La Banca Mondiale: più danni che benefici?
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La Banca Mondiale è un organismo delle Nazioni Unite nato nel 1945. Oggi il suo ruolo è finanziare progetti di sviluppo, dopo essersi posto l'obiettivo di sradicare la povertà nel mondo. Tuttavia, molti dei progetti ritenuti idonei a ricevere i fondi sono stati duramente criticati per i costi umani che hanno provocato. E' bene, quindi, capire come funziona quest'organizzazione internazionale.
Principi e struttura della Banca Mondiale: in teoria
La conferenza di Bretton Woods rappresenta una pietra miliare nella storia del capitalismo moderno e della globalizzazione. Le nazioni alleate riunitesi nel 1944 in quell'occasione, infatti, gettarono le fondamenta del futuro ordine economico mondiale, basato sull'idea del multilateralismo.
Non lo fecero solo attraverso delle dichiarazioni di principio, ma anche mediante la creazione di concrete istituzioni sovranazionali che avrebbero guidato il corso dell'economia internazionale: la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e l'Organizzazione Mondiale del Commercio, le quali ricoprono tutt'oggi un ruolo rilevante e, nel bene o nel male, rappresentano il successo di quel disegno politico. Di queste la più conosciuta è sicuramente il Fondo Monetario Internazionale, la cui sigla compare con costanza su quotidiani e media nazionali a causa del fatto che intrattiene rapporti diretti con gli stati. Le altre due sono invece meno note ma, proprio per questo, sarebbe meglio non trascurare le funzioni e le attività che esse svolgono.
In questa sede ci concentreremo sulla Banca Mondiale, che oggi conta fino a 188 paesi membri.
Nei suoi primi anni di vita, la Banca Mondiale si pose l'obiettivo di favorire la ricostruzione dei principali paesi che avevano preso parte alla seconda guerra mondiale, nel tentativo di stimolarne la crescita economica. All'inizio degli anni '50, di fronte agli elevati tassi di crescita dell'Occidente e del Giappone, i prestiti a tassi agevolati dell'organizzazione iniziarono ad essere rivolti ai paesi emergenti, con il nuovo intento di ridurre la povertà nel mondo attraverso il finanziamento di progetti di sviluppo. Tra i più recenti obiettivi compaiono la riduzione della mortalità infantile, la difesa dell'ambiente e la mediazione tra gli stati in modo da favorire lo sviluppo della cooperazione internazionale.
Secondo quanto scritto nel suo statuto, la Banca Mondiale fa proprio l'obiettivo di promuovere gli investimenti esteri, intesi come l'elemento necessario per ottenere crescita e sviluppo, insieme ad un equilibrio della bilancia dei pagamenti nel lungo periodo. Questo implica che, il più delle volte, i prestiti erogati ai paesi che ne fanno richiesta sono accompagnati da precise direttive politico-economiche. Tali condizioni sono dette "aggiustamenti strutturali" e impongono al governo beneficiario del finanziamento di adottare dei pacchetti di riforma che comportano l'apertura verso il mercato esterno, la riduzione della spesa pubblica e dei servizi di welfare, estese privatizzazioni e liberalizzazioni.
In origine la Banca Mondiale si chiamava Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRS). Oggi continua a mantenere formalmente questo nome, ma dal 2007 fa parte del cosiddetto Gruppo della Banca Mondiale, il quale comprende altre quattro istituzioni, tutte però impegnate in aspetti marginali rispetto ai compiti ed ai canali di finanziamento del BIRS. Il presidente della Banca attualmente è Jim Yong Kim e, in realtà, presiede l'intero Gruppo, resta in carica cinque anni ed è ormai nota la consuetudine che questo ruolo sia ricoperto da un cittadino americano nominato dagli Stati Uniti. Ogni paese membro è rappresentato nel Consiglio dei Governatori, un organo al quale spettano poteri quali la deliberazione sull'adesione di nuovi paesi e sulla variazione delle quote di capitale, mentre il Consiglio Direttivo è composto da 25 direttori, che hanno invece il compito di definire le strategie da adottare sugli affari correnti.
