La Banda Baader Meinhof: gli anni di piombo tedeschi al cinema
Published on
Translation by:
Marta LavagnoliGli anni di piombo tedeschi sono sugli schermi grazie al film di Uli Edel sulla Raf. La pellicola, che rappresenterà la Germania agli Oscar, e ha riaperto una ferita della memoria nazionale. Il dibattito.
“Tremate, borghesi!” Der Baader-Meinhof-Komplex, il titolo tedesco dell’opera letteraria di Stefan Aust da cui è stato tratto il film di Uli Edel, descrive gli intrighi delle prime due generazioni della Rote Armee Fraktion (Raf), un’organizzazione terrorista nata dal movimento studentesco della fine degli anni Sessanta. Questo gruppo, chiamato Baader-Meinhof dai nomi dei due leader, aveva dichiarato guerra al “sistema”, considerando che la de-nazificazione portata avanti dalle forze d’occupazione era ancora da realizzare, perché il “nuovo stato” tedesco restava uno stato fascista. La lotta armata sotto forma di guerriglia urbana (attentati mirati su banche, istituzioni statali) condotta da “un’avanguardia comunista illuminata” aveva lo scopo di risvegliare le masse contro il mondo imprenditoriale e contro le forze americane stanziate in Germania, viste come un’occupazione imperialista.
Gli anni di piombo tedeschi in chiave Bonnie and Clyde
La Raf è stata attiva dal 1970 al 1998: circa trent’anni nel corso dei quali ha assassinato 34 persone. Viene qui rappresentato tutto un pezzo della storia della Repubblica federale in uno dei suoi momenti di debolezza, in particolare fino al 1977, un periodo in cui la Raf era riuscita ad attirare un molte decine di migliaia di simpatizzanti. Nel 1971, il 51% della popolazione tedesca considerava i membri dell’organizzazione come dei combattenti politici. La società era divisa di fronte ai metodi da utilizzare contro i terroristi. Le misure forti prese dallo stato non rischiavano forse di fornire il pretesto di altre vocazioni terroriste? La mancanza di un politica ferma poteva apparire come una vittoria dell’organizzazione. In poche parole, la tensione non fece che aumentare nel corso degli anni di piombo, fino a raggiungere il suo parossismo nel 1977, con il suicidio in prigione di tre terroristi ed anche con l’esecuzione di Hanns-Martin Schleyer, presidente della confederazione degli impiegati tedeschi. Per molti, la Repubblica rischiava di sprofondare nella guerra civile. Ma la situazione è cambiata.
Trent’anni dopo il cinema dà, grazie a uno degli attori tedeschi più conosciuti, Moritz Bleibtreu, un nuovo volto ad Andreas Baader, una delle figure più simboliche del gruppo. Baader è rappresentato come un ribelle dal cuore d’oro, che lotta contro il sistema e l’autorità, un amante della festa e delle macchine sportive, che predica la liberazione sessuale. Una sorta di pistolero dal sangue freddo, che affronta, lui da solo una brigata di poliziotti accompagnati da veicoli blindati. E allo spettatore viene chiesto di condividere la crescita d’adrenalina che sembra cercare Baader nelle sue azioni armate. Eppure, la realtà è lontana da questa vita da Billy the Kid moderno. In un’intervista al giornale Die Ziet, Bleibtreu spiega che durante l’ascolto delle bande sonore del processo di Stammheim (dipartimento di Stoccarda dove si è tenuto il processo alla Raf, ndr), è rimasto deluso dalla voce di Baader, perché senza carisma: «All’epoca, lo Stato non voleva lasciar filtrare nessuna registrazione, non voleva fare del processo una tribuna politica per l’organizzazione . Questa strategia fu contro produttiva: se si fossero diffuse queste registrazioni, il 50% dei simpatizzanti avrebbe cominciato a dubitare».
Ciononostante, nel film Baader s’infuria contro il giudice, arrivando ad insultarlo e guadagnandosi gli applausi degli spettatori del processo. Possiamo parlare qui di manipolazione? La vedova di una vittima ha deciso di denunciare il regista, Uli Edel, perché non ha mostrato l’assassinio di suo marito come realmente è avvenuto. Eichinger, sceneggiatore del film, avrebbe dovuto essere più onesto col pubblico: semplificare degli avvenimenti storici con lo scopo di farne un prodotto “cinematograficamente interessante” non è un peccato se viene dichiarato direttamente. D’altronde è quello che il pubblico vuole: una nuova versione di Bonnie and Clyde. La giornalista Tanja Dückers, esprime questo sentimento quando scrive, sul Tagesspiegel, che i personaggi del film risvegliano un certo «calore domestico». Essi non rappresentano più, come trent’anni fa, degli anarchici pericolosi, con il coltello tra i denti, in piena follia omicida. In un mondo dove i pericoli e i conflitti si moltiplicano per delle ragioni spesso oscure, un’epoca dove il più grande pericolo fu una banda di giovani che, a distanza, assume un’aria quasi naif, non può che suscitare un certo conforto. Quello che stona è questo desiderio di fare un film che metta tutti d’accordo sulla storia della Raf: le risposte “storiche” vanno cercate là dove si possono trovare. E che i cineasti facciano, senza pretese, quello che sanno fare: raccontare delle storie.
Questo articolo è tradotto dal blog BABEL'HISTOIRE publicato, al momento, in francese e tedesco.
Translated from La Bande à Baader : de la réalité au mythe