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"It makes sense": Kuba Woynarowski tra arte, caos e narrazione

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Cultura

Le teorie del complotto, le connessioni e le narrazioni che emergono dal caos: viaggio filosofico sulla capacità narrativa dell'arte con l'artista polacco Jakub Woynarowski.

La primavera fa capolino tra le imponenti cattedrali di Cracovia mentre aspetto Jakub (Kuba) Woynarowki, una tarda mattina di fine marzo, in centro. È una giornata tiepida e docile. Quegli stessi edifici che d'inverno mi parevano tanto austeri ora sembrano sorridere. Verso le 11 Jakub arriva. Ha un sorriso dolce,  che si addice a questa giornata mite e piacevole.  Cominciamo a parlare di arte.                                                                                                                                                         cafébabelNella tua presentazione a un certo punto parli di teorie complottiste e dell'importanza che queste rivestono per te. Che cosa intendi?                                                                                                                                   Kuba: Il concetto chiave qui è "connessione". Vedo il mondo, la vita, l'arte, come un sistema di connessioni. Oggi, con l'avvento di Internet e la possibilità di accedere a informazioni così eterogenee, la connessione tra eventi e oggetti disparati è molto evidente. Il che è un bene da un lato, perché abbiamo la possibilità di ascoltare voci diverse e di compararle tra di loro, ma dall'altro il rischio è di distrarsi, farsi manipolare, perdere il filo narrativo. È difficile trovare un giusto equilibrio. Le teorie del complotto sono una ricerca, talvolta esasperata, di connessioni tra elementi diversi, che possono talvolta sfociare nella paranoia e nella pazzia. Io svolgo un lavoro scientifico in un certo senso, oltre che artistico, quando cerco queste connessioni nel mondo dell'arte. Connessioni che si basano sui fatti, sulla ricerca.

cafébabel: Che ruolo ha il concetto di connessione nella tua arte?

Kuba: L'arte, come la scienza, la filosofia, ma anche il pensiero quotidiano, non è esente da questo sistema di connessioni. Si tratta di creare una narrazione, una storia, in questo caos. L'alchimia rappresenta molto bene questo concetto. L'alchimia ha un codice visivo molto efficace: il nero rappresenta il caos, ovvero la moltiplicità delle possibilità, il bianco il momento della selezione e della scelta, il rosso il momento creativo vero e proprio. L'arte fa questo. L'arte crea a partire da strutture esistenti. È quello che faccio anch'io, quando creo diagrammi che sembrano finiti ma non lo sono, è un'illusione. Mi piace re-interpretare. Tutti gli elementi della realtà sono connessi tra di loro, fanno parte dello stesso sistema. Quando descrivo l'uomo non lo faccio rappresentando l'uomo, ma il suo ambiente, i suoi oggetti. Nelle mie opere, praticamente, non ci sono figure umane.

cafébabel: Per esempio nella tua opera "Hikikomori". Hikikomori, in giapponese, è un giovane che si è isolato, ritirato in se stesso. Ma quest'opera rappresenta un oggetto nero e rosso su sfondo bianco che sembra essere infilzato da bacchette appuntite, non un essere umano. Mi ha trasmesso una forte sensazione di violenza.

Kuba: Esatto. Non ho rappresentato un essere umano, eppure tu ci hai visto qualcosa di umano. La violenza. Hikikomori è la rappresentazione dell'energia che combatte. Il rosso e il nero in quest'opera sono le due energie che si fronteggiano. L'oggetto soffre. Animali, esseri umani, oggetti, sono tutti connessi. Distruggere un oggetto è come compiere un atto di violenza contro un essere umano. Soprattutto attraverso l'assenza della figura umana posso evocare la sua presenza.

cafébabel: Ma come mai "hikikomori", come mai questo titolo giapponese?