Principi e struttura della Banca Mondiale: in pratica
La Banca Mondiale si presenta come un'organizzazione dagli intenti nobili, ma ciò non è bastato a tenerla al riparo dalle critiche dei movimenti no-global. Controversa, infatti, è innanzitutto la governance dell'istituzione, ritenuta poco trasparente se non antidemocratica. Il problema principale riguarda il potere decisionale, nella forma del voto, attribuito ai suoi membri, che varia in relazione alla quota del capitale versato da questi. Secondo un rapporto del 2011, stilato dalla stessa Banca, le nazioni con i maggiori poteri decisionali erano: Stati Uniti (15.85%), Giappone (6.84%), Cina (4.42%), Germania (4.00%), Inghilterra (3.75%), Francia (3.75%), India (2.91%), Russia (2.77%), Arabia Saudita (2.77%) e Italia (2.64%). In questo modo il cosiddetto G5, costituito dai primi cinque paesi contributori, è dotato di poteri determinanti nell'ambito delle scelte decisionali, dato che ognuno di essi può nominare un delegato all'interno del Consiglio Direttivo, mentre tutti gli altri membri (183 paesi) sono rappresentati da soltanto 19 direttori.
Critiche ancora più dure riguardano gli interventi della Banca Mondiale, accusati di favorire senza mezzi termini il neoliberismo e la privatizzazione dei beni comuni, di non promuovere la difesa dell'ambiente e addirittura di violare i diritti umani.
A giugno 2015 è stato pubblicato un rapporto dell'International Consortium of Investigative Journalist sui progetti realizzati in questi anni attraverso i fondi della Banca Mondiale. La conclusione di quest'inchiesta non è rosea: tra il 2003 e il 2014, infatti, sembra che oltre 3,4 milioni di persone in tutto il mondo siano state «sfollate o penalizzate dal punto di vista economico». La stragrande maggioranza (quasi tre milioni di persone) è rappresentata da asiatici, mentre la parte restante da africani. Gli interventi della Banca Mondiale che sono stati oggetto di critiche sono tanti, probabilmente troppi. Di seguito tratteremo quindi solo di quelli che sono saliti alla ribalta negli ultimi tempi.
A partire dal 2006 in Etiopia sono finanziati numerosi programmi di sviluppo dei servizi primari, con lo scopo dichiarato di eliminare la povertà estrema nel paese. Alcuni di questi hanno interessato anche l'Etiopia occidentale, più precisamente la regione di Gambella, occupata storicamente da una minoranza etnica nota come Anuak, già in precedenza bersaglio delle violenze del governo etiope, tanto che l'Ong Genocide Watch l'ha aggiunta alla lista delle vittime di genocidio. Con il pretesto di "portare sviluppo" a questa regione, gli Anuak sono stati sgomberati dalle loro case, senza ricevere in realtà alcun preavviso. Sembrerebbe che, quando alcuni si sono rifiutati di lasciare la propria terra, il governo non abbia esitato a spostare la popolazione con la forza, talvolta dopo aver torturato o addirittura ucciso i civili. In realtà, secondo alcuni le intenzioni del governo etiope erano chiare sin dall'inizio: deportare la popolazione che occupava quelle terre e rivenderle ad investitori privati, meglio ancora se stranieri.
L'ong Human Rights riporta che in Etiopia sono state deportate circa 70mila persone e che parallelamente sono state cedute almeno 3.6 milioni di terre. Tutta questa vicenda è diventata particolarmente nota in seguito alla pubblicazione di un rapporto dell'Inspection Panel, un organo di controllo interno alla stessa Banca Mondiale che ha riportato le violazioni dei diritti umani subite dagli Anuak.
Un tipo di progetto particolarmente apprezzato è la costruzione di dighe. La realizzazione di infrastrutture del genere richiede fondi enormi e tempi che nella maggior parte dei casi vengono ampiamente sottovalutati. Se a tutto ciò si aggiungono eventuali impatti umani, allora tali progetti possono essere considerati controproducenti: tale è il caso documentato delle grandi dighe Inga I e Inga II, costruite in Congo durante gli anni '70 e che hanno causato, come nel caso degli Anuak, lo sfratto della popolazione locale accompagnato da gravi violazioni dei diritti umani. Questa è una tesi condivisa anche da Peter Bosshard, responsabile dell'organizzazione International Rivers, che, facendo riferimento alle dighe Inga, dice: «Dopo che i donatori hanno speso milioni di dollari, meno del 10% della popolazione ha accesso all'elettricità, l'85% dell'energia va a clienti ad alto consumo, e le persone sfrattate lottano ancora oggi, cinquant'anni dopo, per ottenere le dovute compensazioni e una riabilitazione economica».
Dopo aver allontanato le critiche per aver finanziato tali progetti, l'anno scorso la Banca Mondiale ha approvato il finanziamento di Inga III, un'altra diga da realizzare sempre in Congo. Il prestito ammonterebbe all'incredibile cifra di 73 miliardi di dollari e l'energia elettrica fornita dall'impianto dovrebbe essere destinata, ancora una volta, al settore privato, nello specifico alle compagnie minerarie.