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La contesa neocoloniale della Colombia

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Stretta tra le logiche militariste di Washington e Madrid, l'UE cerca di sviluppare una strategia alternativa. Analisi sul terreno.

Nello scenario internazionale attuale caratterizzato da un’integrazione sempre maggiore a livello di accordi commerciali, alleanze strategiche tra i governi e diffusione di modelli culturali globalizzati, è difficile identificare in maniera univoca la natura dell’interesse di uno stato rispetto ad un altro.

Mentre la conquista coloniale, in quanto occupazione fisica di un territorio, identificava necessariamente un popolo colonizzatore ed un popolo colonizzato, con tutto ciò che ne conseguiva per quanto riguarda i rapporti economici, l’assetto amministrativo e la forma di organizzazione politica e sociale, nei rapporti odierni, che si stabiliscono tutti tra stati formalmente indipendenti e sovrani, le forme di “neocolonialismo” possono celarsi dietro alla complessa natura delle relazioni tra i paesi. Soprattutto quando i rapporti si stabiliscono tra “nord” e “sud” del mondo (non a caso il primo ex-colonialista e il secondo ex-colonizzato), gli accordi di libero scambio (es. NAFTA tra Stati Uniti, Canada e Messico) e i piani di intervento per la risoluzione di questioni interne di uno stato (es. Plan Colombia) si prestano ad una duplice interpretazione. Da una parte, infatti, la ragione formale dell’esistenza degli accordi è la reciproca risposta a reali esigenze di interazione, ma dall’ altra spesso questi stessi accordi diventano strumento di ingerenza e di condizionamento dello stato più forte sul più debole. La polarizzazione delle relazioni internazionali, per cui è assolutamente necessario stabilire dei legami con determinati soggetti (Stati Uniti e Unione Europea in primis), per di più in un contesto di estrema disuguaglianza del potere di negoziazione, causa il paradosso per il quale è lo stesso paese “sfavorito” a ricercare l’accordo, per quanto sappia in partenza che le condizioni non saranno eque. L’assurdità sta nel fatto che l’ “esistenza internazionale” di certi stati sia determinata più dalla loro visibilità agli occhi dell’Unione Europea o degli Stati Uniti, piuttosto che dal loro reale status.

Corte Penale Internazionale

Il già citato Plan Colombia (1999), può essere un esempio della strana “convenienza” che è alla base della stipulazione di molti accordi contemporanei. L’amministrazione Clinton e l’allora presidente colombiano Pastrana decisero, nel 1999, di realizzare congiuntamente un “piano per la pace, la prosperità e il rafforzamento dello stato”. Il piano prevedeva l’esborso di quasi un miliardo di dollari da parte degli Stati Uniti, destinati essenzialmente alla risoluzione del problema del narcotraffico, ingente problema per la Colombia come paese produttore ed esportatore, e per gli Stati Uniti, in quanto primo consumatore degli stupefacenti prodotti in Colombia.

Le strategie proposte per il conseguimento di tale fine si basano essenzialmente sull’incremento della capacità militare di lotta al narcotraffico e sulla fumigazione con agenti biologici dei campi di coca al fine di ridurre l’estensione delle coltivazioni. Il piano prevede anche il finanziamento di interventi sociali (programmi di educazione, realizzazione di infrastrutture), ma il 70% dei fondi viene destinato a spese militari. Inoltre gli Stati Uniti, nell’ottica di una lotta regionale al narcotraffico, hanno incluso nel piano la creazione e il rafforzamento di basi militari nelle varie zone strategiche in Ecuador e in Bolivia. A tre anni dalla sua presentazione, i risultati del Plan Colombia sono di difficile valutazione, perché, malgrado il fatto che la fumigazione in particolare abbia prodotto delle conseguenze sociali e ambientali disastrose, ed il narcotraffico continui ad essere un problema dominante, la necessità strategica ed economica del legame con gli Stati Uniti impedisce l’esistenza stessa di una valida alternativa.

