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Jovanotti: il pop, la politica e la Madonna

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BrunchCultura

Intervista a Lorenzo Cherubini: 42 anni, diciotto album all’attivo e una carriera tra le più varie e le più longeve tra i musicisti della sua generazione. Dal rap alla “popular” music, oggi è un artista impegnato: «l’Italia ha perso un’occasione non facendo vincere il Pd». Si parla di musica, di politica e di arrivare, perché no, a sessant’anni come Tom Waits. Le date del tour.

Se sei italiano e sei nato negli anni Ottanta sei stato un fan, volontario o involontario, di Jovanotti. Se sei italiano tout court conosci a memoria almeno cinque suoi pezzi. Jovanotti, al secolo Lorenzo Cherubini è un cantante, un musicista e un compositore che da vent’anni, e con diciotto album all’attivo, è presente nel panorama musicale italiano. A Parigi per fare promozione, lo incontro al Lutetia, elegante hotel di Saint Germain des Prés. Lorenzo è nato a Roma, ma è originario di Cortona, in Toscana, dove vive. È sposato dal settembre scorso e ha una bimba di dieci anni. Si dice che sia vegano: «No, lo sono stato per qualche anno. Ora mangiamo il pesce, da quando è nata mia figlia. Non volevamo prenderci questa responsabilità». Ci si dà del tu, e ci si siede sui divani. Lorenzo ha 42 anni e ne dimostra dieci di meno. Aspetto rilassato e arruffato, jeans e una camicia a quadri. Chiacchierare viene naturale, al punto che inizia lui a farmi domande. Ma l’intervistata non sono io.

Sei come la mia moto

La carriera di Lorenzo inizia negli anni Ottanta. Nasce come Dj poi pubblica il suo primo album Jovanotti for President, nel 1987. Si può parlare di “fenomeno Jovanotti”: negli stessi anni esce una linea di abbigliamento a suo nome, Yo (stelle e strisce di una versione pop della bandiera americana) e il suo secondo album, La mia moto che al grido di “sei come la mia moto, sei proprio come lei, andiamo a farci un giro, fossi in te io ci starei”, è stato un successo. Il genere è un ibrido di disco-music e rap, il secondo praticamente sconosciuto in Italia. Da qui è quindi d’obbligo partire. Il Lorenzo di oggi, impegnato a favore della cancellazione del debito, dell’ecologia, sostenitore di Amnesty e animalista, come si concilia con “No Vasco io non ci casco” o “è qui la festa”? È la stessa persona? «Sì, ero io, ma non sapevo bene cosa volevo dire. Ero come un bambino: avevo fame e sete, nient’altro. Era tutta energia. Ero un ragazzetto, avevo voglia di sfondare... ». Sorride: «Quei dischi lì, chiaro che avessero dei limiti dal punto di vista del contenuto, ma non ne avevano dal punto di vista dell’energia e della comunicazione. Perché poi arrivavano a un sacco di pubblico senza che ci fossero leggi che li obbligavano a comprarli». La mia moto pare abbia venduto 600mila copie.

Il ritorno de La Cosa

I testi e la musica negli anni, lentamente e radicalmente, cambiano. Nel 1991 esce Una Tribù che balla, l’anno successivo Lorenzo 1992, con un brano, Cuore, dedicato a Giovanni Falcone. Inizia a dipingere, partecipa a un film (I giardini dell’Eden, di D’Alatri) e scivola lentamente verso un genere che molti definiscono world music. Se gli chiedi cos’è la sua musica non lo sa: «world music è tutta quella che viene fatta su questo pianeta. La mia musica non la so definire, è come se dovessi definire me stesso. Come diceva (Walt) Whitman, “mi contraddico, perché contengo moltitudini”. Quello che faccio? Una visione personale di un’idea del pop, nel senso di “popolare”. Mi piace una musica che comunichi, che sia accogliente e non esclusiva rispetto al pubblico». E com’è arrivato l’impegno? Lorenzo ha raccolto fondi contro la guerra in Kosovo nel 1999, ha sostenuto la candidatura di Lula, ha partecipato un progetto di sostegno agli Zapatisti in Chiapas. «Mi piace pensare che tutto sia possibile e che si possa intervenire sul proprio tempo partendo da quello che sai fare. Non sono un rivoluzionario: ho un temperamento più artistico che politico. Ho sentito che con la mia musica potevo partecipare a quella che per me era la direzione giusta: perché c’è anche bisogno di chi la gente la fa divertire». Sorridente cita, tra le cose che lo hanno segnato, il Live Aid, l’enorme concerto organizzato da Bob Geldof per sostenere la lotta alla carestia in Etiopia, nel 1985 e Sandinista dei Clash. «Iniziai a pensare che la musica fosse molto di più di un sottofondo». Anche sulla politica italiana Lorenzo non esita a dire, con estrema semplicità, come la pensa: «Io vado a votare. Ho votato per il Pd alle ultime elezioni e lo rifarei. Credo che l’Italia abbia perso un’occasione di crescita non facendo vincere il Pd, anche con tutti i limiti che ha questa coalizione». Certo è che la gente si è trovata di fronte al sequel de La cosa di Nanni Moretti: normale – almeno – dubitare. Lorenzo reagisce e sorride: «Oggi preferisco le cose che non si sa bene cosa siano, rispetto a quelle che conosci bene e non ti piacciono».

