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[ita] D'identità e d'emigrazione

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Silvia Iannone

Trovo difficile spiegarlo, ma non ho mai sen­ti­to un par­ti­co­la­re at­tac­ca­men­to alla mia terra natia. Sono una di quel­le per­so­ne che non sen­to­no la ne­ces­si­tà di giu­sti­fi­ca­re sé stes­se at­tra­ver­so l'ap­par­te­nen­za a un grup­po o a uno spa­zio fi­si­co. Lo spa­zio lin­gui­sti­co, d'al­tra parte, è tut­t'al­tra que­stio­ne.  Ri­cor­do chia­ra­men­te la prima volta in cui mi resi conto che qual­co­sa in me era cam­bia­to. Ero ap­pe­na tor­na­ta in Ro­ma­nia dopo un lungo pe­rio­do pas­sa­to al­l'e­ste­ro e un mio amico rise di cuore per una mia bat­tu­ta. Al­l'e­po­ca ero già abi­tua­ta a es­se­re l'u­ni­ca per­so­na a tro­va­re di­ver­ten­ti le proprie bat­tu­te. Pro­ba­bil­men­te è stato quel­lo il mo­men­to in cui ho sco­per­to qual­co­sa di so­li­do den­tro di me, qual­co­sa che è dif­fi­ci­le con­te­stua­liz­za­re usan­do i ter­mi­ni flui­di del­l'i­den­ti­tà mi­gran­te. Qual­co­sa d'in­tra­du­ci­bi­le.

Ma que­st'al­te­ri­tà non mi ha in­fa­sti­di­to per nien­te. In uno dei suoi ro­man­zi, Milan Kun­dera mette a con­fron­to il modo in cui due per­so­nag­gi con­ce­pi­sco­no la loro ap­par­te­nen­za a un grup­po. Uno di loro, men­tre par­te­ci­pa a una ma­ni­fe­sta­zio­ne, sfila in mezzo alla folla, scan­den­do slo­gan, pieno d'en­tu­sia­smo. L'al­tro resta da un lato, sof­fo­ca­to dalla sen­sa­zio­ne che con­di­vi­de­re i pro­pri idea­li con così tanta gente li possa rendere or­di­na­ri, an­nul­lan­do­li com­ple­ta­men­te. Pre­su­mo di ap­par­te­ne­re alla se­con­da ca­te­go­ria. La po­si­zio­ne mar­gi­na­le del­l'e­mi­gran­te mi calza come un guan­to. Non nego l'im­por­tan­za del­l'i­den­ti­tà na­zio­na­le, ma credo sia un'im­por­tan­za che ho su­pe­ra­to da tempo.  Dopo quasi un de­cen­nio pas­sa­to nel Regno Unito, non mi de­fi­ni­rei una cit­ta­di­na in­gle­se nata in Ro­ma­nia, né una ci­tta­di­na ru­me­na che vive in In­ghil­ter­ra, ma piut­to­sto una per­so­na a cui è ca­pi­ta­to di vi­ve­re per un po' en­tram­be le cul­tu­re.

In que­ste cir­co­stan­ze, la for­ma­zio­ne del­l'i­den­ti­tà fles­si­bi­le ed ete­ro­ge­nea così di moda al gior­no d'og­gi sem­bra adat­tar­si per­fet­ta­men­te al mio caso. Ma le cose ten­do­no ad es­se­re un po' più com­pli­ca­te.