Le conseguenze di questo legame squilibrato vanno oltre l’area specifica del Plan Colombia: nell’estate 2002 la Colombia si è vista “costretta” ad aderire ad accordi bilaterali con gli Stati Uniti nell’ambito della Corte Penale Internazionale (il cui statuto è stato ratificato dalla Colombia ma non dagli Stati Uniti) dal momento che Washington aveva palesemente vincolato a questa firma il proprio sostegno economico.

la Spagna rema contro

Proprio l’inadeguatezza delle misure del Plan Colombia soprattutto rispetto alla realtà sociale colombiana, hanno costituito, invece, il motivo del rifiuto dell’Unione Europea a sostenere il piano. Per l’UE l’accento andava posto sulla riforma agraria e sul raggiungimento di una più equa distribuzione della ricchezza interna, piuttosto che su una risoluzione spiccatamente militare del problema. In alternativa l’Unione ha proposto (Resolución del Parlamento Europeo sobre el Plan Colombia y el apoyo al proceso de paz en Colombia, 01/02/2000) lo stanziamento di 105 milioni di euro per il periodo 2000-2006 con l’obiettivo fondamentale di promuovere il rispetto dei diritti umani, del diritto internazionale umanitario e della libertà.

In questa, come in altre situazioni, potrebbe essere cruciale il delinearsi dell’Europa come polo alternativo agli Stati Uniti, non tanto nella conquista di spazi di influenza, quanto nella nascita di un nuovo attore internazionale che permetta ai paesi con un potere contrattuale minore di effettuare delle trattative in modo paritario, e che tengano, responsabilmente, in considerazione la realtà complessiva del paese in cui vanno ad agire. Sarebbe molto grave infatti se l’Europa rappresentasse un altro punto dominante, secondo la stessa logica degli Stati Uniti, perché questo non farebbe che ridurre le opportunità e gli spazi dei paesi meno influenti.

Questa posizione europea “alternativa” non appare così scontata nel momento in cui si considera il fatto che le volontà e le politiche dei singoli stati si muovono parallelamente alla scelte dell’Unione. Il primo marzo 2003 la Spagna ha dichiarato di voler “donare”, ad un prezzo simbolico, otto aerei Mirage alla Colombia, degli elicotteri, la possibilità di usare i propri satelliti e altri mezzi militari per rafforzare la risposta antiterrorista colombiana. La Spagna inoltre dichiara di voler accompagnare gli aiuti militari con corsi di addestramento e formazione per i membri delle forze militari colombiane.

Questo appoggio, che privilegia nettamente il settore militare, appare in contrasto con gli intenti espressi nella già citata risoluzione dell’Unione. Va notato, tuttavia, che l’attuale politica colombiana, interna ed estera, si fonda in maniera prioritaria su una risoluzione militare del conflitto, e lo stesso presidente Uribe si rivolge alla comunità internazionale chiedendo un forte appoggio alla lotta al terrorismo nel suo paese; per cui il “regalo” della Spagna viene celebrato dal governo colombiano come un momento importante nell’alleanza tra i due paesi, poiché apparentemente ben si accorda con la linea seguita.

dominanti e dominati?

A prescindere dalle concrete utilità che gli stati traggono di fatto da questo come da altri accordi, e dalla logica che si nasconde dietro la loro formulazione, risulta oggi molto arduo identificare una direzione chiara della “ragion di stato”, dal momento che il motore delle relazioni sembra essere l’appropriazione degli spazi economici e commerciali, e che l’autodeterminazione delle proprie politiche risulta di fatto un privilegio riservato a coloro che possono permettersi un’autonomia (od un qualche dominio) commerciale.

La stessa ambiguità potrebbe essere riferita alla sfera sociale e alla diffusione di modelli culturali prevalenti, da un lato imposti, dall’altro, forse, vissuti come un’apertura alla modernità o una presunta capacità di scelta, per la quale è difficile identificare, in assoluto chi si stia imponendo e chi si stia adeguando. Ma sicuramente c’è qualcuno che può scegliere più di qualcun altro, qualcuno che studia le proprie politiche e qualcuno che le vede già condizionate in partenza.

Certo, è impossibile superare il relativismo delle culture e delle diverse percezioni di una stessa realtà; è impossibile (e sarebbe dannoso) ricomporre gli interessi economici e le dinamiche di potere di più soggetti in una visione unitaria, ma la possibilità di dibattere e di ragionare sulle scelte, di portare avanti scelte autonome di politica interna, di orientare e influenzare le decisioni internazionali è un diritto che ogni popolo dovrebbe veder rispettato, in una logica geopolitica internazionale che vuole evitare la conservazione di un mondo diviso tra “dominanti” e “dominati”.

Il neocolonialismo, reale o presunto che sia, è una questione che, per sua stessa definizione, oltrepassa una singola prospettiva e forse l’analisi può assumere un aspetto davvero costruttivo solamente nel momento in cui coinvolge, per quanto più possibile, le diverse parti in causa senza discriminazioni.