Jacques Barrot: «Gli Stati membri sono condannati alla solidarietà»
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Alessandro MancosuIl 15 e 16 ottobre a Bruxelles si discute il Pacchetto immigrazione. Il vice Presidente della Commissione europea, Barrot, responsabile della direzione Giustizia, Libertà e Sicurezza, parla di politica d’immigrazione europea e risponde alle domande della community di cafebabel.com.
L’Europa ha bisogno dell’immigrazione?
«Si. La situazione demografica dell’Europa esige l’immigrazione. La vocazione dell’Europa è anche quella di facilitare gli scambi tra i paesi. L’immigrazione è un’esigenza economica e morale allo stesso tempo.
Agli inizi di ottobre la Cancelliera Angela Merkel ha ringraziato gli immigrati in occasione della cerimonia “La Germania vi è grata”. Riesce a concepire un avvenimento dello stesso tenore a livello europeo?
«Ci sono svariati atti simbolici di questo genere che mostrano agli immigrati che occupano un posto significativo in seno alla società. Con tutta probabilità terremo in considerazione l’ipotesi di allestire manifestazioni analoghe quando scriveremo la Direttiva sulle condizioni d’accoglienza dei rifugiati.
Eppure la politica d’immigrazione europea non sembra rientrare in una logica di gratitudine. Alcuni vi rimproverano una tendenza a costruire sempre di più “un’Europa fortezza”...
«Siamo ormai usciti da una fase in cui le frontiere erano un’ossessione. Oggi il Patto per l’Immigrazione che la Presidenza francese ha fatto adottare è equilibrato. Ci si trova sia il desiderio legittimo di rifiutare gli immigrati irregolari, sia quello di un’Europa più dinamica nell’accoglienza».
In passato, i 27 stati membri non riuscivano a trovare il consenso necessario su un progetto comune per l’immigrazione. In concreto, come siete riusciti a far firmare il Patto sull’immigrazione a Zapatero sapendo che la Spagna se ne serve a pieno ritmo?
«Zapatero, come la maggior parte dei capi di stato, sa bene che ciò che succede in uno degli stati membri ha delle ripercussioni sugli altri e che, quindi, gli stati sono condannati alla reciproca solidarietà. Oggi è, indubbiamente, un sostenitore del patto. C’è una larga convergenza di vedute. Nel momento in cui si parla d’immigrazione irregolare, stiamo comunque aspettando dalla Commissione dei testi sull’accoglienza dei lavoratori stagionali e degli stagisti retribuiti. Contemporaneamente stiamo studiando un programma per l’accoglienza dei rifugiati iracheni in Europa. Non sono del tutto convinto che questa volontà di chiusura, questa visione ultra difensiva dei flussi migratori sia la sola a prevalere».
Il suo predecessore Antonio Vitorino disse in un’intervista, nel 2004, che «il mercato non dovrebbe essere l’unico criterio per decidere dell’immigrazione». Cosa ha provocato questo cambio di prospettiva?
«L’immigrazione è intrinsecamente legata al mercato del lavoro. Ovviamente, ci sono più dimensioni da considerare: il ricongiungimento del nucleo familiare che è presente nei nostri testi ne è un esempio. Altrimenti non vedo quale potrebbe essere il senso dell’immigrazione se non la necessità di trovare un posto. Senza alcun dubbio c’è poi il problema del reddito e del differenziale tra paesi ricchi e poveri. Risponderemo con accordi bilaterali e un partenariato per la mobilità che dovrebbe permetterci di collegare l’immigrazione allo sviluppo».
Lei si è detto favorevole a «un’Europa aperta ma con regole del gioco ben chiare». Dove si manifesta questa tendenza all’apertura nella politica dell’immigrazione così com’è concepita oggi?
«Innanzitutto nell’inquadrare le migrazioni regolari in una cornice giuridica. La Carta blu per i lavoratori qualificati darà la possibilità di venire in Europa, il diritto al ricongiungimento famigliare e permetterà ai compatrioti di trarre beneficio dalle conoscenze acquisite tramite un’immigrazione di tipo circolare».
Ma non si tratta di “immigrazione selettiva”, visto che si utilizzano gli immigrati come tappabuchi per i mercati in Europa?