Dal 1 gen­na­io 2014 verrà con­ces­so ai cit­ta­di­ni ru­me­ni e bul­ga­ri li­be­ro ac­ces­so al mer­ca­to del la­vo­ro nel Regno Unito. L'im­pat­to che una nuova on­da­ta d'im­mi­gra­ti po­treb­be avere sulla so­cie­tà bri­tan­ni­ca è stata più volte di­scus­sa dai media nel corso di tutto il 2013.  Mal­gra­do gli sfor­zi fatti per man­te­re l'im­ma­gi­ne di un am­bien­te aper­to e tol­le­ran­te, l'im­mi­gra­zio­ne, con­si­de­ra­ta ec­ces­si­va in Gran Bre­ta­gna, gen­er­a ac­ces­si di xe­no­fo­bia. È un cir­co­lo vi­zio­so. E non ne­ces­sa­ria­men­te per i ru­me­ni e i bul­ga­ri: loro sono sem­pli­ce­men­te il pre­te­sto più re­cen­te. Que­sti at­teg­gia­men­ti non si ma­ni­fe­sta­no solo ai mar­gi­ni, al­l'in­ter­no del BNP o del­l'U­KIP, il cui lea­der, Nigel Fa­ra­ge, iden­ti­fi­ca l'ar­ri­vo d'im­mi­gra­ti per mo­ti­vi eco­no­mi­ci con una “epi­de­mia di cri­mi­ne ru­me­no”. Que­sti sono at­teg­gia­men­ti piut­to­sto ge­ne­ra­liz­za­ti. Un esem­pio evi­den­te e molto di­scus­so di que­sta ten­den­za è stato la spre­ge­vo­le scrit­ta “tor­na­te­ve­ne a casa o sa­re­te ar­re­sta­ti” posta sui fur­go­ni an­ti-im­mi­gra­ti clan­de­sti­ni vo­lu­ti da The­re­sa May. In un'in­ter­vi­sta an­da­ta in onda sulla BBC il 27 no­vem­bre 2013, David Ca­me­ron ha di­chia­ra­to, a pro­po­si­to delle sue in­ten­zio­ni di li­mi­ta­re l'ac­ces­so al wel­fare degli im­mi­gra­ti: ”Ho visto altri paesi eu­ro­pei adot­ta­re un ap­proc­cio più duro del no­stro, spin­ge­re i li­mi­ti le­ga­li più di noi e, come Primo Mi­ni­stro, ho in­si­sti­to per­chè qui in Gran Bre­ta­gna venga fatto al­tret­tan­to”. Il Com­mis­sa­rio eu­ro­peo per l'oc­cu­pa­zio­ne Las­zlo Andor, ha de­fi­ni­to i pro­get­ti del mi­ni­stro Ca­me­ron come "una rea­zio­ne in­fe­li­ce ed ec­ces­si­va" pro­dot­ta “dall'is­te­ria”.

Que­sto stato di so­vraec­ci­ta­zio­ne ha rag­giun­to un li­vel­lo interessante nelle ul­ti­me set­ti­ma­ne, basti guar­da­re la co­per­tu­ra me­dia­ti­ca della BBC di que­sto ar­go­men­to. Nel corso del 2013 sono usci­te al­cu­ne no­ti­zie e ana­li­si, so­prat­tut­to a feb­bra­io e apri­le, ma tra il 26 no­vem­bre e il 3 di­cem­bre 2013 è stata tra­smes­sa al­me­no una doz­zi­na di nuovi ma­te­ria­li (tra no­ti­zie, sto­rie dalla Ro­ma­nia, in­ter­viste e di­bat­ti­ti po­li­ti­ci). La mag­gior parte di essi ali­men­ta, in ma­nie­ra più o meno evi­den­te, un senso di ansia nei con­fron­ti della nuova on­da­ta di pa­ren­ti po­ve­ri di­ret­ti in Gran Bre­ta­gna, pron­ti a in­va­de­re il no­stro sa­lot­to con i loro sti­va­li in­fan­ga­ti, pron­ti ad ac­cam­par­si a Mar­ble Arch e ad uri­na­re sui muri di West­min­ster. Pochi dei pa­re­ri pre­sen­ta­ti dai media ri­flet­to­no le opi­nio­ni del­l'ex mi­ni­stro degli este­ri ru­me­no An­drei Marga, che il 10 feb­bra­io 2013 ha di­chia­ra­to per la BBC: “siamo una fa­mi­glia ades­so, nel senso più ampio della pa­ro­la”.

Non dob­bia­mo tra­sfor­ma­re que­sta con­ver­sa­zio­ne in un di­bat­ti­to po­li­ti­co, però. Que­sto è un di­scor­so sulla le­git­ti­ma­zio­ne, sul­l'i­den­ti­tà li­mi­na­le di co­lo­ro che ab­ban­do­na­no il pro­prio grup­po d'o­ri­gi­ne.

