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Italia-Germania, vendetta o eterno ritorno dell'uguale?   

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Palermo

Fenomenologia di Italia-Germania, la sfida infinita tra due filosofie lontane, la partita del secolo. Vendetta o eterno ritorno dell'uguale? 

Italia-Germania, ci risiamo. Gli italiani la chiamano "partita del secolo", i tedeschi (con ricordi mai positivi) Jahrhundertspiel, gli spagnoli, Partido del siglo, gli inglesi "Game of the Century". La storia è iniziata nei supplementari dell’Azteca di Città del Messico, il 17 giugno 1970, una partita sulla quale abbiamo speso fiumi di inchiostro a partire da quel racconto di Gianni Brera con i toni da poema epico o cronache di guerra, sino al film di Andrea Barzini Italia-Germania 4-3.

Italia-Germania è la partita infinita tra più generazioni. Quella delle ironie sulla guerra, con i cambiamenti di schieramento degli italiani e poi quella della calcio. Due filosofie completamente opposte: la concretezza, organizzazione e carattere dei tedeschi contro improvvisazione, disorganizzazione e la fantasia degli italiani. Crauti contro spaghetti. Crucchi contro itaker.  

Loro nel bene o nel male arrivano sempre in semifinale, noi alterniamo figuracce a capolavori o quasi miracoli come qualche finale di troppo persa per la cattiva sorte. La Germania è un rullo costante che vince o ci arriva vicino, l'Italia è il paese di chi è sempre in grado di tirar fuori il meglio di sé nelle situazioni di difficoltà.

Mia nonna mi raccontava dell’amica tedesca circondata da italiani nella calda sera del 1982 che si dileguò improvvisamente dalla terrazza dopo il terzo gol di Altobelli che mise la parola fine alla finale di Madrid. Quando Pertini dalle tribune esclamava: “Adesso non ci prendono più”. Mio padre ricorda la serata a casa di amici nel 1970, tra una pizza e un birra e un grappolo di gol ( cinque!) nei tempi supplementari. “I tedeschi erano stanchi morti”, raccontava mio nonno. “Noi abbiamo pagato qualche giorno dopo con il Brasile di Pelé, dove siamo durati un tempo”, aggiungeva mio padre. Quel gol di Rivera dopo la sgroppata di "Bonimba" Boninsegna, il gran gol di "rombo di tuono" Riva, le intuzioni da rapinatore di area di rigore di Muller. Sono un po' come la religione tramandata da padre in figlio da 46 anni.   

Io ho qualche ricordo sbiadito dell’Europeo del ’96. Italia eliminata al girone, Germania campione. Ma la sfida tra le due nazionali è 0-0 (E Zola sbaglia un rigore facendosi ipnotizzare da Kopke). Poi ovviamente il trionfo di Dortmund del 2006, forse il più duro da accettare dai tedeschi: Pirlo con lo specchietto retrovisore pesca Grosso e quello scatto con gli occhi al cielo.

Del Piero che fa crollare giù mezza Italia mentre la tv inquadra una giovane tedesca che piange. Fino ad arrivare al 2-1 del 2012, quando sembrava che finalmente loro avessero qualcosa in più rispetto a noi, che godevamo per una sera dello stato di grazia di Balotelli. Da questa parte, dove si vive in eterno di momenti di gloria del calcio che fanno dimenticare le difficoltà del paese, Italia-Germania racchiude un po' tutte queste immagini. E la domanda ricorrente: "Dov'eri quando si giocava la partita..?". Dall'altra parte forse il match è un po' un incubo, un po' un taboo, perché il risultato è sempre lo stesso sperando che ogni match sia quello giusto.

Oggi la Germania è fantasia e creatività al potere, con quei giovani allevati a pane e calcio nei centri federali dopo i fallimenti della squadra centenaria del 2000. L'Italia invece è povera di talenti, ma è un gruppo di "operai del calcio" di ragazzi "sporchi brutti e cattivi". Occasione irripetibile di vendetta? Oppure maledizione degli azzurri quasi da psicanalisi? Lo diranno novanta minuti. Forse di più.