La Corea del Nord torna al tavolo dei negoziati. Ma ora ha la bomba
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priscilla scalaL'Europa assente dalle trattative a sei che si aprono a Pechino oggi.
«Pensate che abbiamo fatto un test nucleare per poi abbandonare il progetto?». Questa la domanda di Kang Sok-ju, portavoce del ministro degli Affari esteri nordcoreano. Benché il gruppo dei sei – Russia, Stati Uniti, Giappone, Cina e le due Coree – abbia accettato, sotto la pressione di Pechino, di tornare al tavolo dei negoziati, il braccio di ferro nucleare è ancora lontano dall’essere vinto.
Esperimenti nucleari, la paura dell'autunno
Flash back. Tra il 2003 e il 2006 evocare le trattative con la Corea del Nord significava tentare di « dissuadere Pyongyang dal continuare lo sviluppo del suo programma nucleare palesemente militare. Un programma che restava a livelli embrionali. Le grandi potenze hanno agitato a lungo e a intermittenza carote e bastoni. La Cina, altro partecipante ai negoziati, si è destreggiata tra il suo ruolo di alleata naturale del fratello comunista e quello di nuova e responsabile potenza internazionale.
Nel settembre 2005 il colpo di scena: Washington decide di congelare unilateralmente i crediti nordcoreani presso le banche estere. Una sanzione ingiusta, secondo Pyongyang, che insiste dalla ripresa dei negoziati per la sua rimozione.
Ma nell’autunno 2006 l’ultimo regime stalinista del pianeta vince la sua scommessa ed entra nel club esclusivo delle potenze nucleari. Il 9 ottobre Kim Jong-il sfida la comunità internazionale procedendo ad una serie di esperimenti nucleari. Il ministro degli Esteri nord-coreano dichiara allora: «La minaccia estrema degli Stati Uniti di scatenare una guerra nucleare, le sanzioni e le pressioni ci obbligano a procedere con l’esperimento, una pratica essenziale per rinforzare il nostro potere di dissuasione nucleare e una misura di autodifesa».
Addio a vini francesi e auto tedesche
Che fare adesso che la Corea del Nord ha dimostrato di possedere l’arma atomica? La domanda assilla tutti i diplomatici in carica. Se l’opzione dell’intervento armato è sempre valida, come attaccare un Paese che possiede ormai la bomba? Il rischio è troppo grande. Il missile Taepodong II, la cui portata è stimata intorno ai 6.700 chilometri, permetterebbe alla Corea del Nord di colpire l’Alaska. Altri esperti affermano che un’altra versione dell’ordigno potrebbe avere una portata di addirittura 15.000 km, mettendo in pericolo tutto il territorio americano.
Per quanto riguarda lo scontro militare, nessun Paese possiede i mezzi per attaccare un esercito di più di un milione di soldati, a parte gli Stati Uniti, che per il momento sono troppo occupati in Iraq.
L’insieme della comunità internazionale decide allora di condannare gli esperimenti nucleari nordcoreani con la Risoluzione 1718 dell’Onu, assortita di diverse sanzioni. Che comprendono un embargo su tutti i prodotti e le tecnologie militari e sui beni di lusso che potrebbero servire al regime. La strategia mira a privare il dittatore Kim Jong-il e le 600 famiglie a lui assoggettate dei loro gadget preferiti: automobili tedesche, vini francesi, prodotti di alta tecnologia giapponesi e americani, tanto per fare qualche esempio. Le sanzioni prevedono anche il blocco di alcuni crediti nordcoreani nelle banche estere e lo stop dell’aiuto tecnologico.
E l'Europa?
In questa cornice l’Unione Europea deve giocare il suo ruolo. Benché sostenga la risoluzione dell’Onu contro la Corea del Nord, l’Ue vuole anche portare avanti il suo programma di aiuti umanitari, stimato intorno agli 8 milioni di euro per il 2007. Le ong europee sono presenti nel Paese dagli anni Novanta, e la regola principale è di non punire un popolo oppresso da decenni dal suo Governo.
Un alto funzionario del Ministero nordcoreano degli Esteri ha dichiarato al quotidiano Le Monde: «Vogliamo che l’Ue porti avanti la sua politica di stabilizzazione della penisola coreana e siamo pronti, dal canto nostro, a rispondere alle sue preoccupazioni fornendo tutte le garanzie di non proliferazione». La sfida per l'Ue? Trovare una giusta via di mezzo tra l'intransigenza di statunitensi e giapponesi e le posizioni dei nord-coreani. Chiusi in un immaginario bellicoso e anti-imperialista. Senza un posto al tavolo dei negoziati sarà dura.
Translated from Beaucoup de bruit pour rien ?