«È esattamente per questo che desideriamo rafforzare i nostri mezzi di conoscenza dei bisogni di lavoratori qualificati per ciascun stato membro e favorire un osservatorio dell’immigrazione in Africa, per sapere cosa è fattibile e cosa non lo è in ogni paese africano. Ogni paese deve , evidentemente, mantenere il beneficio dei suoi lavoratori qualificati. Ecco perché stiamo inquadrando l’immigrazione regolare, in particolare la manodopera qualificata, per evitare che si verifichi una razzia di cervelli e risorse umane in Africa e Asia».
Non c’è una contraddizione aberrante tra la volontà europea di criminalizzare gli immigrati illegali (Direttiva di ritorno) e lo sfruttamento dei datori di lavoro, che li usano per aumentare i loro benefici? (Fanny Costes, 25 anni, giornalista francese)...
«La Direttiva di ritorno non criminalizza. Al contrario regolamenta le procedure di ritorno degli immigrati irregolari. La stessa prevede in particolare, delle condizioni molto severe per i ricorsi in appello e regolamenta le condizioni di detenzione. La Direttiva ci permetterà progressivamente di esigere dagli stati membri delle condizioni di detenzione più adeguate e, inoltre di dare la priorità ai ritorni volontari che possono essere finanziati dagli Stati membri. Non solo espulsioni, quindi».
La Repubblica Ceca si è opposta al progetto della Carta blu. Per riprendere il suo argomento, perché, dovrebbero far entrare degli immigrati se la Germania, l’Austria, la Danimarca o il Belgio, non aprono in parallelo i loro mercati del lavoro a tutti i paesi dell’Ue?
«Abbiamo risposto alla Repubblica Ceca che l’introduzione delle Carta blu sarà concomitante con l’apertura delle frontiere tedesche e austriache ai lavoratori cechi. Il rischio paventato dalla Repubblica Ceca è, oltretutto, un rischio inesistente. D’altro canto il Ministro ceco ha voluto prima consultare il Parlamento e gli è stato dato tutto il tempo. In effetti c’è una certa contraddizione. La Carta blu renderà più allettante il lavoro in Europa. Ogni paese potrà stimare di quanti immigrati ha bisogno e notificarlo. Ma ovviamente il buon senso ci porta ad aprire prima e prioritariamente i mercati del lavoro a tutti gli Europei».
L’immigrazione selettiva non porrà forse un freno all’ascensione sociale per gli autoctoni europei? (Fernardo Navarro Sordo, 31 anni, giornalista spagnolo)
«Non nella misura in cui gli Stati membri ricorrano in maniera intelligente a delle risorse esterne. Se diventasse soltanto un pretesto per abbassare i salari e per mettere in competizione la manodopera qualificata, allora il senso della Carta blu verrebbe travisato. La Carta blu è là per permettere all’Europa di essere competitiva nei confronti degli Stati Uniti e poter avvalersi di quei lavoratori qualificati di cui purtroppo non disponiamo in numero sufficiente. Credo che bisognerà seriamente monitorare l’uso e abuso delle Carte blu. Aggiungo inoltre che stiamo lottando contro coloro che impiegano lavoratori clandestini sottopagati facendoli lavorare in condizioni inaccettabili. Bisognerà evitare che il populismo s’impossessi di queste paure e conduca alla chiusura delle frontiere in Europa».
L’Islam è percepito da alcuni come incompatibile con i valori europei di democrazia, pace e uguaglianza fra i sessi. Qual è la posizione dell’Europa al riguardo? (Roman Moravcik, giornalista slovacco)
«Questa lettura dell’Islam come antagonista ai valori europei corrisponde a una visione distorta e parziale. L’Islam è una religione monoteista che mi sembra compatibile con i nostri principi di laicità. Ciò che invece non lo è, sono tutti i fondamentalismi, non soltanto islamici, che vogliono segregare ed escludere le altre religioni. Nel momento stesso in cui l’Islam accetta il pluralismo, in Europa almeno, siamo pronti a dargli il benvenuto. È vero anche che continueremo a lottare sempre contro il fatto che negli ambienti islamici le comunità cristiane non vengono sempre rispettate come dovrebbero. Una tale intolleranza è prerogativa in alcuni paesi islamici, ma non lo è in Europa. L’Europa è in favore del pluralismo religioso, ne consegue che se l’Islam vuole essere presente in Europa deve accettarlo».
Translated from Jacques Barrot sur l’immigration : « Les Etats membres sont condamnés à la solidarité »