America Latina, tra Kerouac et Chatwin

Un’altra delle sue grandi passioni, ispirazioni di canzoni tra cui, una delle più famose anche all’estero, l’Ombelico del mondo, è l’America Latina. L’ha percorsa in lungo e in largo, ha fatto la Patagonia in bicicletta, ci ha scritto un libro, Il grande boh! (Feltrinelli, 1998). In quest’occasione è stato paragonato a Chatwin da Il Corriere della Sera e a Kerouac da Fernanda Pivano. «In America Latina mi sono sentito a casa da subito. Forse perché sono cresciuto a Roma, che in qualche modo è una città sudamericana. Forse dipende dal fatto che là c’è una presenza del cattolicesimo che mi ricorda quello della mia infanzia. La presenza della Madonna, ovunque, mi fa sentire a casa». Per chi, come me, ne ha una al lato del computer, non è difficile capire: «La madonna è una figura molto dolce, accogliente, ti perdona sempre». E anche se Lorenzo si dice «non religioso», la religione è presente in molti suoi lavori. «Non lo sono nella maniera canonica, diciamo, però mi sono sposato in Chiesa. Credo che la religione dentro la quale sei bambino è un po’ come la lingua dentro la quale nasci. Il cattolicesimo romano è per me un elemento di formazione molto forte. All’interno della cultura religiosa gli uomini si fanno delle grandi domande: la lettura della Bibbia è una delle grandi esperienze della vita. Tutti i testi sacri delle grandi religioni. Nella poesia dei testi sacri c’è di tutto: guerra, amore, sesso, tradimento, potere... La cosa che è meno presente nella Bibbia è un misticismo new age».

Safari, il suo ultimo disco, uscito nel gennaio 2008, è il più venduto dell’anno in Italia (circa 500mila copie). Ha partecipato anche Ben Harper. «Non si può non innamorarsi di Ben Harper. È, prima di tutto, un musicista pazzesco, devoto alla musica, che è quello che bisogna cercare di essere. In questo senso rappresenta la miglior parte del pianeta. Oggi la sola forma di resistenza nel mondo occidentale è fare bene quello che si fa, curare le proprie cose per essere d’ispirazione anche agli altri. Credo che, io prima di tutto, ma i ragazzi in generale, abbiano bisogno di figure a cui ispirarsi. Le figure politiche sono abbastanza misere, no?». Annuisco.

E all’estero come va? «Funziono dal vivo. Ho fatto un sacco di concerti in Austria, in Germania, in qualche paese dell’Est, in Sudamerica. Discograficamente ho avuto un mercato ottimo negli anni Novanta, quando la mia musica era “più definibile”, più hip hop funk. L’ombelico del mondo, Penso Positivo e Serenata Rap sono stati dei successi». E ora vuole ritentare: «Grazie a Dio non faccio il calciatore. Si può essere creativi fino a sessant’anni: ieri sera sono andato a vedere un concerto bellissimo a Parigi. Alain Bashung: un’artista di sessant’anni, eccezionale. Mi ha messo addosso una bella energia: si continuare a fare cose bellissime a sessant’anni... pensa a Tom Waits o a Robert Wyatt, a Springsteen o a Lou Reed». Ci interrompono, un’altra intervista. «Peccato, avrei potuto continuare per un’altra ora e mezzo», dice. In effetti anch’io. Per chi, come me, non è un fan di Jovanotti, è una sorpresa.

Le prossime date di Lorenzo

4 dicembre, Forlì: Palasport

6 dicembre, Livorno: Palalgida

10 dicembre, Conegliano Veneto: Palasport

13 dicembre, Brescia: Palabrixia

15 dicembre, Parigi: Elysée Montmartre