La Coppola Storta, racconto di un simbolo che cambia la storia
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Cobbola: «Cappa di coppi in cotto è cupolina, cappio di coppe in coppia è carabina: copure di cocchiumi e campanelli, cooptano cocolle in capannelli: chi compiega cocuzze con cocuzzoli, compatta cocci e croci e capperuzzoli» (Edoardo Sanguineti, 1999).
La storia di un copricapo, la storia di un simbolo: "La Coppola Storta", dal centro di Palermo alle vetrine di tutto il mondo.
Via Bara all'Olivella è una delle vie più antiche del centro di Palermo. Nei dintorni di questa storica strada c'è un mestiere che sta lentamente sparendo: il "coppolaro", il sarto specializzato nella realizzazione della "coppola", il tradizionale copricapo siciliano, a lungo associato a una certa metafora della Sicilia stessa.
Chi è il nuovo "coppolaro"
È nel 1999 che la Fondazione Palazzo Intelligente lancia allora il suo progetto culturale volto al recupero degli antichi mestieri scegliendo in particolare quello del "coppolaro". Nasce così La Coppola Storta, un progetto che, cominciato in punta di piedi, è arrivato dall'altra parte del mondo. Il copricapo siciliano è stato esposto nelle vetrine di tutta Europa, in quelle della Grande Mela e anche a Kobe, in Giappone.
«Una delle cose più belle è l'orgoglio delle donne che lavorano con noi quando ogni tanto ti chiamano, dopo che è arrivato Channel 5 da Londra e dopo aver visto il servizio in televisione e ti dicono: "Quella l'ho ricamata io!". È l'orgoglio di vedere le loro cose in vetrina a New York o in Giappone, che poi è un riscatto per la donna e per la lavoratrice». A dirmelo è Tindara Agnello, art director dell'azienda. Ogni sua parola fa trasparire impegno, passione e molta determinazione.
Le donne siciliane (ma si accettano anche uomini) sono il polmone di questa azienda, che oggi è diventata la cooperativa Factory 23; nella loro manualità, nella loro precisione, nella loro passione per la tradizione sta il segreto di questo successo. L'azienda funziona così: cinque elementi fissi e poi un numero variabile di donne che lavorano direttamente da casa, ciascuna specializzata in una fase della lavorazione.
Un restyling nel rispetto della tradizione
La loro avventura è cominciata a San Giuseppe Jato, per poi continuare a Piana degli Albanesi, paese a pochi chilometri da Palermo con una grande tradizione manifatturiera. Il lavoro a domicilio consente loro di conciliare famiglia e realizzazione personale, producendo un'enorme varietà di coppole. L'azienda di Piana degli Albanesi è inoltre tappa delle visite dei turisti di Addiopizzo Travel, tour operator che nasce dal comitato Addiopizzo, con cui la Coppola Storta ha una convenzione, durante la visita viene raccontata la produzione, ma anche spiegato il messaggio che si vuole dare con la rivisitazione del copricapo della tradizione siciliana per troppo tempo associato al fenomeno mafioso.
Non solo il laboratorio di Piana, ma anche il piccolo negozio di via Bara all'Olivella, un tripudio di colori che ti fanno respirare aria di Sicilia, viene inserito da alcuni tour operator nei loro giri che esplorano il centro storico e le sue botteghe.
Viene spontaneo chiedersi come i turisti vedono la coppola che avranno sicuramente visto nei film di mafia: capiranno davvero il messaggio che il restyling della coppola conteneva? Tindara Agnello mi dice: «Il turista quando entra vede la coppola, la identifica e dice: Mafia!, ma comunque chiede, vuole sapere la storia, è lui che ti stimola a raccontargli qual è il riscatto, la simbologia. In particolar modo i tedeschi e i giapponesi. È importante raccontargli la storia ed è quello che noi facciamo in negozio».
The others are just caps... La storia
Questa è la storia di un copricapo che giunse in Sicilia agli inizi dell'Ottocento: indossato prima dai signori dell'alta borghesia, poi dal popolo come segno di emancipazione sociale e poi caduto in disuso, indossato soltanto dai nonni e identificato con il mafioso che aveva sempre la sua coppola di velluto a coste nell'armadio. Alla fine degli anni Novanta, la rivoluzione: le nipoti iniziarono a rubare la coppola ai propri nonni, e il copricapo con la visiera più famoso al mondo divenne accessorio glamour e di tendenza. Oggi, quello che non può e non deve definirsi un semplice cappello, è diventato un simbolo, simbolo di riqualificazione, simbolo di recupero del territorio e della cultura che quel territorio ha reso così ricco. È una rivoluzione colorata che passa per le coppoline per i cani (spesso chieste uguali dai padroni), per i neonati, per le spose (nella sfilata di New York uno stupendo strascico di tre metri cadeva elegante da una coppola bianca). Passa per le coppole realizzate con vecchi abiti, per la campagna "Riutilizzo siciliano". Passa, infine, attraverso la passione di chi, da qui, vuole ripartire per costruire una Sicilia davvero migliore, che viva delle sue bellezze e delle sue eccellenze.