?

Poi l'abbiamo pensato:

“Prendiamo uno di questi ragazzi neri che camminano scalzi o con le scarpe rotte a bordo della strada e portiamolo dall'altra parte con noi!”

Esitiamo un attimo. L’esperienza ci sembra bella, forte, umana.

Io penso ad una delle mie canzoni preferite e urlo:

J’aimerais changer le cours:

avoir l’audace de faire demi-tour!”

Ma non possiamo, rischieremmo la galera.

Per che cosa?

Con quale aiuto, con quale progetto?

Peccato, una chiacchierata ci avrebbe fatto piacere. Poi sogniamo di fare un viaggio nei paesi dell’Africa Francofona.

Noi che ci siamo conosciuti a Parigi e Bruxelles. Noi che amiamo studiare la geopolitica, la filosofia, l’antropologia e la letteratura. Noi che amiamo il Musée de l’Afrique Centrale di Tervuren e il Musée du quay Branly.

Guardiamo gli yachts dei russi e degli arabi subito dopo la frontiera e ci sembra che le contraddizioni del mondo si materializzino in un attimo. Sono qua per noi e per tutti coloro che le vogliono vedere.

Tutti varchiamo la frontiera.

Chi a nuoto, chi in macchina, chi su barche di venti metri.

I poliziotti italiani controllano la zona di costa che porta da Ventimiglia a Menton con i binocoli. Dall’altro lato c’è la Gendarmerie nationale francese. Con loro non si scherza.

Cercano i natanti non autorizzati. Cercano chi è senza diritti e senza documenti.

Non cercano noi.

Ricordo l’estate sulla costa africana in Sicilia. L’agrigentino, uno dei luoghi più belli della terra. La Scala dei Turchi, la foce del Platani le rovine greche. La mia famiglia è di queste zone, io ci sono cresciuto.

Un magrebino ci fa un segno con una mano. Mio zio accosta per vedere cosa vuole. Ci dice una frase breve e sgrammaticata.

“Cuneo dritto?”

Avevo solo dieci anni, non capivo bene. Però conoscevo la distanza che separa la Sicilia dal Piemonte. Qualcosa non tornava.

Ricordo il medio oriente. La Giordania piena di Siriani, Palestinesi ed Egiziani. I profughi stipati al confine nord. Il pomeriggio in camion con dieci rifugiati che mi raccontavano le loro peripezie, le loro paure, i loro sogni.

Nella depressione del mar morto. La zona più “bassa” e salata del globo. Le terre che furono prima di Gesù e poi di tutti coloro che cercano fortuna, che scappano dalle bombe e dalla miseria.

Qua è nato l’uomo e forse qua morirà.

Ricordo le giornate a Bardonecchia.

“Oggi troppa neve, oggi bel sole, oggi ghiacciato, oggi piove, oggi nebbia”

Arriveremo alla fine della pista o ci perderemo nelle Alpi?

Il mistero delle montagne. Alte, gelide, imperscrutabili.

Eppure c’è qualcuno che le sta valicando.

Chi a piedi, chi in seggiovia, chi in ski lift.

Vanno in Francia, oltre la frontiera. Cercano di ripartire.

Anche loro si chiedono cosa ne sarà del loro futuro.

Chi lo sa dove vanno e perché.

Mi domando se in ogni luogo in cui andiamo siamo noi a seguire loro o sono loro a seguire noi. E se questo incontro che sembra casuale non sia in realtà la metafora di un destino comune e condiviso.

Forse sono le stesse voci dei fantasmi di Belchite che non abbiamo avuto la forza di ascoltare.

Story by

Bernardo Bertenasco

Venuto al mondo nell’anno della fine dei comunismi, sono sempre stato un curioso infaticabile e irreprensibile. Torinese per nascita, ho vissuto a Roma, a Bruxelles e in Lettonia. Al momento mi trovo in Argentina, dove lavoro all’università di Mendoza. Scrivo da quando ho sedici anni, non ne posso fare a meno. Il mio primo romanzo si intitola "Ovunque tu sia" (streetlib, amazon, ibs, libreria universitaria)