Jeremy Deller, l’artista che non sa disegnare
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Tiziana De PasqualeIntervista con l’artista inglese, 42enne, attualmente in mostra al Palais de Tokyo a Parigi. È il vincitore del prestigioso premio Turner nel 2004, consegnato dalla Tate Gallery di Londra.
"Aspetto negativo: Andrew impazzisce per le persone grasse. Torn tra Stacey e me. Andrew lo ha sposato. Questioni sul sesso. Le cose migliori sono i bambini, la casa e i soldi". Il sole risplende sulla terrazza del ristorante del Palais de Tokyo, il più grande spazio parigino dedicato all’arte contemporanea. Jeremy Deller mi sta leggendo a voce alta gli estratti di una rubrica di The Guardian. «Questo è davvero bello, una lista fai da te», riferendosi alla collezione di bigliettini che la gente trova per strada. «Convincermi di non essere pazzamente innamorata di lui», è l’ultimo letto.
Palais de Folk-yo
L’artista londinese ha trascorso l’estate preparando la seconda di sei “personali” che il Palais de Tokyo ha offerto a sei artisti diversi: "Carte Blanche à". Il backstage di “D’une revolution à l’autre”, la sua mostra, sembra una fiera. Spazi enormi che ti invitano in angoli dove trovi rock francese o elettronica sovietica. Manifesti delel Trade Unions inglesi pendono dal soffitto, incuranti delle strutture di supporto: «Non c’è un tema predominante nella mostra», spiega l’ex studente di storia dell’arte con indosso un paio di occhiali da sole, una giacca bianca e dei cangianti calzini gialli dentro sandali a strappo. «Quando ho visitato per la prima volta questo posto sono stato sopraffatto dalle dimensioni e mi sono spaventato». Per gestire la "Carte Blanche" del Palais de Tokyo devi prendere confidenza con questi spazi, avere un’idea precisa sapere quanto puoi spingerti oltre: «è importante mostrare cose che non siano ancora state mostrate fin’ora». Jeremy Deller sembra contrario alle recensioni: «Tutto può essere percepito in modo molto negativo, anche se cerchi di dare il meglio. Non mi piace sentir parlare di me, anche se si tratta di recensioni positive. Non mi piace vedere foto che mi ritraggono, essere ripreso o ascoltare la mia voce. Penso sia piuttosto imbarazzante, non credi?». Si continua a parlare a ruota libera fino ad arrivare al «non tanto» che Jeremy ha fatto da quando ha vinto il Turner nel 2004: si tratta di uno dei più prestigiosi premi per l’arte contemporanea in Inghilterra, consegnato dalla Tate Gallery. Aggiunge: «L’arte folkloristica e vernacolare britannica che stiamo cercando di mostrare non vuole essere una “mostra da museo”, ma vuole centrare l’attenzione sulle persone che riescono ad essere creative nella vita quotidiana. Si parla degli hobby, delle manifestazioni pubbliche, di tutto ciò che accade “fuori” dalle gallerie, ma che può avere natura artistica: decorazioni di dolci, gare di the, proteste… ho sempre amato questo tipo di cose». Può, uno spettatore francese, apprezzare in pieno le gare di smorfie britanniche? «Suppongo di no. In un certo senso in Francia c’è un gusto diverso». Una folata di vento ci interrompe come un’invasione di piccioni su delle briciole. Passato il momento hitchcockiano ritorniamo al momento post-premio Turner.
Vagamente politico
«È stato davvero molto bello vincere quel premio, ma la vittoria non mi ha cambiato. Se hai i piedi ben piantati a terra non cambia nulla. Forse è cambiato il modo in cui la gente reagisce nei tuoi confronti, ma questo è un aspetto divertente della cosa. In più il mio amico Alan (Kane, artista inglese con il quale Deller a collaborato nel 1999, ndr), mi aiuta a non diventare arrogante». È vero che Jeremy Deller è noto per quello che ha fatto nel periodo del premio Turner. Durante le elezioni europee del 2004 il suo Manifesto n° 5, una parata organizzata tra spagnoli e baschi a San Sebastian per portare l’arte in strada, fu presa come un atto politico. Ma era un caso. Vorrebbe replicare l’evento il prossimo anno in Gran Bretagna, verso giugno. Anche in questo caso senza connessione con le elezioni europee del 2009. Perché Deller dice di non essere più impegnato politicamente di un qualsiasi altro cittadino.
«L’arte britannica degli anni Novanta è stata depoliticizzata del tutto, non riesco neppure a ricordare per chi ho votato nelle memorabili elezioni del mese di maggio, ma sicuramente era un voto di protesta contro Boris Johnson (attuale sindaco conservatore di Londra, eletto nel maggio 2008, ndr)». Concorda con me sul fatto che il precedente vincitore del premio Turner si era esposto meno a livello politico, mentre l’ingresso di Deller è stato un viaggio-documentario attraverso il Texas di Bush. «Gli inglesi sono più consapevoli di quanto possano esserlo gli americani», dice. E probabilmente li conosce un po’ gli Usa: ha passato un anno a San Francisco lavorando come insegnante. «Gli americani sono abbastanza a conoscenza della situazione in Gran Bretagna, ma i mezzi di comunicazione là sono terribili. Il mio lavoro non li ha aiutati ad essere più consapevoli».
«L’arte non si può definire propriamente il mio mondo, mi piace la musica ma non so suonare alcuno strumento. Mi piace l’arte ma non so disegnare. Fortunatamente oggi c’è quella che si suol dire “arte concettuale”, grazie alla quale non c’è bisogno che tu sappia disegnare perfettamente per poterti definire un’artista. Io sono semplicemente fortunato. Tutto possono farsi un nome, il difficile poi è diffonderlo e farlo diventare la tua carriera». I suoi genitori hanno cercato di aiutarlo a trovare la sua strada, soprattutto durante gli anni di disoccupazione. «Quanto ho lasciato l’università era normale essere disoccupato. Ho perso molto tempo. Penso sia proprio per questo che ho cercato poi di reagire e fare tutto ciò ce riuscivo a fare. I tempi sono cambiati, ci sono più studenti di arte, più corsi universitari, c’è più scelta».
Translated from Jeremy Deller: the British artist who likes art, but can’t draw