Un altro even­to che con­tem­po­ra­nea­men­te sta sfrut­tan­do lo stes­so filo con­cet­tua­le è il Ro­man­ian Film Fes­ti­val a Lon­dra, ospi­ta­to dal Cur­zon Soho tra il 28 no­vem­bre e il 2 di­cem­bre. Molti dei film pre­sen­ta­ti que­st'an­no toc­ca­no il tema della mi­gra­zio­ne, trat­tan­do del con­fron­to con l'al­te­ri­tà ra­di­ca­le pro­dot­ta mostrando lo stra­nie­ro, ma­ri­to o mo­glie del­l'e­mi­gran­te, nel­l'am­bien­te cir­co­scrit­to del vil­lag­gio ru­me­no o della co­mu­ni­tà del con­do­mi­nio vec­chio stile. The Japan­ese Dog, di­ret­to da Tudor Cris­t­ian Ju­rgiu, vede Vic­tor Re­ben­giuc, il più fa­mo­so at­to­re ru­me­no della sua ge­ne­ra­zio­ne, nel ruolo di un padre fiero che ri­met­te in di­scus­sio­ne il rap­por­to con il fi­glio, che torna dal Giap­po­ne per un breve pe­rio­do in­sie­me alla mo­glie giap­po­ne­se e al fi­glio. I am an old com­mu­nist hag, di Stere Gulea, pone il com­pa­gno della fi­glia, uno stra­nie­ro, nel­l'op­pri­men­te am­bien­te con­do­mi­nia­le.

Altri film pro­ble­ma­tiz­za­no la du­pli­ce po­si­zio­ne del­l'im­mi­gra­to. In When eve­ning falls on Bu­cha­re­st or Me­tab­o­lism, Cor­neliu Po­rum­boiu pre­sen­ta un fram­men­to di dia­lo­go tra i due pro­ta­go­ni­sti, l'at­tri­ce e il re­gi­sta, che ana­liz­za gli spazi ac­ces­si­bi­li al­l'im­mi­gra­to in una so­cie­tà adot­ti­va. Lei dice che il suo sogno era quel­lo di re­ci­ta­re in Fran­cia. Lui chie­de per­chè lei non ha la­scia­to il paese. Lei ri­spon­de che sa­reb­be stata ac­cet­ta­ta per in­ter­pre­ta­re un nu­me­ro li­mi­ta­to di tipi di donna, a causa del fatto di non ap­par­te­ne­re a quel­la cul­tu­ra. L'al­te­ri­tà, il suo es­se­re eso­ti­ca, ri­sul­te­reb­be­ro trop­po evi­den­ti nei suoi modi. Lui in­si­ste: quel per­so­nag­gio bloc­ca­to nel­l'e­so­ti­co e nel mar­gi­na­le non sa­reb­be lei. Prendere le distanze dalle proprie origini è prendere le distanze dal proprio vero sé: un processo di sdoppiamento che trasforma l'identità in un falso, una copia. Ma l'attrice, che ha una consapevolezza più sofisticata di quanto la simulazione, l'interpretazione e l'evoluzione del cambiamento hanno in comune, elu­de la rottura. È convinta che il luogo in cui si vive metta furtivamente radici dentro di noi. La pone in termini semplici: prima o poi bisogna lasciarsi trascinare dal flusso, nuotare contro corrente è caotico e senza senso. La comunicazione, cogliere negli altri la propria immagine dà un senso di riconoscimento. In definitiva quest'identità, interpretata con e attraverso gli altri, genera un senso di coerenza, di appartenenza a un determinato ambiente.

Tornando alla lucidità marginale dell'emigrante, ci chiediamo: cosa destabilizza la coerenza di quest'identità eterogenea? Forse il momento in cui la politica dell'identità positiva (sono sia rumena che inglese) sostituisce una formula negativa (non sono né rumena né inglese). E cos'altro è questo, se non un momento di sovrainvestimento nel concetto d'appartenenza? In altre parole, d'amore. Perciò, ripetiamo tutti ad alta voce: Io sono Nigel Fa­ra­ge, io sono il rumeno che lavato i calzini nelle fontane di Mar­ble Arch.

Translated from Iden­tity and other mi­gra­tion is­sues