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La "Buona Scuola" salta il turno

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Napoli

La riforma dell'Istruzione è stata uno dei principali cavalli di battaglia del governo di Matteo Renzi. Per questo motivo la scelta di trasformare tale provvedimento da decreto-legge ad un disegno di Legge appare come una ritirata strategica.

La riforma dell'Istruzione è stata al centro degli annunci del Presidente del Consiglio Matteo Renzi per circa un anno, con costanti riferimenti nel corso del semestre di presidenza dell'Unione Europea e con la promessa che, archiviati i cosidetti "Decreto Milleproporoghe" (D.L. n. 192 del 31 dicembre 2014, convertito in legge ed infine entrato ufficialmente in vigore lo scorso 1 marzo, come riportato sulla Gazzetta Ufficiale n. 49 del 28 febbraio 2015) e "Jobs Act", sarebbe stato il passo successivo dell'inarrestabile rottamazione ed il primo mattone nella rinascita del paese.

Cos'è accaduto il 3 marzo

Che l'istruzione italiana non se la passi bene non è una novità: gli alunni trovano il periodo scolastico poco interessante, ai docenti (i pochi che siano assunti ancora a tempo indeterminato) non è riconosciuto né un adeguato compenso né un riconoscimento dell'importanza del loro lavoro, i numeri del precariato sono impressionanti ed infine i fondi a disposizione sono pochi (o totalmente assenti) – per motivi di spazio e di chiarezza non analizzeremo, in questo articolo, la parimenti critica situazione dell'università. Non stupisce apprendere che una situazione così negativa determini una dispersione scolastica che assume numeri preoccupanti, quasi tre milioni di studenti abbandonano gli studi durante le scuole superiori, e che accomuna l'intero territorio nazionale, come emerge nel dossier realizzato da TuttoScuola. La "Buona Scuola" avrebbe dovuto occuparsi soprattutto delle questioni legate al precariato ed alla didattica (autonomia, programmi, ecc): ci si aspettava che l'esecutivo le affrontasse in separata sede, dedicando alla prima un decreto-legge di immediata attuazione, in modo da poter assumere definitivamente ed entro il primo settembre almeno una parte dei 140 mila precari, ed alla seconda un disegno di legge comprensivo di eventuali deleghe ed approfondimenti. Ma, a poche ore dall'inizio del Consiglio dei Ministri, la smentita: dopo un incontro tenutosi tra il premier e il Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca Giannini, è stato deciso che l'intero pacchetto di provvedimenti debba confluire in unico disegno di legge da approvare, con la collaborazione ed il coinvolgimento delle opposizioni e del Parlamento, in tempi certi per mantenere la promessa delle assunzioni. Una scelta che ha causato un'incredibile confusione in aula, che si è limitata a diffondere una semplice raccolta di linee-guida, consultabile a questo indirizzo, e che appare, se non una sconfitta, una "ritirata strategica" da parte del governo.

Le criticità della riforma

Le critiche alla riforma sono numerose e complesse, poiché spesso si intersecano e si modificano a seconda del punto di vista che si vuole ascoltare: le critiche non si rivolgono esclusivamente al rinvio ed alla modifica in disegno di legge, come nel caso dei sindacati che temono che la trasformazione in disegno di legge non renda possibile assumere i circa 105mila precari delle graduatorie a esaurimento e dei vincitori del concorso del 2012, ma anche ai concetti su cui si baserebbe la riforma della "Buona Scuola".

Al momento le principali criticità del testo sono sintetizzabili in questo modo: in primis, l'attenzione dedicata alla didattica ed alla pedagogia, a cui dovrebbe essere dedicato un percorso biennale per i docenti. Nonostante la loro importanza, sembra che didattica e la pedagogia abbiano un ruolo preponderante nell'insegnamento, piuttosto che essere considerati degli strumenti con cui rendere più semplice trasmettere quelle che i documenti ministeriali definiscono "competenze disciplinari"; inoltre, come il precedente TFA, questo percorso biennale sembra essere basato su quelle che sono definite "best practices" che, a detta della maggioranza degli insegnanti coinvolti in questi corsi, hanno una dimensione esclusivamente teorica, senza alcun aspetto pratico. Un altro aspetto a cui fare attenzione riguarda un vero e proprio paradosso del testo: il documento pubblicato nel settembre del 2014 si propone di introdurre «il criterio del merito per l'avanzamento e per la definizione degli scatti stipendiali». Consultando il testo si ha l'impressione che questo proposito non tenga conto della difficoltà di misurare il merito di un insegnante, che sembra essere eccessivamente legato ad attività extra-curriculari ed incarichi amministrativi vari (senza considerare alcuni passaggi quasi distopici, come quelli riguardanti la creazione di un apposito "Nucleo di Valutazione" e l'elezione di un "Docente Mentor" interni, che si occupino di giudicare i propri colleghi). Ironico notare che queste ipotesi sul giudizio del merito accompagnino un'assunzione di massa: un paradosso degno di Epimenide di Creta a cui l'attuale riforma deve necessariamente porre rimedio se si considera che una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea  ha definito, nel novembre 2014, la normativa italiana sui contratti di lavoro a tempo determinato nel settore della scuola «contraria al diritto dell’Unione. Il rinnovo illimitato di tali contratti per soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle scuole statali non è giustificato».