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La fine delle Civiltà Mediorientali

Published on

Napoli

Prima di Mosul e Nimrud

Tra i trascorsi più importanti si ricorda il saccheggio al museo di Baghdad svoltosi tra il 10 ed il 12 aprile 2003: tra le prime vittime dell’invasione americana dell’Iraq vi furono anche quindicimila pezzi conservati nel museo, scomparsi nel nulla. L’evento ebbe l’effetto di aizzare proteste e manifestazioni contro gli americani che, già attivi sul territorio da circa un mese, non erano riusciti a proteggere i reperti iracheni. Il Consiglio della Sicurezza dell’ONU chiese agli Stati membri di vietare il traffico di antichità irachene, temendo che si creasse un mercato nero internazionale con i reperti.

Da allora, circa un terzo delle opere trafugate sono state rintracciate e recuperate – le autorità hanno dichiarato un numero approssimato di 4.300 ritrovamenti, mentre il resto dei “dispersi” si cerca ancora nei mercati e nelle aste internazionali. Dopo le distruzioni di Mosul e Nimrud, il museo della capitale irachena è stato riaperto in nome della civiltà irachena che, nonostante i duri colpi infertagli, continua a vivere e vuole rialzarsi più forte di prima: come ha dichiarato uno dei primi visitatori come ha dichiarato uno dei primi visitatori, «i miliziani dell'Isis non possono cancellare il nostro patrimonio distruggendo qualche statua. Il patrimonio archeologico iracheno ha migliaia di anni e sopravvivrà anche domani».

Un altro attacco all’archeologia irachena rivendicato dagli jihadisti è una serie di roghi  appiccati nel febbraio scorso, a Mosul: sono stati dati alle fiamme più di 2mila volumi della Biblioteca centrale, tra cui vi erano libri per bambini, di poesia e testi di filosofia, giudicati contrari all'Islam; poi hanno fatto irruzione nell’università, incendiando altre centinaia di libri davanti agli studenti. Per mandare un messaggio ancora più chiaro hanno arrestato il titolare della più antica libreria di Mosul con l’accusa di vendere testi cristiani.

I nuovi crimini di guerra

Il 26 febbraio scorso i jihadisti hanno polverizzato con ascie, picconi e martelli pneumatici le tremila sculture del museo di Mosul, città dell’Iraq considerata l’antica Ninive ed identificata con la città biblica di Calah, ora occupata dal Califfato islamico di Abubakr al Baghdad. Il sito si trovava sotto il controllo dei miliziani già da giugno scorso.  In un video, diffuso dall’Isis, si vedono i miliziani intenti a distruggere tutti i reperti del museo, mentre un jihadista dichiara: «Queste rovine dietro di me sono quelle di idoli e statue che le popolazioni del passato usavano per un culto diverso da Allah». Fortunatamente alcuni dei pezzi distrutti erano delle copie, i cui originali sono conservati nel Museo di Baghdad o in musei esteri.

La direttrice generale dell’agenzia delle Nazioni Unite, Irina_Bokova, ha etichettato i danni dell’antica città di Nimrud e del Museo di Mosul come crimini di guerra, appellandosi a tutti gli esponenti  politici e religiosi della ragione a sollevarsi contro queste barbarie. Molte delle opere più imponenti, secondo Daniele Mosrandi Bonacossi, docente di archeologia all'università di Udine e direttore della missione archeologica “Terra di Ninive” nel nord Iraq, sarebbero state definitivamente distrutte, mentre solo i reperti più piccoli e maneggevoli sono finiti probabilmente nella rete del mercato nero del commercio di antiquariato.

Pochi giorni dopo l’attacco al museo, i jihadisti hanno raso al suolo il sito archeologico di Nimrud, città biblica di Calah,  nei pressi di Mosul. Il sito si trovava sotto il controllo dei miliziani da giugno scorso. Nimrud fu fondata tra il 1274 ed il 1245 a.C. e divenne capitale dell’impero assiro nel IX secolo a.C. Secondo Suzanne Bott, direttrice del progetto per la conservazione del patrimonio per l’Iraq e l’Afghanistan dell’Università dell’Arizona, è considerata la culla della civiltà occidentale.

Perché attaccare l’archeologia?

La “ pulizia culturale”esistente nei territori occupati dall’Isis si appella a diverse ragioni, che vanno da quelle ideologiche a quelle puramente materiali.

In prima fila troviamo i profitti che i miliziani ricavano dalla vendita illegale dei reperti sul mercato internazionale e anche da una tassa, chiamata Khums islamica, sul valore di quanto recuperato dai tombaroli. Secondo il Consigliere speciale del Direttore dell’UNESCO, Mounir_Bouchenaki, l’Isis vende beni archeologici per acquistare armi e finanziare le sue attività terroristiche. Basandosi su dati recuperati in agosto dai servizi segreti iracheni, si stima che i guadagni della vendita di queste opere si aggirino intorno ai 36 milioni di dollari totali. Le maggiori case d’aste hanno da poco interrotto la vendita di alcuni oggetti di dubbia provenienza, ma niente è stato fatto da quelle meno famose, che continuano a vendere ed attingere dal mercato illegale.

Secondo Carlo Lippolis, docente di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente antico dell’Università di Torino, spiccano le ragioni religiose e socio-politiche. Per quanto riguarda l’aspetto religioso, i jihadisti vogliono cancellare ogni forma di idolatria e credo che non si rivolga ad Allah. Il lato socio-politico, invece, vede nella distruzione del patrimonio culturale di un popolo la cancellazione della sua storia e, di conseguenza, della sua identità: sarà più facile per i jihadisti prevalere su usi, costumi e religiosità dei popoli conquistati. Inoltre, distruggere un sito archeologico è più semplice, meno costoso e meno rischioso di attaccare una base militare nemica.

Gli attacchi verificatisi negli ultimi mesi erano stati previsti da molti studiosi, eppure nessuno ha fatto nulla per evitarli. Gli archeologi in situ sono tornati alle tecniche usate nella Seconda Guerra Mondiale per arrestare le depredazioni: coprono mosaici e altri bassorilievi per nasconderli ai ladri. Fin quando l’identità degli iracheni resterà salda, se giorno dopo giorno la loro storia e le loro usanze sono distrutte? Il mondo potrà sopportare che degli estremisti cancellino millenni di storia? E come vorrà, o meglio, come potrà intervenire?