Kuba: Perché la cultura pop giapponese è particolarmente concentrata sul tema della violenza, anche se a volte in modo indiretto. Per questo ho voluto richiamarla con questo titolo. Certamente, la violenza non è una caratteristica solo della cultura giapponese, ma di tutte le culture.

cafébabel: Altri oggetti e spazi che rappresenti sono invece molto dettagliati. Quasi tecnici, quasi tassonomici.                                                                                                       Kuba: Amo il linguaggio dell'infografica. Da bambino adoravo sfogliare i manuali tecnici. Trovo la tensione tra precisione e astrattismo molto interessante. L'astrattismo è creato sia dall'estrema semplificazione dell'immagine, sia dall'ossessione per il dettaglio. Sia il macro che il microcosmo ci appaiono astratti. Il realismo sta nel mezzo.

cafébabel: Tornando al tema della connessione di cui parlavamo prima, trovi che sia possibile vivere e creare senza connessioni col mondo esterno? Un hikikomori, per esempio, che si è isolato dal mondo.

Kuba: (ride) Gli hikikomori sono sempre attaccati a internet però. No, non penso che sia possibile. L'arte è una forma di riciclo, un utilizzo di forme pre-esistenti. Ogni idea è frutto di un sistema di connessioni. Nel momento in cui pensi, crei qualcosa, e lo fai in base ad altre idee che ti hanno influenzato. Tutto è in continua comunicazione con tutto. Anche se produci qualcosa solo per te stesso, lo chiudi in camera e non lo mostri a nessuno. Anche in quel caso comunichi. Comunichi con te stesso. E quello che comunichi è il prodotto di altri eventi con cui sei entrato in comunicazione prima. Il tuo corpo, le tue mani, diventano un mezzo per trasmettere un messaggio.

cafébabel: E questa comunicazione, appunto, è la creazione di una storia, di una narrazione da una realtà altrimenti caotica.                                                                       Kuba: Tutto crea una storia, anche la fisica, la matematica. Oh, la matematica è un incredibile sistema narrativo. L'astronomia. Come fai a verificare che una teoria sia proprio vera su scala astronomica? Stephen Hawking ha successo perché è un ottimo narratore, perché la storia che racconta ha un senso. Lo stesso dicasi per i politici, per gli artisti di successo. Questo vale per ogni campo umano. Chi è bravo a raccontare storie vince, può anche essere un bugiardo, un cinico o un pazzo. «It makes sense», che espressione perfetta! In polacco non esiste un'espressione così azzeccata (ride). Mi sa che la mia prossima opera la chiamo così: Make sense. È un'espressione felice perché mette in luce sia il lato emotivo, sia quello razionale. La gente segue una storia perché sente che it makes sense, sia logicamente sia, soprattutto, emotivamente.

cafébabel: Anche le teorie complottiste sembrano avere senso.

Kuba: Anche le teorie complottiste, certamente. Spesso sembrano razionali, ma in realtà si basano su credenze.

cafébabel: E quindi anche il fine dell'arte è quello di creare una storia?

Kuba: L'arte è una filosofia visiva. Lo è sempre stata. Un'altra cosa che trovo assurda è questa teoria dominante degli storici dell'arte per cui ci sarebbe una rottura drastica tra un passato dell'arte, bello e armonioso, e una contemporaneità brutta e cattiva. Robert Fludd rappresentava un quadrato nero astratto, molto simile a  quelli di Malewicz, già nel 1617. L'astrattismo è sempre esistito. L'intervento degli artigiani nella costruzione dell'opera d'arte non è niente di nuovo. Un movimento culturale chiamato "Incoherent Arts" intorno al 1880 già faceva cose che le avanguardie hanno proposto più avanti, ma non vengono considerati dagli storici dell'arte perché loro lo facevano per "divertimento", e per i critici d'arte questo li penalizza a priori. Bisogna essere  seri per forza secondo loro. Questo per me non ha senso. It doesn't make sense.

cafébabel: Quindi la storia dell'arte che studiamo sui manuali è fuorviante...

Kuba: Lo è nel momento in cui trascura deliberatamente certi fatti storici per dare un'interpretazione discutibile della realtà storica. Anche questa è una narrazione basata, però, sulla manipolazione e sulla semplificazione dei dati.

cafébabel: Riesci a pensare a una realtà, a  un universo oggettivo, al di là dell'uomo e delle sue narrazioni?

Kuba: (Ci pensa un attimo) No, non posso immaginare un universo senza l'uomo. Perché sono un uomo, penso, vivo e creo da uomo. Non possiamo uscire da questo circolo vizioso.